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Definizione accelerata del processo e incompatibilità: la decisione delle Sezioni Unite

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.9611 del 10/04/2024

Nel procedimento ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., il Consigliere che ha redatto la proposta di decisione accelerata opposta può entrare a comporre, con la veste di relatore, il Collegio giudicante?

Le Sezioni Unite civili della Cassazione, con la sentenza n. 9611 del 10 aprile 2024, hanno risposto affermativamente in quanto non sussiste una situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c..

La Suprema Corte precisa che la proposta di decisione accelerata. non rileva una funzione decisoria né può essere considerata una pronuncia definitiva.

Le questioni di imparzialità del giudice sono regolate negli ordinamenti civile e amministrativo attraverso gli istituti di astensione e ricusazione, conformemente al codice di procedura civile, diversamente da quanto avviene nel processo penale. Specificamente, è stato chiarito che l'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. non impone l'astensione del giudice che ha "conosciuto" la causa come magistrato in un altro grado del processo, a meno che non abbia partecipato a momenti decisivi dello stesso.

Questa interpretazione è stata avvalorata dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha confermato che la normativa sull'obbligo di astensione deve essere interpretata in modo restrittivo, a tutela del principio del giudice naturale. Di conseguenza, il magistrato che ha redatto la “proposta di definizione” può legittimamente far parte del collegio che decide il merito del giudizio, purché non si verifichino fasi successive di impugnazione di una decisione già presa.

La sentenza ribadisce quindi che, in assenza di specifiche disposizioni contrarie e di una decisione impugnabile, non esistono basi per l'incompatibilità del giudice proponente nell'ambito del procedimento regolato dall'art. 380-bis c.p.c.

Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, consigliere delegato alla formulazione della proposta di definizione, composizione del Collegio giudicante come relatore, incompatibilità, esclusione

Nel procedimento ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., come disciplinato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell'art. 380 - bis. 1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.

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Cassazione civile, sez. un., sentenza 10/04/2024 (ud. 27/02/2024) n. 9611

FATTI DI CAUSA

1. La.Ma. e Ro.An. hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1227/2022 della Corte d'appello di Ancona, pubblicata il 30 settembre 2022.

Resistono con controricorso La.Ma. e La.Ma., mentre l'altro intimato La.Ma. non ha svolto attività difensive.

2. Il giudizio ebbe inizio nel 2016, allorché La.Ma. e Ro.An. convennero dinanzi al Tribunale di Ancona La.Ma., La.Ma. e La.Ma. per sentir accertare l'inesistenza di una servitù di passaggio a carico del fondo di proprietà degli attori, sito nel Comune di S (compreso in più ampio parco che si estende alle pendici del monte C) ed a vantaggio della "punta panoramica" (particella n. Omissis), nonché per ottenere la costituzione giudiziale di una servitù di passaggio pedonale in favore della medesima "punta panoramica", interclusa e priva di collegamento alla pubblica via, individuandone tracciato e modalità di esercizio. I convenuti La.Ma. e La.Ma., nel costituirsi, domandarono in via riconvenzionale di accertare l'esistenza di una servitù di passaggio a vantaggio di distinto fondo di loro proprietà (particelle nn. Omissis e Omissis).

2.1. L'adito Tribunale di Ancona con sentenza del 22 gennaio 2018 rigettò le domande degli attori ed accolse la riconvenzionale, dichiarando che a favore e contro i fondi ivi indicati sussisteva una servitù di passaggio come imposta nella sentenza di divisione del parco pronunciata inter partes il 17 dicembre 2010 dal Tribunale di Ancona (confermata dalla Corte d'appello con sentenza del 13 luglio 2015), sulla base dell'accordo raggiunto dai contendenti.

2.2. Venivano proposti appelli in via principale da La.Ma. ed Ro.An. ed in via incidentale da La.Ma. e La.Ma. (al sol fine di integrare la pronuncia di primo grado "con l'indicazione dei dati catastali omessi" dal Tribunale). L'appello principale è stato respinto, mentre è stato accolto l'incidentale, provvedendo la Corte d'appello nel dispositivo della sentenza a dichiarare che a carico del fondo di proprietà di La.Ma. ed Ro.An., individuato con i relativi dati catastali, ed "in favore di La.Ma.", ovvero a vantaggio dei fondi, individuati con i relativi dati catastali, che vedono quest'ultimo quale titolare del diritto di superficie, ovvero quale proprietario esclusivo o, per i beni in comproprietà, nei limiti delle quote di sua spettanza, "si è costituita per destinazione del padre di famiglia una servitù di passaggio da esercitarsi sulla strada della larghezza di circa mt. 4 attualmente esistente".

2.3. Il primo motivo del ricorso di La.Ma. e Ro.An. denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riguardo alla interpretazione della citazione introduttiva del giudizio, nella quale gli attori chiedevano di dichiarare l'inesistenza di servitù gravante sul loro fondo a vantaggio della "punta panoramica" (particella n. Omissis), e non invece, come ritenuto dai giudici del merito, a vantaggio della proprietà di La.Ma. (particelle nn. Omissis e Omissis).

Il secondo motivo di ricorso lamenta l'omessa motivazione, comportante la nullità della sentenza, sempre sul punto attinente alla individuazione del fondo asseritamente dominante.

Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1027,1028 e 1062 c.c., in quanto la ritenuta costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, conseguente all'intervenuta divisione giudiziale tra i fratelli La., non poteva che stabilirsi a favore della "punta panoramica", giacché rimasta totalmente interclusa per effetto della divisione.

Il quarto motivo di ricorso, infine, denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., "sub specie del travisamento della prova", la violazione dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., ed ancora la violazione o falsa applicazione dell'art. 1062 c.c. Questa censura contesta che al momento della divisione dei fondi (17 dicembre 2010) vi fossero opere visibili e permanenti (in particolare, la strada) destinate all'esercizio della pretesa servitù di passaggio gravante sul fondo separato attribuito a La.Ma. e Ro.An.

