LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. GARRI Patrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1778-2019 proposto da:
C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II n. 4, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO FRANCESCO DELLA SCIUCCA;
– ricorrente – principale –
contro
BANCA DI CIVIDALE S.c.p.A. (già Banca Popolare di Cividale s.c.p.a), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FLAVIANO DE TINA;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
contro
C.D.;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 107/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 30/06/2018 R.G.N. 163/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
che:
1. il giudice di primo grado, in parziale accoglimento della domanda proposta da C.D., condannava la Banca Popolare di Cividale soc. coop. p.a. al pagamento della somma di Euro 108.835,52 a titolo di risarcimento del danno per l’anticipato recesso dal rapporto di lavoro, di Euro 149.652,96 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, oltre accessori, alla somma derivante dalla rideterminazione del tfr per inclusione nella relativa base di calcolo del controvalore mensile del benefit auto, pari a Euro 542,96 e al ricalcolo dei versamenti relativi alla previdenza complementare in relazione alla riconosciuta natura retributiva del benefit auto;
2. la Corte di appello di Trieste, pronunziando sul ricorso principale di C.D. e sul ricorso incidentale della Banca Popolare di Cividale soc. coop. p.a., in parziale riforma della decisione di primo grado nel resto confermata, ha rideterminato in Euro 272.096,30 il risarcimento dovuto dall’istituto di credito per l’anticipato recesso dal rapporto di lavoro;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.D. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria; la Banca Popolare di Cividale s.p.a. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi; C.D. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale; la Banca Popolare di Cividale depositava memoria.
CONSIDERATO
che:
Ricorso principale.
1. Con il primo motivo di ricorso principale parte ricorrente deduce violazione c.c.n.l. 29 febbraio 2012, per i dirigenti dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, artt. 27 e 30, e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto giustificato il licenziamento. Premesso che il recesso datoriale era stato motivato con la mancanza nel nuovo assetto organizzativo scaturito dalla fusione per incorporazione della originaria datrice di lavoro – Banca di Cividale s.p.a. – nella Banca Popolare di Cividale s.c.p.a. di una posizione lavorativa adeguata al ruolo di dirigente generale rivestito dal C., sostiene che la Corte di merito non aveva compiutamente verificato le circostanze poste a base del licenziamento la cui dimostrazione era a carico della datrice di lavoro; osserva che la valorizzazione da parte del giudice di appello del fatto che nel nuovo assetto la figura di Direttore Generale era già ricoperta da un altro soggetto non esauriva l’onere a carico della società convenuta, sia perché ben poteva essere prevista la possibilità di un secondo direttore generale sia perché il fatto che il C. potesse nel nuovo assetto rivestire una carica diversa da quella di Direttore Generale non implicava necessariamente un demansionamento dello stesso; in altri termini, la società non aveva provato l’assenza di posizioni in organico incompatibili con il livello professionale del dirigente;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., e degli artt. 1353 e 1381 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere negato il diritto del C. al compenso annuale pattuito per la nomina quale consigliere di amministrazione di società del gruppo BPC; sostiene che la statuizione sul punto era frutto dell’errata interpretazione delle pattuizioni fra le parti e della relativa sequenza temporale; in via subordinata deduce che ove dovesse confermarsi la tesi della Corte di merito secondo la quale la corresponsione dell’emolumento doveva intendersi comunque condizionata alla nomina di C. alle cariche in questione, risultava comunque violato il disposto dell’art. 1359 c.c., per essere il mancato avveramento della condizione imputabile esclusivamente alla condotta omissiva della Banca;
3. con il terzo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo e controverso rappresentato dal contenuto del documento costituito dalla lettera del *****, quale espressione di un nuovo accordo intervenuto tra le parti circa la nomina e la remunerazione del dirigente;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione dei principi legali in materia di ripartizione dell’onere della prova ed in particolare degli art. 2697 e 2729 c.c., e violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere negato il diritto del C. al bonus contrattualmente pattuito in difetto di prova dell’avverarsi delle condizioni di erogazione dell’emolumento; sostiene che il riferimento alla condizione di erogazione del bonus, rappresentata dalla necessità di conformità alle politiche retributive del Gruppo Banca popolare di Cividale, implicava che l’elemento impeditivo della non conformità dovesse essere dedotto in via di eccezione dalla società; né tale compatibilità era mai stata contestata nel corso del giudizio e comunque andava ricostruita sulla base di elementi presuntivi acquisiti al giudizio;
5. con il quinto motivo deduce violazione dell’art. 2120 c.c., in connessione con l’art. 2118 c.c., comma 2, censurando il rigetto della domanda di computabilità delle somme dovute a titolo di mancato preavviso nel tfr;
Ricorso incidentale.
