LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3353/2017 proposto da:
L.M.C., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE PONTARI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
HDI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI ZINDATO giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
G.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1144/2016 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il 05/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO
Che:
1. Il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza n. 1144/2016 in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla HDI Assicurazioni s.p.a. nei confronti di L.M.C. e di G.A. – ha riformato parzialmente la sentenza 3/1/2014 del Giudice di Pace di Gallina (RC); e, per l’effetto, ha condannato, in solido tra loro, la compagnia HDL e il G. a corrispondere alla L. la somma di Euro 6976,99 ed ha condannato quest’ultima alla restituzione nei confronti della compagnia degli importi già incassati nella misura eccedente la somma in concreto liquidata.
2. Nel maggio 2012 la L. aveva convenuto davanti al Giudice di Pace di Gallina (RC) la società assicuratrice HDI Ass.ni ed il G., per sentirli condannare al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 15.579,11, o quella diversa ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento danni.
In punto di fatto aveva allegato che: in data 13/1/2011, si trovava in qualità di terza trasportata, a bordo dell’autocarro Mahindra, di proprietà e condotto dal G., il quale, giunto in *****, mentre si accingeva a scendere dal sedile anteriore, inavvertitamente aveva tolto il piede dalla frizione, provocando un sobbalzo in avanti dell’autocarro e facendola cadere per terra. Lei aveva quindi riportato postumi quantificati in: 8% danno biologico; 22 gg. di ITT; gg. 45 di ITP al 50%; 30 gg. ITP al 25%; oltre a danno morale.
Il Giudice di Pace di Gallina (RC), espletata ctu medico legale sulla persona di parte attrice, con sentenza n. 14/2014, aveva accolto le domande e, per l’effetto aveva condannato in solido l’HDI S.p.A. e il G., a corrispondere alla L., a titolo di risarcimento per i danni subiti, la complessiva somma di Euro 20.000,00.
La sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata da HDI:
a) in punto di an, in quanto le lesioni lamentate da parte attrice non potevano essere ricondotte al sinistro oggetto di causa e comunque a responsabilità esclusiva del G.;
b) in punto di quantificazione del danno biologico (stimato nella misura del 9%) e del danno estetico (stimato nella misura del 3%), rappresentando la categoria del danno biologico un unicum, nel quale confluiscono le varie forme in cui si manifestano gli effetti dannosi conseguenti al trauma;
c) in quanto era stato liquidato a titolo di risarcimento una somma superiore a quella indicata da parte attorea in sede di atto di citazione.
Si era costituita nel giudizio di appello la L., contestando le deduzioni svolte dalla compagnia appellante.
All’udienza del 12/4/2014 il Giudice aveva invitato le parti a valutare una soluzione conciliativa della vertenza che tenesse conto del concorso di colpa della L. al 50% e di un danno biologico da quantificare in misura non superiore al 9% (compreso il danno estetico), con spese compensate.
Alla successiva udienza del 21/6/2016 il procuratore della L. aveva dichiarato che la propria assistita si trovava nell’impossibilità di accettare la proposta conciliativa, mentre il procuratore della compagnia aveva dichiarato la disponibilità della propria assistita ad accettare la proposta del giudice pro boni juris.
Come sopra rilevato, la sentenza di primo grado è stata parzialmente riformata dal Tribunale di Reggio Calabria.
Il giudice di appello ha ritenuto indubbio che la causazione del fatto dannoso fosse addebitabile alla condotta negligente del G., ma ha rilevato che le conseguenze dannose avrebbero potuto essere evitate se la L. si fosse attenuta a normali regole di prudenza e di diligenza, giungendo così ad affermare che entrambe le parti erano responsabili nella misura del 50% nella causazione del sinistro. Il giudice di appello ha anche rilevato che la compagnia già nel giudizio di primo grado aveva eccepito il concorso di colpa della L., emergendo ciò dal verbale 21/6/2013 di precisazione delle conclusioni; e che comunque era stata sottoposta alla sua cognizione l’intera questione della riconducibilità sul piano causale del danno al sinistro, con la conseguenza che si doveva tener conto della cooperazione colposa della danneggiata nella produzione dell’evento, rientrando tale valutazione nel perimetro di cognizione segnato dalla domanda proposta dalla compagnia appellante.