2.4. I controricorrenti hanno chiesto di dichiarare inammissibile, o comunque di respingere il ricorso.

3. Il Consigliere delegato, rilevato che i quattro motivi del ricorso di La.Ma. e Ro.An. avverso la pronuncia di accoglimento della domanda riconvenzionale di confessoria servitutis "si risolvono in doglianze di merito relative all'accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite agli atti del giudizio di merito (in particolare, sotto i profili della individuazione del fondo dominante e della valutazione dei presupposti per la costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia)", e perciò ravvisata la "inammissibilità e/o manifesta infondatezza" del ricorso stesso, aveva proposto con provvedimento dell'11 marzo 2023 la definizione del giudizio a norma dell'art. 380 - bis c.p.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022.

I ricorrenti hanno chiesto la decisione del ricorso con istanza del 20 aprile 2023.

La trattazione del ricorso era stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 - ter, e 380 - bis 1, c.p.c., per l'adunanza del 28 settembre 2023, nominandosi relatore lo stesso Consigliere estensore della proposta di definizione mediante procedimento per la decisione accelerata.

In data 13 settembre 2023 è stata formulata dai ricorrenti istanza di rimessione alle Sezioni Unite, sollevandosi la questione della legittimità della composizione del Collegio giudicante, perché di esso fa parte il Consigliere estensore della proposta di decisione accelerata del ricorso, il quale, ad avviso dei ricorrenti, verserebbe in una situazione di incompatibilità, in ragione del principio di imparzialità del giudice.

Con decreto del 19 settembre 2023 la Prima Presidente, ai sensi degli artt. 374, comma 2, e 376 c.p.c., ha disposto che sul ricorso la Corte pronunci a sezioni unite, presentando una questione di massima di particolare importanza: se, nel procedimento ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., il Consigliere che ha redatto la proposta di decisione accelerata opposta possa entrare a comporre, con la veste di relatore, il Collegio giudicante. La questione investe il procedimento di cui all'art. 380 - bis c.p.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, che costituisce una novità assoluta nel giudizio di cassazione. Il decreto della Prima Presidente evidenzia che il "filtro ex art. 380 - bis c.p.c. assume una rilevanza centrale nel disegno del legislatore delegato e nella organizzazione della Corte di cassazione, essendo connotato da una potenziale definitorietà che si realizza in dipendenza del comportamento della parte interessata, con finalità deflattive del contenzioso". La questione è inoltre "complessa", essendo in gioco "il principio di imparzialità del giudice e il confronto con la giurisprudenza costituzionale". Il decreto di rimessione alle Sezioni Unite segnala altresì il contrasto di interpretazioni dottrinali sul punto, alcune che escludono ogni profilo di incompatibilità della partecipazione del consigliere proponente alla decisione collegiale, altre che dubitano della parzialità dello stesso estensore della proposta, in quanto "influenzato dal suo anteriore pre - giudizio sulla medesima res iudicanda".

Ha depositato memoria il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Alessandro Pepe, chiedendo di dichiarare insussistente l'incompatibilità del redattore della "proposta di definizione" a partecipare al collegio nel procedimento di cui al novellato art. 380 - bis c.p.c., con ritrasmissione del ricorso alla Seconda sezione civile per la relativa decisione.

Hanno depositato memorie anche le parti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La questione rimessa alla decisione di queste Sezioni Unite con decreto del 19 settembre 2023 della Prima Presidente, ai sensi degli artt. 374, comma 2, e 376 c.p.c., viene così definita: se, nel procedimento ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., il Consigliere che ha redatto la proposta di decisione accelerata opposta possa entrare a comporre, con la veste di relatore, il Collegio giudicante.

2. La questione riguarda la formulazione dell'art. 380 - bis c.p.c. (Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati) introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. In tale formulazione l'art. 380 - bis c.p.c. (che era stato inserito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e poi più volte sostituito fin da ultimo dal d.l. n. 168 del 2016, convertito nella legge n. 197 del 2016), stando al regime transitorio dettato dall'art. 35 del D.Lgs. n. 149 del 2022, come modificato dalla legge n. 197 del 2022, si applica anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.

Il testo vigente dell'art. 380 - bis c.p.c. dispone:

"(I). Se non è stata ancora fissata la data della decisione, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto. La proposta è comunicata ai difensori delle parti.

(II). Entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, può chiedere la decisione. In mancanza, il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvede ai sensi dell'articolo 391.

(III). Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell'articolo 380 - bis. 1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell'articolo 96".

È stata in tal modo data attuazione dal D.Lgs. n. 149 del 2022 all'art. 1, comma 9, della legge di delega 26 novembre 2021, n. 206, che, nell'indicare i principi e criteri direttivi da rispettare nelle modifiche da apportare al codice di procedura civile in materia di giudizio di cassazione, richiedeva (oltre che, tra l'altro: l'unificazione dei riti camerali disciplinati dall'art. 380 - bis e dall'art. 380 - bis. 1; la soppressione della sezione prevista dall'art. 376 e lo spostamento della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici; la soppressione del procedimento disciplinato dall'art. 380 - bis), alla lettera e), di "introdurre un procedimento accelerato, rispetto all'ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, prevedendo: 1) che il giudice della Corte formuli una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni dell'inammissibilità, dell'improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata; 2) che la proposta sia comunicata agli avvocati delle parti; 3) che, se nessuna delle parti chiede la fissazione della camera di consiglio nel termine di venti giorni dalla comunicazione, il ricorso si intenda rinunciato e il giudice pronunci decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero della parte soccombente che non presenta la richiesta di cui al presente numero dal pagamento di quanto previsto dall'articolo 13, comma 1 - quater, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115".

