Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.724 del 12/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8879/2020 R.G. proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Lo Presti;

– ricorrente –

contro

Città Metropolitana di Catania, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Ortoleva, con domicilio eletto in Roma, Via Antonio Mordini, n. 14, presso lo studio dell’Avv. Antonino Spinoso;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Pubbliservizi S.p.a., Comune di Nicolosi, UGF Ass.ni S.p.a.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 2806/2019, depositata il 17 dicembre 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 novembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. C.A. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania il Comune di Nicolosi chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro occorso il ***** nella Via *****, all’altezza del civico *****, allorquando, mentre si apprestava ad attraversare la strada, inciampava, a causa di un tombino stradale non assicurato a terra e circondato da asfalto disconnesso, cadendo rovinosamente a terra.

Il comune eccepì preliminarmente di non essere proprietario della strada e chiese e ottenne di chiamare in causa la Provincia Regionale di Catania (oggi Città Metropolitana di Catania) e la propria compagnia assicuratrice UGF Assicurazioni S.p.a..

Analoga difesa spiegò la Provincia che chiamò in garanzia la Pubbliservizi S.p.a., quale incaricata dei servizi di manutenzione e custodia delle strade provinciali, contestando comunque nel merito la domanda.

All’esito dell’istruzione il tribunale, ritenuta la responsabilità della città metropolitana, ex art. 2051 c.c., ed attribuito alla danneggiata un concorso di colpa nella misura del 30% (considerato che l’illuminazione era buona e la donna ben conosceva lo stato dei luoghi per gestire una tabaccheria proprio di fronte), condannò la Città Metropolitana di Catania al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 82.772,90, oltre interessi, e la Pubbliservizi S.p.a. a tenere indenne detto ente degli oneri derivanti dalla sentenza.

2. Interpose appello quest’ultima, cui aderì la città metropolitana, con appello incidentale, instando per il rigetto della domanda risarcitoria.

Con sentenza n. 2806/2019, depositata il 17 dicembre 2019, la Corte d’appello di Catania li ha accolti entrambi, rigettando la domanda risarcitoria e quella di garanzia e condannando la C. alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore delle dette appellanti e del solo primo grado in favore degli altri appellati (Comune di Nicolosi e UGF Assicurazioni S.p.a.).

Richiamate la massima di Cass. n. 23919 del 2013 (secondo cui “l’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso”) e quella di Cass. n. 2345 del 2019 (secondo cui “quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più influente deve considerarsi l’efficienza causale dell’imprudente condotta della vittima, fino ad interromperne il nesso tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.”), la Corte di merito ho osservato che, nel caso di specie, “lo stesso primo giudice (aveva) correttamente riconosciuto la disattenzione della C., che risulta di ogni evidenza già esaminando le fotografie allegate in atti, da cui emerge che la pericolosità del tratto di strada, ove la C. stava attraversando, peraltro lontana dalle strisce pedonali, era di ogni evidenza sicché alla stessa sarebbe bastato porre attenzione a dove e come poneva i piedi; per evitare ogni caduta”.

4. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la soccombente, con unico mezzo, cui resiste la Città metropolitana di Catania, depositando controricorso.

Gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente rilevare l’inammissibilità del controricorso, non essendo stata data prova della sua notifica a controparte.

2. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,2043 e 2051 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto evitabile e/o prevedibile la situazione di pericolo creata dall’insidia stradale senza effettuare alcun accertamento concreto in merito all’effettiva prevedibilità dell’evento accaduto”.

Rileva che il principio richiamato in sentenza richiede una valutazione da farsi in concreto, e cioè accertando specificamente l’effettiva prevedibilità e/o evitabilità dell’evento da parte del danneggiato, e che tale valutazione nella specie è totalmente mancata.

Lamenta che, infatti, nessuna indagine è stata compiuta dalla corte territoriale, non avendo questa esaminato né le prove testimoniali, né i documenti prodotti a supporto, né le conclusioni della c.t.u. medico-legale, ma essendosi limitata ad utilizzare le medesime conclusioni della sentenza di primo grado, estrapolandole, tuttavia, dal contesto generale. Col risultato che, addebitando la rovinosa caduta ad una mera ed evitabile disattenzione, ha fatto diventare la limitata responsabilità attribuita alla signora C. dal tribunale a titolo di concorso di colpa, una totale esenzione da ogni addebito a carico della Città Metropolitana proprietaria della strada.

Osserva che, se una qualche colpa minima ha potuto intravvedersi nel comportamento della ricorrente (ma, aggiunge, non è esigibile che l’utente della strada attenzioni costantemente le condizioni della strada o del marciapiede), certamente non può essere addebitato alla sua imprudenza tutto l’accadimento, costituendo l’accertato dissesto del manto stradale un fattore di rischio evidente, sfuggito al dovuto controllo dell’Ente proprietario della strada.

