Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.727 del 12/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12353/2020 R.G. proposto da:

Alba S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Stefano Colucci, con domicilio eletto in Roma, Piazza Cola de Rienzo, n. 92, presso lo studio dell’Avv. Vincenzo De Nisco;

– ricorrente –

contro

G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Luciano Trofa, con domicilio eletto in Roma, Via Sant’Ippolito, n. 23, presso lo studio dell’Avv. Francesco Maria Addonizio;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Avellino n. 315/2019, pubblicata il 19 febbraio 2019, e avverso l’ordinanza, ex art. 348-bis c.p.c., della Corte d’appello di Napoli, n. 36/2020, pubblicata il 7 gennaio 2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 novembre 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

FATTI DI CAUSA

1. In accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria promossa da G.G. nei confronti della Alba S.r.l. e di B.S.A.C., il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 315/2019 del 19 febbraio 2019, ha dichiarato inopponibile nei confronti dell’istante l’atto con il quale, in data 20 dicembre 2013, la società aveva alienato B.S.A.C. alcuni beni immobili, così sottraendoli alla garanzia patrimoniale precedentemente azionato dal G. con decreto ingiuntivo, oggetto di pendente giudizio di opposizione.

2. Con ordinanza del 7 gennaio 2020, comunicata in pari data, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., l’appello interposto dai soccombenti.

3. La Alba S.r.l. in liquidazione propone quindi ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., sia nei confronti dell’ordinanza della corte d’appello, sulla base di un solo motivo, sia nei confronti della sentenza del tribunale, affidato a tre motivi.

L’intimato resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato avviato alla camera di consiglio non partecipata della sesta sezione civile a seguito di proposta d’inammissibilità del relatore, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La ricorrente ha depositato memoria, ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente rilevare che il ricorso non risulta notificato nei confronti di B.S.A.C., litisconsorte necessaria.

Per le considerazioni appresso esposte, che – come si dirà – devono condurre alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, si rivela nondimeno ultroneo, per il principio di ragionevole durata del processo, ordinare l’altrimenti necessaria integrazione del contraddittorio.

Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, invero, il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti.

Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie inammissibile o infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106).

2. Con l’unico motivo diretto a censurare l’ordinanza di inammissibilità la ricorrente deduce “omessa valutazione su un importante presupposto dell’azione ex art. 2901 c.c.”.

Con i tre motivi diretti invece a censurare la sentenza del tribunale la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un credito non contestato a fondamento della svolta azione revocatoria e, rispettivamente, sotto diversi profili, in relazione alla ritenuta sussistenza del presupposto dell’eventus damni.

3. Il ricorso è inammissibile sia in quanto rivolto avverso l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, per insussistenza di una ragionevole probabilità di accoglimento (art. 348-bis e 348-ter c.p.c.), sia in quanto diretto contro la sentenza di primo grado.

4. Nella prima direzione occorre rammentare che, come affermato dalle Sezioni Unite, detta ordinanza può essere impugnata con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348-bis c.p.c., comma 2, e all’art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza nonché a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e potendo, in relazione al silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi (nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio) soltanto un problema di motivazione (Cass. Sez. U. 02/02/2016, n. 1914).

Non sono invece deducibili né errores in iudicando (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), né vizi di motivazione (“o quel che resta di esso dopo l’ultima riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5”), salvo il caso – che però, come noto, trascende in violazione della legge processuale – della motivazione mancante sotto l’aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

Il merito, infatti, è ridiscutibile attraverso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado e non è pertanto in proposito configurabile la definitività richiesta per il ricorso ex art. 111 Cost., comma 7.

Nel caso di specie la ricorrente denuncia “carenza di motivazione”, lamentando che “la Corte, sul presupposto della scientia damni non ha neanche fatto riferimenti a principi giurisprudenziali conformi”.

Una siffatta doglianza risulta incomprensibile, non essendo nemmeno precisato se e quale motivo di gravame e in che termini riguardasse il detto presupposto della azione revocatoria accolta, e si appalesa comunque estranea al limitato novero dei vizi che come detto sono deducibili con riferimento all’ordinanza di inammissibilità.

5. In quanto diretto avverso la sentenza di primo grado, il ricorso si appalesa altresì inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non indica nell’esposizione del fatto il motivo o i motivi dell’appello.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, “il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 4, ha natura di ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 c.p.c. quanto ai requisiti di contenuto-forma, e deve contenere, in relazione a detta norma, n. 3, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello; ne consegue che nel ricorso la parte è tenuta ad esporre, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e ai motivi su cui esso era fondato, le domande e le eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte, o rimaste assorbite, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., le previsioni di cui al medesimo codice, artt. 329 e 346, nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello” (Cass. 17/04/2014, nn. 8940-8943; cui adde conff. e pluribus Cass. Sez. U. 27/05/2015, n. 10876; 23/12/2016, n. 26936; n. 18623 del 2016; n. 2784 del 2015; n. 26928 del 2018).

In sostanza, la necessità di una compiuta identificazione dell’ambito del giudicato interno derivante dai limiti dell’impugnativa mediante l’appello continua ad esigere, stando alla giurisprudenza su richiamata ed avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte, la puntuale indicazione dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell’ordinanza di secondo grado, quale contenuto essenziale del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado (al quale non possono considerarsi equipollenti la mera allegazione dell’atto di appello nel fascicolo di parte e il suo richiamo in ricorso tra i documenti allegati – allegazione e richiamo, peraltro, nella specie nemmeno presenti).

L’esigenza di una tale riproduzione non è un inutile formalismo, tale da inficiare il diritto di difesa delle parti, o quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata – in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con L. 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).

Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno (Cass. 23/12/2016, n. 26936; 21/11/2017, n. 27550).

Mette conto altresì ancora una volta rammentare che la Corte Europea, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa Trevisanato c/ Italia, ha riaffermato – perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. “filtro a quesiti” per l’accesso in Cassazione – il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso in Cassazione e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola la Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo, art. 6, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benché non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; e, solo, dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016, cit.).

Nel caso di specie la ricorrente omette del tutto di indicare i motivi di gravame.

6. La memoria che, come detto, è stata depositata dalla ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.

7. Può comunque incidentalmente rilevarsi, ad abundantiam, anche l’intrinseca inammissibilità dei motivi dedotti a fondamento del ricorso contro la sentenza di primo grado.

Del primo perché riguardante questione del tutto irrilevante ai fini dell’accoglimento della revocatoria, atteso che questa, come noto, può essere chiesta e accordata anche a garanzia di crediti ancora litigiosi e ancora sub judice (v. e pluribus Cass. n. 3369 del 05/02/2019; n. 2673 del 10/02/2016).

Degli altri in quanto impingenti questioni la cui soluzione, nella sentenza impugnata, risulta conforme a indirizzi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Appare peraltro evidente la natura meramente fattuale delle doglianze svolte, non riconducibile ad alcuno dei vizi cassatori.

8. Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472