La Relazione illustrativa al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a proposito dell'art. 380 - bis, spiegava che tale procedimento, volto alla definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati, è destinato a svolgere la "funzione di filtro" dapprima assegnata alla "apposita sezione" di cui all'art. 376, comma 1, c.p.c., e così "sviluppa e completa il disegno prefigurato dalla legge delega, tenendo presenti gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione avuti di mira dal legislatore delegante". La Relazione aggiungeva che la proposta di inammissibilità, di improcedibilità o di manifesta infondatezza formulata dal presidente della sezione o dal consigliere delegato prefigura "un esito negativo per il ricorso, con un'uscita anticipata dalla Corte"; mentre l'espresso richiamo all'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 96, terzo e quarto comma, nel caso di decisione conforme alla proposta di definizione, discenderebbe dalla "realistica presa d'atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata".

3. Nelle prime interpretazioni del novellato art. 380 - bis c.p.c., questa Corte ha avuto già occasione di soffermarsi sui presupposti di applicabilità del terzo e del quarto comma dell'art. 96 c.p.c., allorché, appunto, il giudizio, all'esito dell'istanza di decisione, sia definito in conformità alla proposta di decisione accelerata (Cass. Sez. Unite, ordinanze n. 36069, n. 27195, n. 28540 e n. 27433 del 2023). In queste pronunce, il nuovo art. 380 - bis è stato qualificato in termini di strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l'individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un'ipotesi di abuso del diritto di difesa, giacché non attenersi alla "delibazione" (altrimenti definita "valutazione") del presidente o del consigliere delegato, che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata. Si è comunque raccomandata una interpretazione della norma che non conduca ad un indifferenziato automatismo sanzionatorio, dovendo l'applicazione del terzo e del quarto comma dell'art. 96 c.p.c. rimanere pur sempre affidata alla analisi delle caratteristiche del caso di specie.

4. Per dare soluzione alla questione di massima di particolare importanza rimessa a queste Sezioni Unite, se, cioè, il presidente della sezione o il consigliere da questo delegato, il quale abbia formulato la proposta di definizione accelerata del giudizio, possa far parte del collegio che pronunci sul ricorso, nel caso che il ricorrente abbia chiesto la decisione, occorre dapprima rappresentare l'elaborazione della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e della Corte costituzionale sul principio di imparzialità - terzietà della giurisdizione e sulla incompatibilità del giudice, che subisca la "forza della prevenzione" per aver già conosciuto della causa, a partecipare ulteriormente al giudizio, avendo particolare riguardo al processo civile.

5. La Corte EDU, nell'interpretare l'art. 6 par. 1 della Convenzione, a proposito del diritto "a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge", spiega che: l'imparzialità del giudice significa assenza di pregiudizio (Corte EDU, 9 gennaio 2018, Nicholas c. Cipro); l'imparzialità va verificata sia in base ad un criterio soggettivo, attinente ad un determinato giudice con riguardo ad una causa particolare, sia in base ad un criterio oggettivo, che riguarda soprattutto le garanzie offerte dalla composizione del tribunale (Corte EDU 25 settembre 2018, Denisov c. Ucraina); le procedure nazionali in materia di astensione dei giudici, oltre a garantire l'imparzialità della giurisdizione eliminando ogni ragionevole dubbio, devono anche eliminare ogni apparenza di parzialità (Corte EDU, 15 luglio 2005, Meznaric c. Croazia; Corte EDU, 15 ottobre 2009, Micallef c. Malta; Corte EDU, 19 ottobre 2021, Miroslava Todorova c. Bulgaria); il difetto di imparzialità dell'organo giurisdizionale, oltre cha da situazioni di natura personale, può discendere da situazioni di natura funzionale, quali quelle correlate allo svolgimento di diverse funzioni (ad esempio, consultive e giurisdizionali) nella medesima causa da parte dello stesso soggetto (Corte EDU, 6 maggio 2003, Kleyn e altri c. Paese Bassi); per stabilire se la partecipazione del medesimo giudice a diverse fasi di una causa civile sia conforme al requisito di imparzialità di cui all'art. 6 par. 1 CEDU, occorre procedere ad una valutazione caso per caso (Corte EDU, 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino; Corte EDU, 1° dicembre 2020, Guòmundur Andri Àstraòsson c. Islanda); il fatto che un giudice abbia già adottato una decisione nella fase pre - processuale o che abbia una conoscenza particolareggiata della causa non comporta alcun pregiudizio sulla sua imparzialità al momento della pronuncia finale, purché questa sia svolta al momento della sentenza che chiude il giudizio sulla base delle difese svolte dalle parti e non sia vincolata dalle questioni definite nella fase pregressa (Corte EDU 6 giugno 2000, Morel c. Francia; Corte EDU, 24 luglio 2012, Toziczka c. Polonia); il difetto di imparzialità oggettiva in relazione ad un componente del collegio che abbia prima della decisione assunto una particolare posizione nel processo non mina ex se la imparzialità del collegio, dovendosi tener conto altresì del numero dei giudici che partecipano alla sentenza e del ruolo rivestito nell'organo collegiale (Corte EDU, 4 marzo 2014, Fazli Aslaner c. Turchia; Corte EDU, 31 agosto 2021, Karrar c. Belgio).

6. La Corte costituzionale, a sua volta, afferma che: il "principio di imparzialità - terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo" (sentenza n. 387 del 1999) ed è compreso nel "giusto processo", giacché connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, e condiziona l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio (sentenza n. 7 del 2022); la disciplina sull'incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento trova la sua ratio proprio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice, mirando a escludere che questi possa pronunciarsi condizionato dalla "forza della prevenzione", cioè dalla tendenza a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito ed a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda (ex multis, sentenze n. 172 del 2023, n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022, n. 66 del 2019, n. 183 del 2013; n. 387 del 1999); l'imparzialità del giudice richiede, invero, che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto "terzo", scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi (sentenza n. 155 del 1996); per potersi ritenere sussistente l'incompatibilità endoprocessuale del giudice, devono, quindi, concorrere le seguenti condizioni: a) che le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) che il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all'assunzione di una decisione; c) che quest'ultima abbia natura non "formale", ma "di contenuto", ovvero comporti valutazioni sul merito; d) che la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento.

