La qualificazione di un legato come "in sostituzione" di legittima, pur non richiedendo formule sacramentali, nè un'espressa menzione del testatore sull'alternativa offerta fra conseguimento del legato stesso e richiesta della legittima, postula che, dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie, risulti la chiara e inequivoca volontà del de cuius di tacitare il legittimario con l'attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, sicché, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi "in conto" di legittima.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina - Presidente -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. SABATO Raffaele - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Deceduto in (*) in data (*), Z.F. ha con testamento pubblico del 27.10.1994 così disposto: "Assegno a mia moglie P.C.B. l'usufrutto generale vitalizio dell'intero mio patrimonio mobiliare e immobiliare, comunque costituito e dovunque sito e che risulterà all'epoca del mio decesso... Alla stessa mia moglie assegno tutti i macchinari e attrezzi agricoli, trattori, motocoltivatori ed eventuale patrimonio zootecnico. Assegno a mia figlia Z.F.... la nuda proprietà dei seguenti immobili (segue elenco di n. 4 cespiti). Assegno a mio figlio Z.L. la nuda proprietà dei seguenti immobili (segue elenco di n. 16 cespiti). Assegno a mio figlio Z.G. la nuda proprietà dei seguenti immobili (segue elenco di n. 15 cespiti). Quanto non assegnato di beni immobili col presente testamento intendo che sia attribuito in parti uguali ai miei tre figli, gravato di usufrutto generale in favore di mia moglie. In parti eguali intendo anche assegnare tutti gli oneri e gravami in genere comunque ricadenti sulla mia intera proprietà... una volta consolidato l'usufrutto".
1.1. Tra i beni relitti nell'asse si sono rinvenuti beni mobili di significativo valore.
1.2. E' altresì emerso che in vita del de cuius ulteriori immobili mediante cinque atti - la cui qualificazione giuridica sostanziale è, per quanto in prosieguo, sub iudice - sono pervenuti ai figli e mediante altro atto a P.C.B., deceduta il (*).
2. Con atto di citazione notificato il 6.12.2004 Z.F. ha convenuto innanzi al tribunale di Lecce i germani Z.L. e G. chiedendo dichiararsi aperta la successione di Z.F. e procedersi alla ricostruzione di relictum e donatum, accertarsi la di lei quota di 1/3 dell'intero asse, ridursi proporzionalmente le disposizioni testamentarie a favore dei fratelli per essere la divisione del testatore lesiva della quota e gradatamente rescindersi la divisione per lesione, nonchè più gradatamente ridursi le disposizioni per lesione di legittima.
2.1. Si sono costituiti Z.L. e G. contestando la domanda e chiedendone il rigetto, anche previa richiesta riconvenzionale di imputazione di beni e liberalità, con diversa quantificazione della quota di riserva dell'attrice.
3. In sede di precisazione delle deduzioni sono sorte questioni circa la composizione dell'asse nonchè sulla qualificazione del lascito a favore di P.C.B., in tesi di Z.F. da considerarsi legato in sostituzione di legittima per cui, non avendo la legataria alcunchè obiettato, eredi erano i soli tre germani.
3.1. Previa precisazione delle conclusioni, con sentenza non definitiva depositata il 31.5.2007 il tribunale di Lecce, dichiarata aperta la successione, ha dichiarato P.C.B. erede, ritenendo istituzione di erede il lascito di usufrutto generale; ha dichiarato che il de cuius ha inteso istituire gli eredi in quote diseguali; ha accertato la quota di riserva spettante all'attrice nella misura di 1/6 ex art. 542 c.c., comma 2 per essere concorrenti i tre figli col coniuge;
e ha dichiarato la quota ereditaria assegnata all'attrice costituita dai beni individuati nella scheda testamentaria oltre all'attribuzione della quota di quanto ai figli assegnato in parti eguali di ciò che non era stato attribuito dei beni immobili, nonchè degli oneri e gravami; riservando al prosieguo del giudizio, tra l'altro, l'esame della questione della lesione della legittima.
