Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25157 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21135/2016 R.G. proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Laura Vagni, con domicilio eletto in Roma, via Giulio Cesare, n. 51/a, presso lo studio dell’Avv. Sabina Colleti;

– ricorrente –

contro

UnipolSai Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona depositata il 5 agosto 2015;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letto il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione del 28 novembre 1994, B.E. conveniva in giudizio F.G. e la UnipolSai S.p.a. (già Fondiaria S.A.I. s.p.a.) al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un sinistro verificatosi in data *****.

Il Tribunale di Macerata, con sentenza del 22 ottobre 2009, riteneva il F. unico responsabile nella causazione del sinistro stradale, condannandolo, in solido con la compagnia assicuratrice, al risarcimento di tutti i danni in favore dell’attore.

La pronuncia di primo grado veniva appellata da B.S., erede del danneggiato (deceduto nel corso del giudizio di primo grado), che contestava la quantificazione del danno operata dal giudice di prime cure. In particolare, l’appellante censurava la decisione del Tribunale nella parte in cui quest’ultimo aveva ritenuto che il sinistro avesse causato soltanto un aggravamento condizioni di salute della vittima, già menomate per via dell’età avanzata.

La UnipolSai S.p.a. proponeva appello incidentale, chiedendo la riforma della pronuncia impugnata nella parte in cui aveva ritenuto esclusivo responsabile del sinistro il proprio assicurato F.G..

La Corte d’appello di Ancona rigettava l’appello principale, accoglieva parzialmente quello incidentale e quindi confermava la responsabilità del F. ma riduceva il quantum del risarcimento dovuto dallo stesso e dalla sua compagnia assicurativa. In particolare, condividendo le conclusioni del c.t.u., il giudice di secondo grado riteneva che l’età avanzata del B. e le patologie, proprie della vecchiaia, in concreto riscontrate avessero avuto efficacia causale concorrente nella produzione del danno. Per l’effetto, la corte territoriale riduceva l’ammontare del risarcimento dovuto a titolo di danno non patrimoniale, operando su tale cifra un’ulteriore riduzione di un quarto, in considerazione dell’intervenuto decesso dell’attore nel corso del giudizio di primo grado.

L’ammontare del danno patrimoniale sofferto dal B. veniva invece confermato nella misura già precedentemente liquidata dal giudice di primo grado.

Avverso tale decisione ricorre in cassazione B.S., presentando otto motivi di ricorso.

La Unipol Sai S.p.a. non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va fatta, anzitutto, una premessa comune alla gran parte dei motivi di ricorso. Ripetutamente, e sotto molteplici profili, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ossia il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.

Com’è noto, tale vizio non è più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Pertanto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è oggi ridotto al “minimo costituzionale”, nel senso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

In nessun caso la sentenza impugnata risulta del tutto priva di motivazione o presenta qualcun’altra delle anomalie sopra descritte. Pertanto, è possibile dichiarare fin d’ora inammissibili tutti i motivi di impugnazione nella parte in cui deducono, nella sostanza, vizi di motivazione del provvedimento impugnato.

2.1 Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 100,110,342 e 345 c.p.c., nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che l’appello incidentale, parzialmente accolto, avrebbe dovuto essere invece dichiarato inammissibile, in quanto privo di adeguate censure critiche nei confronti del capo della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 342 c.p.c..

Addirittura – osserva il ricorrente – l’appello incidentale risultava altresì privo di interesse, in violazione dell’art. 100 c.p.c., poichè sostanzialmente condivideva, anzichè avversare, la motivazione del giudice di primo grado in ordine alla quantificazione del danno non patrimoniale del danneggiato.

In aggiunta, la pronuncia della Corte d’appello sarebbe incorsa in un vizio di extra-petizione, in spregio all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto di rinvenire nella comparsa di risposta in appello della UnipolSai s.p.a. un motivo implicito di appello incidentale relativo alla quantificazione del danno non patrimoniale, il cui accoglimento avrebbe altresì violato il divieto di reformatio in peius. In tal modo, sarebbe stato violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., con conseguente vizio di extra-petizione del provvedimento emesso.

2.2 Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha chiaramente indicato da quali pagine dell’atto difensivo della UnipolSai s.p.a. era possibile evincere l’intervenuta proposizione, da parte della stessa, di una impugnazione incidentale. Nel fare ciò si è dichiaratamente attenuta ai principi secondo cui l’interpretazione dell’atto deve essere condotta alla stregua del contento sostanziale dello stesso, a prescindere dall’adozione di formule sacramentali.

Dunque, la valutazione operata dalla corte territoriale, conforme ai principi generali di interpretazione degli atti processuali, non presta il fianco a censure di legittimità.