6. Con il primo motivo di ricorso incidentale la Banca Popolare di Cividale s.c.p.a. deduce violazione del combinato disposto del T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia, art. 53, commi 1 e 4 sexies, e delle Disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari emanate dalla Banca d’Italia in data 3 marzo 2011 in attuazione della Dir. n. 2010/76/CE; censura il rigetto della domanda intesa all’accertamento della nullità della penale connessa con il patto di stabilità, domanda avanzata dalla Banca sulla scorta della normativa bancaria all’epoca esistente la quale, in sintesi, ancorava i compensi pattuiti in caso di conclusione anticipata del rapporto di lavoro alla performance realizzata ed ai rischi assunti dal dirigente, condizioni mancanti nello specifico;
7. con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo riguardante la nomina del C. a Direttore Generale di Banca Etruria già ad agosto 2014; la sentenza impugnata, nel procedere alla rideterminazione della penale aveva errato omettendo di considerare il fatto, emergente dagli atti di causa, che il C. era stato assunto presso Banca Etruria nell’agosto 2014 e non, come ritenuto, nel gennaio 2015;
8. con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata in relazione alla quantificazione del valore del benefit auto che assume necessariamente condizionato dalla prova circa l’effettivo utilizzo del veicolo e la relativa finalità, prova della quale era onerato il lavoratore;
ciò in quanto solo la parte relativa all’utilizzo dell’auto aziendale per fini personali andava a costituire retribuzione in natura da computare nella base di calcolo del tfr;
Esame dei motivi di ricorso principale 9. il primo motivo di ricorso è infondato;
9.1. la sentenza di appello ha respinto la censura intesa a far valere la non giustificatezza del licenziamento osservando che nel nuovo assetto organizzativo conseguente alla fusione tra i due istituti di credito la figura di Direttore Generale risultava già ricoperta da un altro soggetto e che non sussistevano posti disponibili adeguati all’interno della realtà societaria a meno di un demansionamento del dirigente; ha puntualizzato che, versandosi in ipotesi di rapporto dirigenziale, non era previsto un onere di repechage a carico della società recedente;.
9.2. le ragioni che sorreggono la valutazione di giustificatezza del licenziamento escludono l’errore di diritto denunziato con il motivo in esame in quanto la verifica della Corte di merito è stata condotta con riguardo alla specifica causale indicata dalla parte datoriale nel provvedimento di recesso, causale rappresentata dall’impossibilità dell’adeguata ricollocazione lavorativa del C.; l’accertamento della Corte di merito non è stato, infatti, limitato alla sola constatazione che nella nuova compagine organizzativa il ruolo di Direttore Generale era già ricoperto da un altro soggetto, ma è stato esteso attraverso il riferimento alla delibera del Consiglio di Amministrazione anche alla verifica, con esito negativo, di posizioni utili al collocamento lavorativo del dirigente, non implicanti demansionamento;
9.3. non sussiste violazione delle richiamate norme collettive in tema di obbligo datoriale di motivazione del licenziamento e di diritto alla indennità supplementare in caso di non giustificatezza dello stesso (art. 27 e 30 c.c.n.l.), posto che tali norme concernono questioni estranee alla verifica della sussistenza delle circostanze addotte a giustificazione del recesso, sulla quale è incentrato il motivo in esame;
9.4. neppure sussiste violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018); nello specifico il giudice di appello non ha definito la questione della giustificatezza del recesso datoriale sulla base del sovvertimento dell’onere probatorio, pacificamente ricadente sulla parte datoriale, ma sulla base delle concrete risultanze di causa ritenute rivelatrici dell’assenza di posizioni confacenti al ruolo di Direttore Generale fino ad allora rivestito dal C.; tale ricostruzione fattuale poteva essere incrinata solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deduzione in concreto preclusa dalla esistenza cd. di doppia conforme di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c.. La decisione è altresì coerente con la giurisprudenza di legittimità nell’escludere l’obbligo di repechage in presenza di licenziamento del dirigente (Cass. n. 14193 del 2016; Cass. n. 3175 del 2013; Cass. n. 25145 del 2010), 10. il secondo motivo di ricorso principale deve essere respinto;
10.1. la sentenza impugnata ha negato il diritto del C. alla quota di retribuzione afferente alla promessa attribuzione di cariche sociali ritenendo che la lettura combinata della side letter del ***** (doc. n. 5 produzione ricorrente) e della lettera- proposta di assunzione del 3.3.2011, evidenziassero un impegno solo ipotetico e condizionato all’effettiva nomina a cariche societarie del gruppo, nomina mai avvenuta, per come pacifico;