Afferma che, diversamente opinando, la corte etnea ha violato il principio secondo cui “allorquando sia constatato il carattere insidioso del pericolo stradale, non segnalato dall’Amministrazione proprietaria, in violazione delle norme del codice della strada, il giudice, nell’accertare la responsabilità nella verificazione dell’evento dannoso, non può limitarsi a valutare la condotta del conducente sotto il profilo della prevedibilità del pericolo, ma deve al contempo valutare l’eventuale efficacia causale, anche concorrente, che abbia assunto la condotta omissiva colposa dell’Amministrazione nella produzione del sinistro, in mancanza di che non è possibile statuire nel senso dell’interruzione del nesso eziologico tra la causa del danno ed il danno stesso per un comportamento colposo dell’utente danneggiato (Cass. 13/04/2007, n. 8847).

Contesta, inoltre, il rilievo attribuito in sentenza al mancato attraversamento del pedone sulle strisce pedonali, rilevando l’ente proprietario della strada risponde della sicurezza dei tombini sull’intera carreggiata stradale e non soltanto sulla parte contrassegnata dalle strisce pedonali, tanto più che nel caso in esame, la strada si trova in prossimità della piazza centrale del Comune di Nicolosi in pieno centro storico.

Deduce che la corte di merito ha espresso un inadeguato ed incongruo apprezzamento delle circostanze evidenziate dalla prova testimoniale, atteso che dall’istruttoria svolta dal Tribunale – ed in particolare dalla deposizione del teste Co. – risulta chiaramente che l’instabilità del tombino che ha causato la caduta non era visibile né prevedibile per un passante che transitava per la strada.

Sostiene, in conclusione, che soltanto una condotta abnorme del danneggiato avrebbe potuto assumere un’efficacia causale esclusiva idonea a determinare la non imputabilità dell’evento all’Ente proprietario della strada; condotta nel caso in esame certamente insussistente e comunque non concretamente accertata né sufficientemente dimostrata dalla corte d’appello.

3. Il motivo è inammissibile sotto vari profili.

3.1. Lo è anzitutto là dove sembra spingersi a contestare a monte la valutazione della condotta della danneggiata come contraria alle regole di prudenza e diligenza.

Di tale parte della doglianza deve a priori escludersi l’ammissibilità, trattandosi di valutazione già espressa dal giudice di primo grado e non fatta segno di appello incidentale da parte della danneggiata.

3.2. Nella restante parte la censura è invece volta a contestare la correttezza della valutazione peggiorativa operata dalla corte di merito che sulla base dei medesimi elementi fattuali considerati dal primo giudice – che aveva da essi desunto una condotta colposa in grado solo di concorrere alla causazione dell’evento, non anche di escludere il nesso causale di questo con la cosa in custodia, e peraltro per una limitata percentuale del 30% – è giunta ad affermarne invece l’esclusiva efficacia causale e, dunque, a qualificare quella condotta come caso fortuito in grado di interrompere ogni relazione causale con le condizioni della cosa in custodia ed a farla degradare a mera occasione dell’evento.

Anche per tale parte il motivo è inammissibile.

3.2.1. Anzitutto per l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti (c.t.u. e verbali di prova testimoniale) richiamati: onere, come noto, imposto a pena di inammissibilità dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

La ricorrente omette, infatti, di trascrivere le deposizioni testimoniali richiamate, e manca comunque di localizzare gli atti richiamati all’interno del fascicolo processuale, laddove e’, come noto, al riguardo necessario che si provveda alla individuazione degli atti o documenti su cui il ricorso si fonda, anche con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla loro formazione e produzione, come pervenuta alla Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, Con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701; 23/09/2019, n. 23553).

3.2.2. Deve inoltre rilevarsi che, lungi dal denunciarsi l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata, si allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, ma piuttosto alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. 23/10/2018, n. 26770; 26/03/2010, n. 7394; 30/12/2015, n. 26110), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo essa propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo.

Mette conto al riguardo rilevare che la valutazione della corte di merito appare costituire coerente applicazione del principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c.:

– la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;

– ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (v. ex multis Cass. 01/02/2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483).

La regola causale risulta, quindi, correttamente individuata nella fattispecie, costituendo la valutazione della idoneità della condotta in concreto considerata a integrare caso fortuito espressione di un giudizio di merito non sindacabile in cassazione, se non nei limiti in cui lo è nell’attuale ordinamento il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella specie nemmeno dedotto.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

In difetto di rituale notifica del controricorso, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese processuali.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

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