La necessità che la valutazione pregiudicante si collochi in una distinta fase del procedimento si spiega con la contemporanea esigenza che, all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. In queste ipotesi, il provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il giudice è già correttamente investito (sentenze n. 172 e n. 91 del 2023; n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022).

Quanto, in particolare, al processo civile, pur considerate le differenze col sistema delle incompatibilità proprie del processo penale (sentenza n. 78 del 2015; ordinanza n. 497 del 2002), le implicazioni poste dall'art. 111, secondo comma, Cost. portano ad interpretare l'art. 51, comma 1, numero 4), c.p.c., il quale contempla l'obbligo di astensione per il giudice che "ha conosciuto" della causa "come magistrato in altro grado del processo" (cui corrisponde il diritto di ricusazione delle parti: art. 52 c.p.c.), nel senso che la nozione di "altro grado" sia riferibile non soltanto alla relazione di competenza funzionale fra i diversi uffici giudiziari sottordinati e sovraordinati previsti dall'ordinamento giudiziario, ma anche alla progressione fra le distinte fasi che si susseguono nel medesimo giudizio civile con carattere di autonomia e con contenuti e finalità impugnatorie, nella specie ove si tratti di dover rendere una "pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell'azione proposta nella prima fase, ancorché avanti allo stesso organo giudiziario" e sia "circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi" dal giudice del primo segmento procedimentale (sentenze n. 45 del 2023, n. 78 del 2015, n. 460 del 2005, n. 387 del 1999). Esempio di procedimento di natura lato sensu impugnatoria, da attrarre nella cornice delle garanzie costituzionali in tema di terzietà - imparzialità del giudice, è quello che dia vita ad una revisio prioris instantiae, la quale può tramutarsi in "meccanismo di reiterazione provvedimentale" e sprigionare la "forza della prevenzione" in termini contrari a tali garanzie (sentenza n. 45 del 2023).

Viceversa, neppure sussiste l'esigenza di ordine costituzionale dell'astensione, rispetto alla pronuncia della sentenza, del giudice che abbia emesso una ordinanza con effetto anticipatorio della decisione definitiva nell'ambito di un meccanismo potenzialmente idoneo a concludere il grado del processo, stabilito a fini essenzialmente deflattivi del contenzioso, ritenuti conseguibili grazie alla eventuale rinuncia delle parti ad una successiva pronuncia di tale sentenza; ferme le garanzie difensive, la continuità del medesimo giudice nel condurre il processo fino alla decisione conclusiva salvaguarda nel contempo l'esigenza di un pieno rendimento dell'attività giurisdizionale, secondo il principio di concentrazione degli atti e di economia endoprocessuale (ordinanze n. 168 e n. 533 del 2000).

L'interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 51, comma 1, numero 4, c.p.c., dunque, comporta: che si debba riconoscere connotata di "intrinseca natura impugnatoria" la fase che si svolge davanti al medesimo ufficio giudiziario e sottoponga a revisio un provvedimento avente "una funzione decisoria idonea di per sé a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale e provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione del merito), ma anzi suscettibile - in caso di mancata opposizione - di assumere valore di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti"; e che, inoltre, il provvedimento preveniente sia volto ad esprimere una "valutazione delle condizioni" che ne legittimano l'adozione non divergente, quanto a parametri di giudizio, "da quella che deve compiere il giudice dell'eventuale opposizione, se non per il carattere del contraddittorio e della cognizione sommaria" (sentenze n. 45 del 2023, n. 460 del 2005, n. 387 del 1999).

7. In dottrina non si è mancato di appuntare criticamente le interpretazioni raggiunte dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità sul terreno delle incompatibilità del giudice nel processo civile, lamentando la lettura riduttiva prescelta al riguardo dalla riformulazione dell'art. 111 Cost. operata nel 1999. In sostanza, l'attuazione del principio di terzietà ed imparzialità del giudice civile, pure dopo la costituzionalizzazione del "giusto processo", sarebbe stata lasciata al funzionamento dei meccanismi di astensione e ricusazione stabiliti dagli articoli 51 e 52 del codice di procedura. Sono stati, piuttosto, riconosciuti i meriti del legislatore, per avere di recente proceduto ad una frequente tipizzazione di ipotesi di incompatibilità rispetto alla trattazione dei giudizi di opposizione o alla partecipazione dei collegi di reclamo del giudice che abbia pronunciato il provvedimento, rispettivamente, opposto o reclamato. Un ulteriore esempio si avrebbe, da ultimo, nei modelli degli artt. 183 - ter e 183 - quater c.p.c., introdotti dal D.Lgs. n. 149 del 2022, in caso di accoglimento del reclamo e di prosecuzione del giudizio. Tali ipotesi di incompatibilità, peraltro, dando luogo a specificazioni dell'obbligo di astensione, possono comunque essere dedotte dalle parti soltanto col rimedio della ricusazione ex art. 52 c.p.c., e non in sede di impugnazione come motivo di nullità (così, ad esempio, Cass. Sez. Unite n. 1545 del 2017).

Facendo uso dei principi indicati dalla giurisprudenza convenzionale nella interpretazione dell'art. 6 par. 1 CEDU, il vulnus dell'imparzialità del giudice che abbia "conosciuto" della causa, a mente dell'art. 51, comma 1, numero 4), c.p.c., emergerebbe in base al criterio soggettivo, individuando quel determinato magistrato la cui neutralità sia alterata dalla "forza della prevenzione", ma atterrebbe, in realtà, alla garanzia oggettiva della necessaria diversità fra il giudice della decisione e il giudice deputato al riesame o al controllo su di essa.