4. Pronunciando sull'impugnazione proposta da Z.F., la corte d'appello di Lecce con sentenza depositata il 17.7.2012 l'ha accolta, statuendo tra l'altro:
che Z.F. ha attribuito con legato in sostituzione di legittima a P.C.B. l'usufrutto generale; che Z.F. ha conseguentemente diritto a una quota ereditaria pari a 1/3 dell'asse;
la revoca delle statuizioni della sentenza di primo grado in ordine alla quota di riserva e alla quota di beni assegnati all'attrice.
4.1. A supporto delle proprie determinazioni la corte territoriale ha preliminarmente precisato che, avendo il tribunale limitato l'oggetto della sentenza non definitiva alla quantificazione della quota spettante all'attrice, non poteva ampliarsi il tema del decidere; che, dipendendo la determinazione dei diritti di Z.F. dalla qualificazione del lascito a P.C.B., la corte d'appello stessa ha preferito accedere all'orientamento per cui costituisce legato il lascito avente ad oggetto l'usufrutto, generale o pro quota, dell'asse, non subentrando l'usufruttuario in rapporti qualitativamente eguali a quelli del defunto e derivando la sua responsabilità per i debiti dal meccanismo dell'art. 1010 cod. civ. e non dalla qualità di erede; ha ravvisato la volontà contraria del testatore all'istituzione quale erede della moglie nelle clausole concernenti l'attribuzione degli ulteriori immobili non menzionati ai figli unitamente agli oneri e gravami; qualificato dunque il legato come in sostituzione di legittima, non rinunciato, ha interpretato il testamento come teso ad attribuire ai figli quote eguali, stanti anche i significativi oneri da soddisfare per pendenze fiscali e retributive, ferma l'esigenza di determinare ex post la rispondenza delle assegnazioni alle quote.
5. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione Z.L. e G., su quattro motivi. Resiste Z.F. con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorrenti hanno ritenuto (cfr. p. 41 del ricorso e doc. sub f) di produrre copia di atto di annullamento in autotutela dell'Agenzia del Demanio del 4/5/2013 prot. 2013/13018 della richiesta di pagamento notificata a Z.F. per abusiva occupazione suolo demaniale; il documento, non previamente in atti, unitamente ad altri in atti viene invocato al fine di far emergere il venir meno delle pretese di terzi menzionate in sentenza come gravose (p. 14 e 15 della sentenza impugnata), quale argomento contrastante con l'interpretazione della volontà del testatore accolta dalla corte d'appello. Come eccepito da Z.F. (p. 23 del controricorso), la produzione è inammissibile. L'art. 372 cod. proc. civ., in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, fa testuale riferimento alla sola documentazione riguardante la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso. Se tale disposizione va interpretata nel senso che essa consente la produzione di ogni documento incidente, oltre che sull'ammissibilità, sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso o del controricorso, inclusi quelli diretti a evidenziare l'acquiescenza alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all'impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l'interesse alla pronuncia sul ricorso purchè riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti (ipotesi queste parificate alle questioni di ammissibilità: cfr. ad es. Cass. n. 3934 del 29/02/2016), il tenore della norma non può essere riferito a documento, quale quello prodotto, concernente un profilo di merito della lite.
2. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, da un primo punto di vista, "omesso esame" circa fatto decisivo indicato (p. 12) nella "irrilevanza della problematica sottesa alla natura... della disposizione testamentaria in favore di P.C.B.", alla luce della giurisprudenza (sono richiamate Cass. sez. U n. 13429 del 09/06/2006 e n. 13524 del 12/06/2006). Deducono altresì, da altro punto di vista, violazione "del principio di diritto fissato con le citate pronunce" "in tema di individuazione della quota di riserva spettante ai singoli legittimari, nonchè dell'art. 542 c.c., comma 2". Trattasi, in effetti, di distinte censure che vanno esaminate separatamente, potendo la seconda censura essere esaminata unitamente, come si dirà, al terzo motivo.