In punto di quantum debeatur, il giudice di secondo grado, ritenuto il danno estetico ricompreso in quello biologico, ha quantificato quest’ultimo nella misura del 9% alla luce del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, mentre, tenuto conto del concorso di colpa della L., ha liquidato il danno non patrimoniale nella misura di Euro 6976,99.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la L..
Resiste con controricorso la Società HDI Assicurazioni S.p.A. chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO
che:
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
Precisamente, L.M.C..
– con il primo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 141 C.d.A., nonchè degli artt. 1681 e 2054 c.c., Lamenta che il giudice di appello non abbia fatto buona applicazione delle presunzioni, che sono poste (a favore del trasportato ed a carico del conducente) dagli artt. 1681 e 2054 c.c. e che, per giurisprudenza consolidata, operano anche nelle fasi conseguenti alle operazioni preparatorie ed accessorie (quali la salita e la discesa dal mezzo di trasporto). In particolare, sostiene che il giudice di appello – senza che il G. abbia mai provato di “avere fatto tutto il possibile per evitare il danno” (art. 2054, comma 1) e di “avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno” (art. 1681, comma 1) – ha posto a suo carico l’onere di dimostrare di avere adottato, nello scendere dall’autovettura, un comportamento prudente e diligente;
– con il secondo motivo, denuncia, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116,1223,2043 e 2056 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in punto di determinazione del danno (patrimoniale e non). Lamenta che il Giudice di appello abbia erroneamente determinato il danno biologico da lei subito nella misura del 9%, senza valutare e liquidare il danno estetico; mentre la ctu medico – legale, espletata nel giudizio di primo grado, aveva quantificato il danno biologico relativo alle lesioni del braccio ed alla limitata lesione ed estensione del gomito nella misura del 9% ed il danno relativo alla “visibile cicatrice chiloidea di cm. 10” nell’ulteriore misura del 3%. Sostiene che – poichè il danno estetico non si identifica con il danno biologico, ma rappresenta una forma di danno non patrimoniale (nella specie provato tramite documentazione sanitaria, dalla quale si evinceva che aveva dovuto subire un intervento chirurgico, cure e visite costanti per 102 giorni) – il giudice di appello non sarebbe incorso in alcuna duplicazione nel caso in cui avesse valutato e liquidato anche tale voce di danno. In ogni caso, contesta la quantificazione del danno operata dal Tribunale ed allega al ricorso prospetto di calcolo della somma che, in tesi difensiva, avrebbe dovuto essere riconosciuta per danno biologico, danno morale e spese mediche documentate, oltre a rivalutazione ed interessi.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Infondato è il primo motivo, concernente l’an debeatur. Al riguardo, il Giudice di appello ha ritenuto che dall’espletata attività istruttoria (e in particolare dalle dichiarazioni testimoniali rese dal teste V., dalla dinamica del sinistro risultante dal modello CAI sottoscritto dal G. e dalla L. e da quest’ultima indicata in atto di citazione, nonchè dagli esiti della ctu) era risultato provato:
– da un lato, che la causazione dell’evento lesivo era riconducibile alla condotta imprudente del G., che, giunto in corrispondenza del luogo di fermata, aveva favorito la discesa della moglie, odierna ricorrente, mentre il veicolo si trovava ancora in moto e con la marcia inserita, così cagionando, con il rilascio improvviso della frizione e del successivo sobbalzo del mezzo, la caduta della L.;
– dall’altro, che le conseguenze dannose avrebbero potuto essere evitate qualora la L., attenendosi a normali regole di prudenza e di diligenza, non avesse proceduto alla discesa dall’autocarro, quando questo si trovava non solo con il motore acceso ma anche con la marcia inserita (e, quindi, in una situazione caratterizzata dall’elevata possibilità di verificazione di un incidente).