La piena realizzazione della imparzialità del giudice, ex art. 111, comma 2, Cost., passa, dunque, per una corretta esegesi della nozione di "altro grado del processo", adoperata nell'art. 51, comma 1, numero 4), c.p.c. Come del resto chiarito dall'ormai consolidato orientamento della stessa Corte costituzionale, l'"altro grado del processo" che abbia procurato al giudice la preveniente conoscenza della causa non si esaurisce nel catalogo dei mezzi di impugnazione elencati dall'art. 323 c.p.c. Perciò la dottrina richiama costantemente l'attenzione sulle analoghe insidie che pongono i procedimenti oppositori e di reclamo, i quali sovente rivelano tratti comuni ai giudizi stricto sensu impugnatori.

L'"alterità del grado del processo", che determina l'obbligo di astensione del giudice e la facoltà della parte di chiederne la ricusazione, ad avviso delle più note elaborazioni scientifiche, dovrebbe così ravvisarsi ogni qual volta ci si trovi in presenza di un procedimento che: a) postula un riesame della medesima situazione sostanziale oggetto del giudizio, senza l'apporto di nuovo materiale probatorio e per il tramite della decisione assunta proprio da quel determinato magistrato, in maniera da pervenire, all'esito di tale rinnovata verifica delle questioni che questo aveva già esaminato, ad una pronuncia che ha natura ed effetto sostitutivi di quella gravata; b) resta rimesso all'indispensabile e tempestiva iniziativa di una parte che abbia interesse a modificare la regolamentazione delle contrapposte ed interdipendenti pretese contenuta in detta decisione, la quale diviene altrimenti immodificabile; c) viene affidato alla competenza funzionale di un giudice diverso da quello che si è già pronunciato.

7.1. Una strada alternativa percorsa in dottrina ha ipotizzato l'applicabilità analogica al processo civile della causa di ricusazione del giudice stabilita dall'art. 31, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., allorquando egli abbia "manifestato indebitamente il proprio convincimento" sul merito della res iudicanda, ipotesi sussistente allorché il magistrato abbia anticipato una siffatta valutazione senza che fosse imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, né funzionale al provvedimento incidentale adottato (Cass. Sez. Unite penali, n. 41263 del 2005).

Ciò ha indotto tuttavia subito a replicare che nel processo civile giammai possa fraintendersi come "manifestazione indebita" l'espressione anticipata del proprio convincimento sull'esito della lite fatta dal giudice mediante provvedimenti regolati dalla legge e che contribuiscono alla formazione progressiva del contenuto della decisione definitiva, rendendo anche più prevedibile lo stesso per le parti.

8. Come registra il decreto della Prima Presidente di rimessione alle Sezioni Unite, nei commenti dottrinali relativi al procedimento ex art. 380 - bis c.p.c., alla stregua del testo introdotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, è stata espressa l'opinione che il presidente della sezione o il consigliere da questo delegato, autore della sintetica proposta di definizione del giudizio, ove la parte ricorrente chieda la decisione, versi in una situazione di incompatibilità a comporre il collegio chiamato a definire il giudizio di cassazione ai sensi dell'art. 380 - bis.1 c.p.c. In tal senso deporrebbero, indicativamente, la rubrica dello stesso art. 380 - bis, che parla di "(p)rocedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati" e la constatazione che l'accelerazione si riduce a questa fase prodromica del giudizio. Viene segnalata la similitudine tra la "proposta di definizione del giudizio" di cui al novellato art. 380 - bis c.p.c. e la "proposta di conciliazione del giudice" di cui all'art. 185 - bis c.p.c. (ed anche all'art. 420, comma 1, c.p.c.), ove, per la verità, è tuttavia precisato che "(l)a proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice"; si assume che il giudice che formuli e motivi una proposta di definizione, ritenendo il ricorso per cassazione manifestamente infondato, inammissibile o improcedibile, perde la sua posizione di terzietà ed imparzialità rispetto alla causa, allorché la stessa debba essere decisa su istanza del ricorrente, rimanendo influenzato dal suo pre - giudizio o comunque apparendo non più neutrale alle parti. Nonostante il nome di "proposta di definizione" prescelto dal legislatore, quel che l'art. 380 - bis affida al presidente della sezione o al consigliere delegato configurerebbe, piuttosto, una "decisione", tant'è che l'effetto suo proprio (ove il ricorrente non "reagisca" entro quaranta giorni), e cioè l'estinzione del processo e il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, si produce senza bisogno di alcuna espressa accettazione del destinatario. Altrimenti, si ravvisa nella "proposta di definizione" una sorta di contenuto decisorio, sia pure sulla base di una valutazione delibativa, e nella investitura del Collegio, mediante la istanza di decisione, una sorta di reclamo. Queste letture avvertono che la "proposta di definizione" contemplata nel modello processuale allestito dal D.Lgs. n. 149 del 2022 è cosa diversa dalla proposta del relatore rivolta al presidente, come dalla relazione rivolta al collegio, contemplate nelle previgenti versioni dell'art. 380 - bis c.p.c. Saremmo in presenza, piuttosto, di un "giudice singolo" di Cassazione, il quale opera in modo del tutto svincolato dal collegio (interloquendo unicamente con le parti private e senza alcun coinvolgimento nemmeno del pubblico ministero) e il cui provvedimento monocratico è votato a definire la fase della decisione accelerata, alla quale, eventualmente, segue una diversa fase oppositoria, subordinata alla tempestiva istanza di parte sottoscritta da difensore non a caso "munito di una nuova procura speciale", e che la Corte definisce in camera di consiglio, venendo meno il beneficio del mancato raddoppio del contributo unificato (comma 1 - quater. 1 dell'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002) se il ricorso è respinto integralmente o è dichiarato inammissibile o improcedibile, e comminando altresì le sanzioni di cui al terzo ed al quarto comma dell'art. 96 c.p.c. se la decisione finale risulta conforme alla "proposta". Questo apparato sanzionatorio eserciterebbe una forte coartazione della volontà del ricorrente, rendendo nei fatti la proposta difficilmente rifiutabile.