Del resto, simili censure non sono state neppure specificatamente proposte, dal momento che il ricorrente non si è confrontato in modo dialettico con la decisione impugnata, limitandosi ad affermarne la generica inesattezza.

2.3 Risulta parimenti infondato l’ulteriore rilievo del ricorrente in ordine al difetto di interesse dell’appellante incidentale, in ordine al quale è sufficiente osservare che, al contrario, la UnipolSai s.p.a. ha ottenuto una riduzione della quantificazione del danno da risarcire. Ad una simile statuizione, per lei più favorevole, aveva un pieno ed evidente interesse.

3.1 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 40 e 41 c.p., e dell’art. 115 c.p.c., nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

La censura si rivolge nei confronti del capo della sentenza impugnata che ha ravvisato nell’età avanzata del danneggiato e nelle patologie tipiche della vecchiaia in concreto riscontrate elementi causali concorrenti nella produzione del danno, tali da determinare una riduzione del risarcimento.

Il ricorrente sostiene che, al contrario, l’età avanzata del danneggiato e le patologie della vecchiaia costituissero una “mera predisposizione” o al più uno “stato di vulnerabilità”, inidonei a giustificare la riduzione del risarcimento, in quanto incapaci di esercitare un’efficienza concausale nella produzione del danno.

3.2 Il motivo è infondato.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in ipotesi di concorrenza di fattori eziologici estranei al comportamento del danneggiante, il giudice deve accertare l’efficienza eziologica della condotta per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle singole concause sul piano della causalità giuridica, al fine di evitare che l’obbligo risarcitorio comprenda conseguenze dannose non riconducibili all’evento di danno (Sez. 3, sent. n. 15991 del 21/07/2011, Rv. 618882).

Il citato orientamento annovera espressamente tra le tipiche ipotesi di “fortuito”, inteso come concausa del danno e limitativo dell’ammontare risarcitorio, anche la pregressa situazione patologica del danneggiato, incidendo la stessa, negativamente, nella liquidazione del quantum debeatur (in tal senso, Sez. 3, sent. n. 24204 del 13/11/2014, Rv. 633497).

La Corte d’appello ha quindi fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia di nesso di causalità giuridica.

3.3 In sede di legittimità non possono fare ingresso neppure le circostanze, addotte dal ricorrente, in ordine alla presunta mancanza di prova fornita dal danneggiante in merito alle pregresse condizioni patologiche del danneggiato.

La valutazione, di merito, operata dal giudice del gravame in ordine alle condizioni di salute del danneggiato – effettuata alla luce delle risultanze probatorie e della espletata consulenza tecnica d’ufficio – non è qui censurabile, dovendo la Corte di Cassazione limitarsi a verificare nel caso di specie la corretta applicazione dei principi di diritto che regolano la materia del nesso di causalità giuridica in presenza di una pluralità di fattori causali.

Risultano quindi prive di rilievo in questa sede le considerazioni del ricorrente in ordine alla “robustezza costituzionale” del B., nè tantomeno quelle inerenti alla presunzione per cui il danneggiato, in assenza del sinistro, sarebbe “sopravvissuto più a lungo in condizioni di completa autosufficienza”. Tali rilievi si risolvono in (indimostrate) valutazioni di fatto, irrilevanti nel giudizio di legittimità.

3.4 Sulla base di doglianze in parte coincidenti con quelle appena esposte, sempre inerenti al profilo del nesso di causalità materiale e giuridica, il ricorrente censura la pronuncia della Corte d’appello anche sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c..

Nello specifico, il ricorrente sostiene che il giudice del gravame avrebbe errato nel ritenere che l’ulteriore “triennio di invecchiamento” intercorso tra la data del sinistro e quella in cui il B. venne sottoposto a consulenza medico-legale, avesse inciso negativamente, sulla base di un dato di comune esperienza, sulla situazione complessiva di salute verificata dal consulente d’ufficio, in modo tale da giustificare un’ulteriore riduzione del risarcimento. Un simile ragionamento – prosegue il B. condurrebbe all’inaccettabile conclusione secondo cui chiunque raggiunga un’età particolarmente avanzata (nel caso di specie, 90 anni) andrebbe inevitabilmente incontro al decadimento delle facoltà mentali (demenza senile), manifestando sintomi sovrapponibili a quelli da danneggiamento (demenza post-traumatica); con la conseguenza che i danneggiati che versano in tali condizioni non potrebbero mai vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento delle conseguenze invalidanti del sinistro.

La Corte d’appello sarebbe incorsa in una erronea applicazione della nozione di “fatto notorio”, ex art. 115 c.p.c., dovendo ritenersi tale quel fatto che sia indubitabile ed incontestabile, non solo meramente probabile.