10.2. la interpretazione dei documenti contrattuali operata dal giudice di appello (v. sentenza pag. 13 e sg.), anche nel loro significato connesso alla relativa sequenza temporale, non è validamente censurata dall’odierno ricorrente; ciò sia in ragione di un profilo di inammissibilità del motivo derivante dalla mancata trascrizione, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, della lettera di assunzione del ***** della cui interpretazione si duole il ricorrente, sia in ragione delle modalità di deduzione delle censure non coerenti con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044 del 2010; Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione; Cass. n. 4178 del 2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318 del 2013; Cass. n. 23635 del 2010);
10.3. la questione dell’imputabilità del mancato avveramento della condizione alla società non è stata specificamente affrontata dal giudice di appello per cui, per impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di essa innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675/2013), come viceversa non è avvenuto;
11. il terzo motivo di ricorso è inammissibile sia in quanto il documento in questione è stato espressamente preso in considerazione dal giudice di appello (v. sentenza, pag. 13) e la ricostruzione della volontà delle parti dallo stesso emergente è frutto di un’interpretazione non validamente censurata dal motivo precedente, sia per la preclusione scaturente ex art. 348 ter c.p.c., u.c., dalla esistenza di cd. doppia conforme 12. il quarto motivo è infondato in quanto la sentenza impugnata è conforme al condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale poiché l’avveramento della condizione si configura come un elemento costitutivo della pretesa azionata dal dipendente il relativo onere è a carico del deducente (Cass. n. 302 del 1990);
12.1. la censura incentrata sulla mancata valorizzazione elementi presuntivi che si assumono rivelatori della positiva valutazione da parte della società dell’attività del C. è inammissibile sia per difetto di trascrizione della risultanza dalla quale sono tratti gli elementi in oggetto sia in quanto la scelta sull’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non è sindacabile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass. n. 17720 del 2018; Cass. n. 20553 del 2021);
13. il quinto motivo di ricorso è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte la quale, premessa la efficacia solo obbligatoria e non reale del preavviso, ha affermato che, nell’ipotesi in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, indennità non computabile nella base di calcolo del tfr (Cass. n. 8319 del 2019; Cass. n. 21216 del 2009);
Esame dei motivi di ricorso incidentale 14. il primo motivo di ricorso incidentale è da respingere;
14.1. è innanzitutto da rilevare un difetto di specificità del motivo con riguardo alla esposizione delle allegazioni e difese formulate dalle parti nella fase di merito in relazione alla questione della nullità della penale per contrasto con le disposizioni bancarie, dovendo altresì rilevarsi che solo con il D.Lgs. n. 72 del 2015, non applicabile ratione temporis, è stata prevista, con l’introduzione al T.U. delle Leggi in materia bancaria e creditizia, art. 53 , comma 4 sexies, la sanzione della nullità per le clausole che non ancoravano i compensi pattuiti in caso di conclusione anticipata del rapporto di lavoro alla performance realizzata ed ai rischi assunti dal dirigente, condizioni mancanti nello specifico; è inoltre mancata la trascrizione del regolamento della Banca d’Italia come prescritto al fine dell’autosufficienza in presenza di norma secondaria (Cass. n. 12786 del 2006);
15. il secondo motivo di ricorso incidentale è infondato;
15.1. la sentenza impugnata con riferimento alla previsione del patto di stabilità ha ritenuto “più corretto” concedere, rispetto alle quattro mensilità riconosciute in prime cure, ulteriori sei mensilità ed osservato che rilevava a riguardo il dato “pacifico e provato” che il C., solo ad inizio del 2015 aveva ottenuto analogo incarico presso Banca Etruria s.p.a. secondo quanto risultante dai documenti richiamati; tale accertamento non risulta validamente incrinato dal documento invocato dal ricorrente in quanto, a prescindere dal profilo di inammissibilità relativo alla mancata integrale trascrizione dello stesso, il relativo contenuto, per la parte emergente dalla trascrizione, si rivela privo di decisività; a tal fine è dirimente la considerazione che la delibera di nomina del dottor C. dell’agosto 2014, in assenza di ulteriori indicazioni temporali sulla data di inizio dell’attività del dirigente, non smentisce l’accertamento del giudice di merito circa lo svolgimento effettivo dell’incarico (con conseguente remunerazione dello stesso) a partire dal gennaio 2015;
16. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;
16.1. la questione relativa al concreto utilizzo del bene non è stata specificamente affrontata dal giudice di appello per cui doveva dimostrarsene la avvenuta rituale deduzione nel corso del giudizio di merito onde evitare il rilievo della preclusione scaturente dalla novità della questione (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013), come, viceversa, non avvenuto; l’accertamento del valore del benefit auto non è validamente incrinabile stante il principio cd. della doppia conforme operante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c.;
17. al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la compensazione delle spese di lite;
18. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese del giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022
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