In sostanza, il provvedimento acceleratorio del presidente della sezione o del consigliere da questo delegato darebbe luogo ad una anticipazione di giudizio e perciò deporrebbe per l'incompatibilità a comporre il collegio della definizione camerale, e vieppiù ad essere nominato relatore (il che, del resto, gli artt. 380 - bis e 380 bis.1 non prevedono testualmente). Le interpretazioni dottrinali in esame dubitano altrimenti della legittimità costituzionale dell'art. 380 - bis c.p.c. con riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., ed affermano che il giudice che abbia elaborato la proposta e poi faccia anche parte del collegio giudicante può essere fondatamente ricusato dalle parti, ex art. 52 c.p.c., in relazione all'art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c.

9. È noto che questa Corte, nella vigenza della precedente disciplina del procedimento per la decisione in camera di consiglio sull'inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, aveva ripetutamente escluso che ricorresse l'obbligo di astensione di cui all'art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in capo al giudice relatore autore dapprima della "relazione" e poi della "proposta" ai sensi del primo comma dell'art. 380 - bis c.p.c., ratione temporis operante, non rivelando detta relazione o proposta carattere decisorio, né configurandosi quale anticipazione di giudizio da parte del relatore, giacché non ne risultava in alcun modo menomato il verdetto finale spettante al collegio (ex multis, Cass. n. 27305 e n. 8939 del 2021; n. 2720 del 2020; n. 7541 del 2019; n. 24140 del 2010; n. 24612 del 2007; arg. anche da Cass. Sez. Unite n. 7433 e n. 8999 del 2009).

Era stata pure dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 377 e 380 - bis c.p.c., con riferimento all'art. 52 c.p.c. ed in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., nella parte in cui si consentiva che il giudice relatore potesse comporre il collegio giudicante nel procedimento camerale di cassazione. A proposito della relazione prevista nel modello inserito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, la quale recava una concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto posti a sostegno della prospettata decisione camerale, le pronunce descrivevano la stessa non come segmento di decisione da sottoporre all'approvazione del collegio, né come qualificata opinione versata agli atti, ma quale mera proposta ipotetica di definizione processuale accelerata, rivolta ad indicare alle parti e al collegio, a contraddittorio dispiegato sull'intero thema decidendum, la possibile ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 375 c.p.c. (Cass. n. 18047 del 2008; n. 9094 e n. 20965 del 2007).

Della prima versione dell'art. 380 - bis c.p.c., d'altro canto, si era detto che esso riprendeva dalla storia il modello dell'istituto dell'"opinamento", ove si prevedeva, nell'intento di garantire il rispetto del contraddittorio, la comunicazione alle parti di un progetto di motivazione, il quale non fungeva da atto di volontà, ma serviva a manifestare un dubbio, cui soltanto la sentenza avrebbe dato risposta. Anche rispetto all'"ordinanza opinata", con cui la Corte deliberava sul ricorso a seguito della comunicazione della relazione e della presentazione delle conclusioni del pubblico ministero e delle memorie delle parti nella vigenza del "primo" art. 380 - bis c.p.c., era stato avanzato dagli studiosi il sospetto di un deficit di terzietà del relatore, che prima comunicava il suo opinamento e poi partecipava alla decisione. Si era tuttavia rimarcato che la relazione opinata valesse, piuttosto, ad assicurare una preventiva ostensione della proposta di definizione, in maniera da evitare alle parti "sorprese" al momento della decisione e da favorirne, nell'ottica della collaborazione, l'adozione delle conseguenti scelte difensive.

10. Nelle prime interpretazioni seguite da questa Corte, si è affermato che il "nuovo" art. 380 - bis c.p.c. non ha inciso "sull'essenza collegiale della giurisdizione di legittimità", in quanto la proposta di definizione accelerata, conformemente alle sue predecessore, continuerebbe "a rappresentare un mero opinamento del relatore proponente, privo di valore decisionale, il novum essendo rappresentato unicamente dalla richiesta del legislatore di una interlocuzione della parte". L'impulso di definizione del giudizio resterebbe rimesso alla volontà del ricorrente, il quale si trova di fronte all'alternativa tra: non chiedere la decisione entro il termine stabilito, il che dà luogo ad una "manifestazione tacita di rinuncia al ricorso", disciplinata come la rinuncia regolata dagli artt. 390 e 391 c.p.c. e che comporta la definizione del giudizio "non come indicato nella proposta"; oppure, formulare "una mera istanza, non motivata", la quale "di per sé provoca la decisione della Corte" (così Cass. n. 31839 del 2023).

11. I commenti dottrinali sono invece più propensi a sottolineare le differenze che le analogie tra i vecchi modelli di procedimento camerale ex art. 380 - bis c.p.c. e quello da ultimo introdotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022. Nei modelli previgenti, l'ipotesi decisoria veicolata nella relazione o nella proposta veniva anticipata ai difensori, ma non "chiudeva" mai il procedimento, al quale fine occorreva pur sempre che la Corte deliberasse sul ricorso con ordinanza, o con sentenza se la medesima Corte rinviava la causa alla pubblica udienza. Il tipo del provvedimento decisorio in tali modelli era, dunque, come si è già detto, quello dell'ordinanza "opinata". Questa ricostruzione sorreggeva la conclusione circa la "non incompatibilità" del relatore rispetto al collegio giudicante, giacché autore di un atto dell'unico procedimento decisorio di per sé privo di autonomia provvedimentale; anzi, la possibilità che il relatore partecipasse al collegio chiamato a pronunciare sul ricorso sembrava garanzia di conseguimento dello scopo acceleratorio del peculiare rito allestito per le ipotesi di inammissibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell'impugnazione.

Ben diverso risulterebbe il meccanismo del novellato art. 380 - bis c.p.c. Esso si strutturerebbe in una prima "fase" caratterizzata dalla formulazione della "proposta" del presidente di sezione o del consigliere delegato, provvedimento del tutto autonomo a valenza potenzialmente decisoria, giacché, in difetto di richiesta del ricorrente, il ricorso si intende rinunciato. Se invece la richiesta di decisione ci sia, il collegio non è investito di altro che di una sorta di revisio prioris instantiae sulla medesima res iudicanda già valutata dal presidente o consigliere proponente: si tratterebbe, dunque di una seconda fase procedimentale che duplica la cognitio della prima e perciò impone l'alterità dei giudici, sicché il medesimo proponente sarebbe incompatibile ad assumere la qualità di componente del collegio.