Da ciò sarebbe derivato l’erroneo convincimento della Corte per cui, con il passare degli anni, qualsiasi individuo risulterebbe soggetto ad uno stato di demenza anche “a prescindere da eventuali traumi esterni idonei da soli a determinare tale condizione”.

3.5 Anche tale doglianza è infondata.

In realtà, la Corte ha rilevato solamente che, fra la data del sinistro ed il momento in cui è stata effettuata la consulenza tecnica d’ufficio sulle condizioni psico-fisiche del danneggiato, erano trascorsi tre anni. Lo stato di salute del danneggiato è stato, quindi, valutato su un soggetto che al momento del sinistro aveva 90 anni e che, al momento della consulenza, ne aveva 93. La corte di merito ha quindi concluso che costituisce massima di comune esperienza quella secondo cui le condizioni psico-fisiche di un individuo, con il passare degli anni, sono soggette a decadimento; ciò, a maggior ragione, in un individuo che presenti un’età così avanzata.

Il ricorrente appare, invero, confondere le due – distinte nozioni di “fatto notorio” e “massima di comune esperienza”, identificandosi il primo in un fatto storico preciso e determinato nello spazio e nel tempo, conosciuto e quindi tale da non richiedere prova; diversamente, invece, le massime di esperienza corrispondono a regole prettamente probabilistiche (sebbene molto vicine alla certezza), tratte per induzione da accadimenti ripetuti nel corso del tempo, tali da poter assurgevi regole valide anche per ulteriori casi futuri.

In tale accezione, pertanto, alcuna erronea valutazione in ordine alla nozione di “massima di comune esperienza” risulta ravvisabile nel ragionamento della Corte d’appello.

4.1 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..

In particolare, il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso è costituito dalle condizioni fisiche in cui versava il danneggiato anteriormente al verificarsi del sinistro.

4.2 Il motivo è infondato.

Ricorre invero il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solamente nell’ipotesi di omesso esame da parte del giudice di un “fatto storico” del giudizio, sia esso principale o secondario, che presenti elementi di decisività, nel senso che l’esame dello stesso avrebbe determinato un diverso esito del giudizio.

Nel caso specifico, invece, la Corte d’appello ha preso compiutamente in esame la questione delle condizioni psicofisiche in cui versava il danneggiato anteriormente al sinistro e ha ritenuto che, nondimeno, l’età avanzata costituisse una concausa dello stato di decadimento fisico e mentale in cui il B. venne trovato al momento dell’espletamento della consulenza medico-legale.

Pertanto, non ricorre l’ipotesi dell’omesso esame di un “fatto storico”. Piuttosto, il ricorrente ha formulato una ricostruzione alternativa, in punto di fatto, delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede.

5.1 Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.: la corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su un punto decisivo della controversia, concernente la prova testimoniale articolata dall’appellante in ordine alla personalizzazione del danno cagionato al B..

5.2 Nel quinto motivo si deduce che la pronuncia impugnata presenterebbe una motivazione perplessa in ordine alla prova dei criteri di personalizzazione del danno lamentato dal B.. La corte d’appello avrebbe ritenuto, da un lato, che l’appellante non avesse fornito elementi probatori idonei a giustificare una personalizzazione in aumento del danno lamentato; dall’altro lato, non ha ammesso la prova testimoniale articolata dall’appellante al fine di evidenziare la personalizzazione del danno medesimo.

5.3 I due motivi di ricorso, strettamente connessi in quanto concernenti la medesima tematica dei limiti di ammissibilità della prova testimoniale in appello, possono essere trattati congiuntamente.

Essi sono infondati.

La prova testimoniale relativa alla personalizzazione del danno era stata ritenuta inammissibile in primo grado perchè tardivamente formulata. Va da sè che una richiesta istruttoria da cui l’interessato è decaduto nel giudizio di primo grado non può essere riproposta in appello neppure se indispensabile, secondo la formulazione dell’art. 345 c.p.c., applicabile ratione temporis (Sez. 2, sent. n. 12303 del 07/06/2011, Rv. 618204).

Nello specifico, il B. non ha censurato, mediante l’atto di appello, la pronuncia d’inammissibilità in primo grado della istanza testimoniale. Piuttosto, egli si duole della mancata ammissione della nuova prova testimoniale nel giudizio d’appello, censurando nella sostanza la decisione del giudice del gravame in ordine alla valutazione d’indispensabilità o meno della prova Una simile valutazione è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità.

6.1 Con il sesto motivo il ricorrente censura, per molteplici eterogenei rilievi, la pronuncia impugnata in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale.