2.1. Il primo motivo, quanto alla prima censura, è inammissibile. Benchè i ricorrenti deducano "omesso esame" (con implicito riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5 applicabile però ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall'11/9/2012 giusta il D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012), la censura va esaminata sotto il più ampio spettro ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 previgente (essendo stata la sentenza impugnata depositata il 17/7/2012), risultante dalla riforma del giudizio di cassazione operata con la L. n. 40 del 2006 che ha sostituito nella norma il concetto di "punto decisivo della controversia" con quello di "fatto controverso e decisivo". In tal senso, il motivo di ricorso con il quale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. Invece la parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero una manifesta illogicità nell'attribuire ai fatti storici rilevanti un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi rispetto a uno o più fatti storici, si limita a dedurre l'"irrilevanza della problematica sottesa alla natura... della disposizione testamentaria in favore di P.C.B.", alla luce della giurisprudenza; trattasi, con ogni evidenza, non già di un fatto storico, ma di una questione o di una argomentazione giuridica. Va dunque data continuità all'indirizzo (cfr. Cass. n. 21152 del 08/10/2014) per cui l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione come detto riferita ad "un fatto controverso e decisivo per il giudizio", impone che il vizio dedotto attenga a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico, non assimilabile in alcun modo a "questioni" o "argomentazioni" che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate.
2.2. Quanto alla seconda censura, il primo motivo è strettamente connesso al terzo, con il quale si deduce "violazione e/o falsa applicazione" dell'art. 537 c.p.c., comma 2. Come detto, con la seconda censura inserita nel primo motivo si deduce violazione "del principio di diritto fissato con le citate pronunce" di Cass. n. 13429 del 2006 e 13524 del 2006 "in tema di individuazione della quota di riserva spettante ai singoli legittimari, nonchè dell'art. 542 c.p.c., comma 2". In particolare, si lamenta che - avendo le pronunce delle sezioni unite n. 13429 del 09/06/2006 e n. 13524 del 12/06/2006 statuito che, in tema di successione necessaria, l'individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione, dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari - "la quota di riserva della ricorrente" (rectius, resistente) andava e va determinata, in forza dell'art. 542 c.c., comma 2, all'evidenza obliterato dalla corte salentina, nella misura... di un sesto dell'asse ereditario" (p. 14 del ricorso). Parimenti, con il terzo motivo si lamenta che la corte locale, avendo attribuito la qualità di legataria alla coniuge superstite, "avrebbe dovuto, al postutto, ricondurre la fattispecie... (al) concorso dei soli figli" ex art. 537 c.c., comma 2, attribuendo la quota di 2/9, ciò che non è avvenuto.
2.3. Ciò posto, la doglianza predetta articolata nel primo motivo e il terzo motivo risulta inammissibile - per difetto di pertinenza rispetto al decisum. Come sopra riportato, la corte d'appello di Lecce con la sentenza impugnata, dopo aver ritenuto che Z.F. abbia attribuito con legato in sostituzione di legittima a P.C.B. l'usufrutto generale, si è limitata a statuire che Z.F. avrebbe conseguentemente diritto a una quota ereditaria pari a 1/3 dell'asse, espressamente revocando le statuizioni della sentenza di primo grado in ordine alla quota di riserva, ferma l'esigenza di determinare ex post la rispondenza delle assegnazioni. In base a tale dato, è dunque evidente come la censura - riferita a principi giuridici in tema di computo della quota di riserva sulla base della situazione esistente al momento dell'apertura della successione, i quali palesemente non sono stati in alcun modo in astratto applicabili, non essendo stata trattata alcuna questione in tema di successione dei riservatari - non attinga la decisione impugnata. Parimenti non coglie il decisum la doglianza per cui la quota da quantificarsi non avrebbe dovuto essere di 1/3, ma di 2/9; essa, con ogni evidenza, sconta una confusione tra il piano su cui si colloca la decisione impugnata (determinazione della quota ereditaria) e il piano, come detto non affrontato, della determinazione della diversa quota di riserva.