Ciò posto, il Tribunale dopo aver dato atto che già nel giudizio di primo grado il G. aveva rilevato la condotta imprudente della L., e che comunque, essendo stata devoluta in appello l’intera questione della riconducibilità sul piano causale del danno al sinistro, la cooperazione colposa della danneggiata nella produzione dell’evento lesivo rientrava nel perimetro di cognizione segnato dalla domanda formulata con l’atto di appello ha ritenuto che la produzione dell’evento era riconducibile nella pari misura del 50% tanto alla condotta del G. che alla condotta della L..
La ricorrente lamenta l’erronea applicazione delle presunzioni di responsabilità a carico del vettore e del trasportatore, ma dette presunzioni non operano nel caso di specie, in quanto il giudice di appello, ad esito di un argomentato percorso motivazionale, è pervenuto alla conclusione che la L., con il suo comportamento, aveva contributo al verificarsi dell’evento dannoso per cui è processo nella misura del 50%.
D’altronde, occorre qui ribadire che, come già affermato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. sent. n. 22603/2003), il passeggero è tenuto durante al trasporto all’osservanza delle comuni norme di prudenza e di diligenza e che la prova liberatoria incombente sul vettore, in ordine all’approntamento di mezzi idonei a salvaguardare l’incolumità del passeggero con normale diligenza, non esclude un ragionevole affidamento anche su un minimo di prudenza e di senso di responsabilità da parte di quest’ultimo, minimo di prudenza e di senso di responsabilità che, secondo l’argomentata motivazione del Giudice di appello, insindacabile in sede di legittimità, è nella specie mancato.
2.2. Infondato è anche il secondo motivo, concernente il quantum debeatur.
Al riguardo, il giudice di appello: ha rilevato che la ctu aveva riconosciuto il danno estetico nella misura del 3%, ma non aveva fornito una analitica indicazione dei criteri posti alla base della suddetta quantificazione tanto più l’esito cicatriziale era stato definito “non deturpante”; ha ritenuto che detto esito cicatriziale fosse una fisiologica conseguenza del danno occorso alla parte, che aveva richiesto un intervento chirurgico, e, pertanto, dovesse essere ricompreso nell’ambito del danno biologico; ha osservato che la domanda risarcitoria che era stata formulata dalla L. nel giudizio di merito di primo grado non conteneva alcun riferimento al risarcimento del danno estetico; prendendo come parametro di riferimento le risultanze della ctu espletata in primo grado, l’età della L. al momento del sinistro e il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139 (trattandosi di lesioni all’integrità psicofisica cagionate a seguito di sinistro da circolazione stradale non superiore al 9%), ha quantificato il danno biologico nella misura del 9%, liquidandolo in Euro 12.098,11; ed ha quantificato la ITP totale in giorni 8, la ITP al 75% in giorni 14, la ITP al 50% in giorni 18 e la ITP al 25% in giorni 62, liquidando complessivamente la somma di Euro 1.855,88 (tenuto conto della tabella di cui al D.M. 27 maggio 2010, applicabile nella specie); ha ritenuto di non poter procedere ad alcuna personalizzazione del danno biologico, in difetto di specifica allegazione e prova e tenuto conto delle circostanze concrete; ed ha quindi dimidiato il complessivo importo in ragione del ritenuto concorso di colpa della L..
La ricorrente lamenta la riduzione dell’entità delle lesioni, operata dal Giudice di appello, ma non considera che questi, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, può discostarsi dalle conclusioni del ctu ogni qualvolta ritiene che dette conclusioni, alla luce dell’intero compendio probatorio, non sia coerente con la fattispecie in esame, salvo l’obbligo di adeguata motivazione, obbligo che nella specie è stato indubbiamente assolto con riferimento al mancato riconoscimento: del danno estetico, del danno morale e della personalizzazione del risarcimento.
E occorre qui ribadire che il giudice di merito: nella liquidazione del danno non patrimoniale, deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente subiti dalla vittima, ma non può duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, e può procedere alla personalizzazione del danno biologico soltanto nel caso in cui siano state dedotte e provate le circostanze che lo giustificano (ipotesi questa che il Tribunale ha ritenuto non ricorrere nel caso di specie, secondo un iter motivazionale che, essendo scevro da vizi logici e giuridici, è insindacabile in questa sede).
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla compagnia controricorrente e liquidate come da dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 3200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018
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