In particolare, il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe meramente apparente, in quanto non precisa i parametri medico-legali utilizzati nella determinazione del danno, il grado di invalidità riconosciuto al danneggiato, nè tantomeno i punti di invalidità in termini monetari.

Inoltre, il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, inerenti alle condizioni di salute del danneggiato anteriormente al sinistro, nonchè l’erronea applicazione degli artt. 1229 e 2059 c.c., in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale.

Infine, sempre nell’ambito medesimo motivo di ricorso, sono prospettati analoghi rilievi anche in relazione alla somma riconosciuta a titolo di invalidità temporanea.

6.2 Si tratta di censure inammissibili.

Infatti, a prescindere dal nomen iuris, si tratta di doglianze che attengono al merito della decisione, in quanto, tramite le stesse, si è inteso prospettare una ricostruzione dei fatti di causa (in particolare, dello stato di salute del novantenne danneggiato) inammissibile in questa sede.

7.1 Con il settimo motivo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la Corte d’appello ridotto la liquidazione del danno non patrimoniale in favore dell’erede del danneggiato in considerazione della morte di quest’ultimo intervenuta, all’età di 96 anni, in pendenza di giudizio.

Sostiene il ricorrente che la corte di merito avrebbe motivato solo apparentemente sulle ragioni di tale riduzione, senza precisare che età avrebbe potuto raggiungere il danneggiato se non fosse stato coinvolto nell’incidente; parametro invece indispensabile per giustificare l’eventuale riduzione del danno.

Quest’ultima è dunque ritenuta dal ricorrente del tutto arbitraria, con erronea applicazione del concetto di equità e dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

7.2 Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in ipotesi di morte del danneggiato in pendenza del giudizio e per cause indipendenti dal fatto illecito subito, il risarcimento del danno non patrimoniale da liquidare in favore degli eredi deve essere calcolato sulla base non della probabile aspettativa di vita del soggetto, bensì sulla durata effettiva di vita dello stesso (Sez. 3, sentenza n. 679 del 18/01/2016, Rv. 636872; Sez. 3, sentenza n. 2297 del 31/01/2011, Rv. 616337; Sez. 3, sentenza n. 14767 del 03/10/2003, RV. 567322).

Tale giurisprudenza, tuttavia, non è applicabile nello specifico.

Il riferito orientamento giurisprudenziale, infatti, è volto a rapportare la liquidazione del danno alla durata effettiva della vita del danneggiato, rispetto al parametro, meramente probabilistico, dell’aspettativa di vita. Esso assume, quindi, specifico rilievo se il danneggiato decede in età precoce rispetto all’aspettativa di vita. Nel caso in esame, invece, il danneggiato è deceduto a 96 anni e quindi ben oltre l’ordinaria aspettativa di vita.

Il punto-base previsto dalle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale elaborate dal Tribunale di Milano, pertanto, in relazione ad un soggetto novantenne tiene già conto delle più ridotte aspettative di vita. Non si registra, quindi, quello scollamento fra l’aspettativa di vita meramente ipotetica e potenziale e l’effettiva durata della vita del danneggiato che giustifica l’applicazione di un coefficiente di riduzione del risarcimento dovuto in ragione del punto-base.

In altri termini, poichè il punto-base per un ultranovantenne tiene già conto delle ridottissime aspettative di vita dello stesso, nessuna ulteriore riduzione doveva essere applicata in considerazione dell’intervenuto decesso del danneggiato in corso di causa, all’età di 96 anni.

In relazione a tale censura, pertanto, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

8.1 Con l’ottavo motivo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; e inoltre la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1226,2043 e 2058 c.c., nonchè dell’art. 32 Cost..

La censura si riferisce al capo della sentenza contenente la liquidazione del danno patrimoniale.

8.2 Il motivo è inammissibile.

Esso si risolve, infatti, in una censura di omessa motivazione e nella contestazione di taluni accertamenti in merito compiuti dal Tribunale.

Il motivo, pertanto, è inammissibile, poichè il vizio di motivazione non e più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le sentenze pubblicate dal 11 settembre 2012.

8.3 Nella seconda parte del motivo si censura l’adozione, da parte dei giudici di merito, di un parametro di liquidazione del danno esclusivamente quantitativo, affermandosi che, “a fronte dell’esistenza di tanto solide prove del danno”, si sarebbe al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 1226 c.c..

La censura è carente del requisito della specificità, richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto contiene delle censure del tutto generiche ed un riferimento non meglio circostanziato alla presenza di “solide prove”.

9. In conclusione, deve essere accolto il settimo motivo di ricorso, mentre gli altri sono infondati. La sentenza impugnata va cassata in relazione al solo motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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