3. Con il secondo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., e dell'art. 542 c.c., comma 2 artt. 551 e 558 cod. civ. nonchè del principio di diritto" in ordine alla natura della vocazione, quale erede o legatario, mediante attribuzione un successibile dell'usufrutto generale.
3.1. Mediante il motivo i ricorrenti criticano, sostanzialmente, la statuizione della corte d'appello secondo la quale con la attribuzione al coniuge dell'usufrutto generale si sarebbe avuta istituzione di erede, da tre concorrenti angoli visuali: - il primo relativo alla circostanza per cui - al fine di operare tale apprezzamento - la corte locale avrebbe violato norme di ermeneutica indicate nei criteri ancorati all'intenzione del disponente e all'interpretazione complessiva delle clausole, con l'esigenza dell'analisi dell'atto di ultima volontà sotto il profilo sia soggettivo sia oggettivo (pp. 15-26 del ricorso); il secondo relativo alla parallela violazione dei criteri di legge distintivi tra disposizioni a titolo universale e a titolo particolare (desumibili, in particolare, dall'art. 588 cod. civ. - pp. 26-32 del ricorso), anche in tal caso con l'esigenza, da altro punto di vista, dell'analisi dell'atto di ultima volontà sotto il profilo sia soggettivo sia oggettivo; il terzo relativo alla pure contestuale violazione del criterio normativo distintivo tra legato in conto e legato in sostituzione di legittima, desumibile dall'art. 551 cod. civ. (pp. 32-34 del ricorso).
3.2. I tre profili possono essere esaminati congiuntamente tra loro, nonchè con il quarto motivo, essendo tutti strettamente connessi. Con il quarto motivo, invero, si denuncia violazione dei canoni interpretativi di cui all'art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1363 cod. civ., nonchè dell'art. 542 c.c., comma 2 e art. 734 cod. civ., oltre che di norme in materia di prove (artt. 115 e 116 cod. proc. civ., artt. 2727 e 2729 cod. civ.); in particolare, si svolgono con tale motivo argomentazioni che completano (e in parte si sovrappongono, come pure si sovrappongono in ampia parte le indicazioni relative alle norme violate) a quelle dianzi riepilogate in riferimento al secondo motivo.
3.3. Il secondo e il quarto motivo sono, nel loro complesso, fondati e vanno accolti nei limiti di cui in prosieguo.
3.4. In argomento, va anzitutto ribadito (sul punto v. ad es. Cass. n. 5604 del 17/04/2001 oltre altre) che l'interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura dì atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è caratterizzata rispetto a quella contrattuale da un più penetrante ricerca, al di là della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell'art. 1362 cod. civ., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell'esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione (art. 1363 cod. civ.), e, solo in via sussidiaria, ove cioè dal testo dell'atto non emerga con certezza l'effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, con il ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura, condizione sociale, ambiente di vita, ecc. L'accertamento di tale volontà, risolvendosi in una indagine di fatto da parte del giudice di merito, è, quindi, sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica sopradescritte, al di là dei vizi di motivazione della sentenza.
3.5. A fronte di ciò, la lettura della sentenza impugnata evidenzia effettivamente i denunciati vizi di violazione delle norme in tema di ermeneutica dei negozi di ultima volontà, di distinzione tra disposizioni a titolo universale e a titolo particolare, nonchè di distinzione tra legato in conto e in sostituzione di legittima.