12. La questione rimessa a queste Sezioni Unite con decreto del 19 settembre 2023 della Prima Presidente, va risolta nel senso che, nel procedimento ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., come disciplinato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell'art. 380 - bis. 1, ove il ricorrente abbia chiesto la decisione.

12.1. Il novellato art. 380 - bis c.p.c. prevede che il presidente della sezione, o il consigliere da questo delegato, può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, recante la sintetica indicazione delle ragioni dell'inammissibilità, dell'improcedibilità o della manifesta infondatezza del ricorso ravvisata (secondo quanto precisato dalla legge di delega n. 206 del 2021).

Tale proposta va comunicata ai difensori delle parti.

Entro quaranta giorni dalla comunicazione, la parte ricorrente può chiedere la decisione del ricorso con apposita istanza.

Questa istanza non apre una nuova "fase" del giudizio di cassazione pendente e non provoca, perciò, una frammentazione del procedimento, non potendosi imporre che, per la medesima fase del giudizio, vi siano tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere.

Non depone per l'esaurimento di una fase del giudizio di cassazione e per l'apertura di una distinta ed autonoma fase il dato che l'art. 380 - bis c.p.c. richiede che l'istanza di decisione, a seguito della comunicazione della proposta di definizione, sia sottoscritta dal difensore munito di nuova procura speciale.

Si è convincentemente sostenuto dai commentatori che la "nuova procura speciale" a corredo dell'istanza di decisione, di cui all'art. 380 - bis, comma 2, c.p.c., non va conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata (benché non contemplata fra gli atti di cui al terzo comma dell'art. 83 c.p.c.). Non si tratta, invero, di nuova procura alle liti, ma di procura a compiere, nell'interesse del ricorrente, uno specifico ed eventuale atto del processo di cassazione, il cui espletamento sollecita non soltanto l'adempimento dei doveri di informazione verso il cliente incombenti sull'avvocato nel contesto della disciplina sostanziale che regola il rapporto interno relativo al conferimento dell'incarico, ma onera altresì la Corte di verificare la diretta riferibilità alla parte della peculiare attività processuale svolta in tale segmento dal difensore.

Il legislatore, a fronte del rilievo attribuito nel secondo e nel terzo comma al sopravvenire della proposta che ravvisi l'inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso, ha quindi ritenuto, con scelta che non può dirsi né arbitraria né irragionevole, di porre a carico del difensore l'onere di farsi conferire espressamente il potere di chiedere la decisione, in maniera che la parte manifesti in modo univoco la sua volontà concreta e attuale di dare vita alla pronuncia del collegio. Tale limitazione del mandato conferito con la originaria procura ex art. 365 c.p.c. e della condotta processuale affidata al difensore postula soltanto l'osservanza di una ulteriore regola di procedura che può dirsi "mirata ad un'attivazione consapevole della giurisdizione di legittimità" (cfr. Corte cost., sentenza n. 13 del 2022).

12.2. Come chiarito nella sentenza della Corte costituzionale n. 142 del 2023 (la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001, nella parte in cui prevedeva l'inammissibilità della domanda di equa riparazione nel caso di mancato esperimento del rimedio preventivo di cui all'art. 1 - ter, comma 6, della medesima legge nei giudizi davanti alla Corte di cassazione), il "rito accelerato" delineato dal nuovo art. 380 - bis c.p.c. non ha alcuna attinenza con il sistema dei rimedi preventivi e dei correlati modelli procedimentali alternativi, volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga.

L'istanza sottoscritta dal difensore del ricorrente ex art. 380 - bis, comma 2, c.p.c., pur necessitando di nuova procura speciale, ha, dunque, soltanto effetto dichiarativo del permanente interesse alla decisione del ricorso già incardinato nel processo mediante la richiesta di cassazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. La Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149 del 2022 definisce l'istanza di decisione come necessario "atto di impulso processuale che coinvolga personalmente la parte ricorrente".

12.3. Ciò porta a ritenere che nessuna differenza funzionale sussiste, quanto al rapporto con la decisione finale del collegio, tra la "relazione" o la "proposta" delle precedenti formulazioni dell'art. 380 - bis c.p.c. e la attuale proposta di definizione accelerata del giudizio: quest'ultima, al pari delle sue predecessore, è rivolta alle parti, evita loro "sorprese" nell'ottica della collaborazione, assicura la dialetticità della procedura e provoca l'eventuale contraddittorio, non costituisce alcun vincolo né alcuna preclusione per il giudizio del collegio, è priva di autonomia, non "decide" anticipatamente, non definisce il procedimento, né si colloca in una fase diversa e compiuta rispetto a quella che poi porta la Corte a procedere ai sensi dell'art. 380 - bis.1 c.p.c.

12.4. La vera novità del novellato art. 380 - bis c.p.c. sta nell'aver previsto che la mancata dichiarazione del permanente interesse alla decisione del ricorso, da esprimere con l'istanza di cui al secondo comma, lascia "intendere rinunciato" il ricorso, sicché la Corte provvede ai sensi dell'art. 391 c.p.c. (ovvero con decreto del presidente, anziché secondo la regola di costituzione del collegio giudicante imposta dall'art. 67 ord. giud. e garantita ove sia chiesta la decisione).

Costituiva approdo già sicuro nella giurisprudenza di questa Corte che l'instaurazione del procedimento camerale ex art. 380 - bis c.p.c., con la comunicazione della relazione o della proposta che prospetti un determinato esito del ricorso, sia in ogni caso destinata a recedere ove la parte rinunci allo stesso, dovendo comunque alla manifestazione di tale volontà abdicativa seguire la declaratoria di estinzione anche qualora sussista una causa di inammissibilità o di manifesta infondatezza dell'impugnazione (Cass. Sez. Unite n. 19514 del 2008).