3.6. In particolare, la corte territoriale, dato atto che - per effetto della limitata devoluzione derivante dalla sentenza non definitiva del tribunale - la determinazione dei diritti di Z.F. dipendesse allo stato - e salvi ulteriori accertamenti - dalla qualificazione del lascito a P.C.B., ha ritenuto non univoci gli approdi giurisprudenziali cui è addivenuta questa corte di legittimità in ordine al discusso tema della natura del lascito di usufrutto generale, rilevando come in qualche pronuncia l'attribuzione testamentaria di usufrutto generale fosse considerata come istituzione di erede (talora "senza alcun approfondimento motivazionale"), mentre in qualche altra fosse esclusa la successione in universum ius; onde la corte di merito ha preferito accedere all'orientamento della "dottrina più autorevole" per cui costituirebbe legato il lascito avente ad oggetto l'usufrutto, generale o pro quota, dell'asse, non subentrando l'usufruttuario in rapporti qualitativamente eguali a quelli del defunto e derivando la sua responsabilità per i debiti dal meccanismo dell'art. 1010 cod. civ. e non dalla qualità di erede (pp. 8-10 della sentenza impugnata).
3.1. Già da tale punto di vista, senza che sia necessario - per difetto di rilevanza - per questa corte prendere una posizione in via generale, come fa invece la corte territoriale, circa la natura giuridica del lascito di usufrutto universale o pro quota, emerge la non congruenza tra il principio declinato dalla corte locale e l'applicazione dei criteri oggettivi di ermeneutica confacenti alla fattispecie. Invero, come detto, il principio accolto - corretto o scorretto che sia - in tema di individuazione della natura del lascito è riferito, dalla giurisprudenza richiamata dalla corte locale, al legato di usufrutto universale (o pro quota) non accompagnato - secondo quanto affermato dalla stessa corte di merito e dai precedenti da essa richiamati - da altre disposizioni idonee a far venir meno l'universalità del lascito (o ad attribuire a esso la natura pro quota) e, quindi, a far derivare la qualità di erede; senonchè, nel caso di specie, come notato dai ricorrenti (p. 23 del ricorso), tali disposizioni potrebbero essere sussistenti: se la coniuge è effettivamente assegnataria di usufrutto su beni mobili e immobili genericamente indicati, essa moglie è altresì destinataria dei beni aziendali più specificamente elencati nella scheda, senza che il lascito sia espressamente limitato all'usufrutto e, quindi, pacificamente in proprietà (v. la trascrizione sopra riportata della scheda, nonchè l'accertamento sul punto del titolo quale proprietà effettuato dalla stessa corte di merito - p. 7 della sentenza impugnata), clausola questa - astrattamente da sè sola idonea a condurre all'attribuzione della qualità di erede, in alternativa a quella di legataria, e comunque a escludere l'applicazione del principio come sopra predicato, riferito a una disposizione relativa a usufrutto mancante, appunto, di generalità - non considerata dalla corte salentina nella necessitata interpretazione complessiva ex art. 1363 cod. civ. applicabile al testamento; ciò a tacere del fatto che, nell'ambito del testamento, non viene operata divisione del testatore sui mobili (a differenza che per gli immobili), ciò che pure avrebbe dovuto imporre alla corte di merito - in una corretta applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. - di porsi il problema relativo al se, sui mobili diversi da quelli aziendali già attribuiti in proprietà a P.C.B., si fosse aperta la successione legittima a favore sia dei figli sia della stessa coniuge, pure usufruttuaria sui mobili altrui; profilo questo anch'esso idoneo a far venir meno i caratteri di esclusività del lascito di usufrutto e di sua universalità, presupposti per l'applicazione del principio individuato - a torto o ragione - dalla corte locale. Le violazioni riscontrate dei canoni interpretativi si riflettono, dunque, sull'applicazione della distinzione normativa tra disposizioni a titolo universale e particolare, già in base a quanto innanzi imponendosi la cassazione della sentenza impugnata.
3.2. Va poi considerato che la corte d'appello ha, con una qualche contraddizione rispetto alla precedente affermazione secondo cui costituisce per principio legato il lascito di usufrutto generale (come detto, però, nel caso di specie in concreto privo di taluni connotati idonei a condurre all'applicazione del principio dalla stessa corte locale individuato), ritenuto di dover ravvisare anche in via di ermeneutica soggettiva la volontà contraria del testatore all'istituzione quale erede della moglie: ciò ha ravvisato nelle clausole concernenti l'attribuzione degli ulteriori immobili non menzionati ai figli, unitamente agli oneri e gravami, ciò che evidenzierebbe che "la moglie del de cuius non è succeduta in universum ius" (p. 11 sentenza impugnata e v. trascrizione del testamento innanzi riportata). A tanto si ricollega altra argomentazione della corte locale (per vero non concernente la vocazione di P.C.B., bensì quella pacificamente ereditaria di Z.F.) con cui, sulla base anche di documentazione prodotta in appello (che i ricorrenti hanno tentato di contrastare inammissibilmente nel giudizio di legittimità - cfr. p. 1 supra), ritenendo documentato che a carico dell'eredità fosse stato intimato pagamento dall'Agenzia del Demanio e pendessero pretese di lavoratori dipendenti, i secondi giudici hanno preso le distanze dalla considerazione del tribunale per cui fosse illogica e contraddittoria l'attribuzione di cespiti di limitato valore a Z.F. a fronte dell'assunzione di gravosi oneri: sussistendo "consistenti oneri ricadenti sull'eredità" la logicità della disposizione emergerebbe (p. 14 della sentenza impugnata, oggetto di censura alla p. 41 del ricorso).
3.1. Anche in questo caso l'applicazione dei criteri ermeneutici legali, e segnatamente dell'art. 1363 cod. civ., non risulta idoneamente effettuata, come appare evidente dalla circostanza che, mentre la corte locale ha desunto la volontà del testatore di escludere dalla successione universale la moglie dalla mancata attribuzione ad essa dei beni immobili ulteriori rispetto a quello oggetto di divisione del testatore, nonchè degli oneri e gravami, la corte stessa non ha considerato - in un ottica di interpretazione complessiva delle clausole del negozio mortis causa - la già menzionata circostanza che non viene operata divisione del testatore sui mobili (a differenza che per gli immobili), ciò che avrebbe dovuto imporre alla corte di merito - in una corretta applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. - di porsi il problema relativo al se, sui mobili diversi da quelli aziendali già attribuiti in proprietà a P.C.B., si fosse aperta la successione legittima a favore sia dei figli sia della stessa coniuge, pure usufruttuaria sui mobili altrui; e, del resto, che la corte locale fosse consapevole della sussistenza di beni mobili "pervenuti per successione legittima..." tra i quali "quote della società agricola Sarparea s.r.l." emerge dalla lettura di altro brano del provvedimento impugnato (p. 16), ove il tema viene esaminato ad altri fini che qui non rilevano. L'evidenza della fondatezza dei motivi di ricorso ora in esame nel loro complesso rende superfluo esaminare l'argomentazione contenuta nel quarto motivo e prima riepilogata, nei limiti in cui essa è valutabile in sede di legittimità ai fini dell'apprezzamento della censura in relazione agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., relativa al se effettivamente, sulla base della documentazione disponibile al giudice d'appello, sussistessero i "consistenti oneri ricadenti sull'eredità", la cui presenza la corte locale ha - come accennato - utilizzato per argomentare in termini di logicità dell'esclusione della figlia a un tempo da commoda e incommoda; tema che, in quanto concernente la vocazione di Z.F. e non quella di P.C.B., pur in presenza di qualche legame logico ai fini ermeneutici, resta fuori dal fuoco di quanto qui interessa. Invero, quanto rilevato già di per sè consente di affermare la violazione dei criteri ermeneutici e, indirettamente, come già premesso, della regola distintiva tra disposizioni di ultima volontà a titolo particolare e universale (art. 588 cod. civ.), ancorata al criterio oggettivo del contenuto dell'atto e delle modalità di attribuzione operata dal testatore e a quello soggettivo dell'intenzione o non intenzione di attribuire beni determinati come quota dell'universalità del patrimonio. Tale principio, in relazione alla cassazione a disporsi, potrà applicarsi dal giudice del rinvio anche con riguardo alla peculiare rilevanza che, nella scheda testamentaria, il testatore abbia inteso attribuire, oltre a beni determinati, a classi di beni (beni immobili residui, passività, beni aziendali, oltre ai mobili non attribuiti - cfr. sul rilievo delle classi, ad es., Cass. n. 6516 del 06/11/1986).