Nella disciplina del procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, si è inteso piuttosto attribuire significatività legale ad un determinato comportamento processuale omissivo del ricorrente, quale la mancata richiesta di decisione entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, intendendolo come equipollente alla manifestazione di una volontà abdicativa, e cioè di una tacita rinuncia, dell'impugnazione.

12.5. Il tenore letterale del vigente art. 380 - bis c.p.c., al pari delle formulazioni previgenti, se non depone nel senso della obbligatorietà della partecipazione al collegio del magistrato autore della proposta, neppure lascia inferire un suo obbligo di astensione e la possibilità di una sua ricusazione.

Adoperando, allora, gli indici operativi selezionati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, nel procedimento ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., come disciplinato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, non sussiste l'obbligo di astensione di cui all'art. 51, comma 1, numero 4), c.p.c. (né perciò spetta alle parti il diritto di ricusazione), nei confronti del presidente della sezione o del consigliere delegato che abbia formulato la proposta, con riguardo al collegio che definisce il giudizio ai sensi dell'art. 380 - bis. 1. La decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta della parte ricorrente non si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta di definizione accelerata, e non può dunque tramutarsi in "meccanismo di reiterazione provvedimentale". Tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione del collegio rivela una intrinseca natura impugnatoria rispetto a quella.

La proposta e l'ordinanza del collegio non danno luogo, cioè, a "due decisioni" sulla stessa causa, rimanendo unico il convincimento decisorio espresso nel provvedimento finale reso ai sensi dell'art. 380 - bis.1 c.p.c. Che l'ordinanza del collegio debba avere ad oggetto la decisione sul ricorso e non la legittimità della proposta di definizione anticipata è ulteriormente confermato dal generico rinvio operato dal terzo comma dell'art. 380 - bis al procedimento in camera di consiglio, ove si accorda alle parti soltanto la facoltà di depositare sintetiche memorie illustrative inerenti alle censure già proposte. La considerazione che non si apre, invece, un apposito contraddittorio sulla proposta di definizione del giudizio, consentendo o richiedendo alle parti di prendere posizione su di essa, appare in linea con la constatazione che la medesima proposta non entra innovativamente nell'oggetto del processo di cassazione, né può in alcun modo essere posta dal collegio a fondamento della decisione.

La proposta di cui al vigente art. 380 - bis c.p.c. realizza un assetto meramente strumentale e interinale, e rimane, quindi, prodromica alla decisione conclusiva che spetta al collegio; se ad essa non segue la richiesta di cui al secondo comma, il giudizio viene definito dal decreto che dichiara l'estinzione del giudizio emesso a norma dell'art. 391 c.p.c. (il che ne spiega la forma monocratica), e non con una statuizione confermativa della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza del ricorso ipotizzate dal proponente.

La previsione secondo cui "la Corte provvede ai sensi dell'articolo 391" comporta l'operatività altresì del terzo comma di tale norma, in forza del quale "(i)l decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione". Tale richiesta, da svolgersi nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, si spiega come sollecitazione alla fissazione dell'udienza per la decisione collegiale, non avente natura di impugnazione del provvedimento, quanto di atto che rimette alla Corte di valutare se l'estinzione sia stata correttamente dichiarata e, in caso contrario, di elidere qualsiasi valore del decreto di estinzione ai fini della definizione del giudizio di cassazione (Cass. Sez. Unite n. 19980 del 2014).

13. La partecipazione quale componente o la nomina quale relatore del presidente della sezione o del consigliere delegato proponente, ex art. 380 - bis c.p.c., al collegio che definisce il giudizio, ove il ricorrente abbia chiesto la decisione, non rilevano, pertanto, quali ragioni di incompatibilità, ai sensi dell'art. 51, comma 1, n. 4 e dell'art. 52 c.p.c.

Il proponente ex art. 380 - bis c.p.c. non ha di certo neppure manifestato indebitamente il proprio convincimento sul merito della res iudicanda. La sua partecipazione al collegio che definisce il giudizio può, anzi, contribuire ad assicurare sia un maggiore rendimento dell'attività giurisdizionale, sia una maggiore celerità della decisione, e perciò una migliore qualità dell'accertamento sui cui la stessa deve poggiare.

Tale conclusione non è frutto di un bilanciamento tra il canone oggettivo di efficienza dell'amministrazione della giustizia e il diritto delle parti ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice terzo e imparziale, in quanto tali valori non possono entrare in comparazione, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie: ai fini dei principi dettati sia dall'art. 111, secondo comma, Cost., sia dall'art. 6 della CEDU, ciò che rileva è esclusivamente la durata del "giusto" processo (Corte cost., sentenze n. 111 del 2022; n. 317 del 2009). L'interpretazione qui prescelta dell'art. 380 - bis c.p.c., quanto alla possibile partecipazione del magistrato autore della proposta al collegio che decide sul ricorso, poggia, piuttosto, sulla convinzione che detta partecipazione non confligge con il principio di terzietà del giudice e non costituisce affatto alcuna deroga all'attuazione del principio del giusto processo, sia pur ritenuta utile allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti di cassazione.

14. Può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto:

nel procedimento ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., come disciplinato dal D.Lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell'art. 380 - bis. 1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.

15. Queste Sezioni Unite, dopo aver pronunciato sulla questione pregiudiziale di massima di particolare importanza rimessa con decreto del 19 settembre 2023 della Prima Presidente, non ritengono opportuno decidere sui motivi di ricorso, il cui esame va perciò rimesso alla Seconda Sezione civile, a norma dell'art. 142 disp. att. c.p.c.

P.Q.M.

La Corte risolve la questione nei sensi di cui in motivazione e rimette alla Seconda Sezione civile la decisione del ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2024.

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