3.10 Trascurando, in quanto parimenti superflua in questa sede e rimessa al giudice del rinvio, l'ulteriore argomentazione dei ricorrenti (p. 26 del ricorso) per la quale la corte d'appello avrebbe mancato di considerare qualche dato testuale indicativo, in tesi, "emblematicamente..." della "sostanziale identità" dell'intenzione del de cuius alla base delle attribuzioni ai figli di entrambi i sessi e alla moglie (si tratterebbe della ripetuta utilizzazione del verbo "assegno" sia nei confronti degli uni sia dell'altra), può passarsi ad esaminare l'ultimo angolo visuale dal quale si lamenta violazione di legge, costituito dalla distinzione normativa tra legato in conto e legato in sostituzione di legittima. Sul tema, la corte locale, dopo aver affermato doversi riconoscere a P.C.B. la "qualità di legataria", ha - senza ulteriori considerazioni - concluso che "l'usufrutto generale sull'intero patrimonio ereditario, con esclusione dal pagamento dei debiti ereditari, costituisce legato in sostituzione di legittima, essendo evidente l'intenzione del testatore di soddisfare integralmente i diritti del legittimario senza chiamarlo all'eredità, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che il testatore, con una così ampia attribuzione patrimoniale, abbia voluto comunque riservare alla moglie la facoltà di esperire l'azione di riduzione per l'eventuale lesione di legittima nei confronti dei figli". Ciò posto, ha concluso che, non essendovi stata "rinunzia al legato", vi sarebbe stata "esclusione della stessa dal novero degli eredi" (p. 12 della sentenza impugnata).
3.11. Da quanto appena riportato del provvedimento censurato risulta dunque che, qualificato il legato come in sostituzione di legittima sulla base di una "evidente... intenzione del testatore di soddisfare integralmente i diritti del legittimario senza chiamarlo all'eredità" (espressione apodittica e tautologica su cui non mette conto soffermarsi ulteriorMente), la corte d'appello abbia - basandosi solo sulla predetta non meglio specificata "evidenza", del tutto scollegata dall'esame di dati testuali o da considerazioni logiche che coordinassero tra loro dati testuali o anche extratestuali - in sostanza obliterato il principio giurisprudenziale, applicativo dell'art. 551 cod. civ., secondo il quale la qúalificazione di un legato come "in sostituzione" di legittima, pur non richiedendo formule sacramentali, nè un'espressa menzione del testatore sull'alternativa offerta fra conseguimento del legato stesso e richiesta della legittima, postula che, dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie, risulti la chiara e inequivoca volontà del de cuius di tacitare il legittimario con l'attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, sicchè, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi "in conto" di legittima (Cass. n. 6098 del 15/11/1982, n. 5232 del 26/05/1998, n. 16083 del 29/07/2005, n. 12854 del 10/06/2011 e n. 824 del 16/01/2014, tra le molte). In base alla cassazione a pronunciarsi anche sotto tale profilo della sentenza impugnata, in quanto in violazione della presunzione di legato "in conto" di legittima, ove non risulti la chiara e inequivoca volontà del testatore di disporre un legato "in sostituzione", da desumere da una interpretazione anche complessiva delle clausole testamentarie, il giudice del rinvio - ove pervenga nuovamente, in ipotesi, alla qualificazione del lascito a favore di P.C.B. come legato - applicherà dunque il cennato principio di diritto.
4. In definitiva, va disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla corte d'appello di Lecce, in altra sezione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il ricorso per il resto, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Lecce, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2018.
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