Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26713 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7224-2016 proposto da:

MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, *****, in persona del Ministro in carica pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per legge;

– ricorrente –

contro

INGG D.P. E DO.CO. SRL;

– intimata –

Nonchè da:

INGG D.P. E DO.CO. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, amministratore unico ing.

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PANUCCIO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DEL LAVORO DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 70/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 15 luglio 1993, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, la Società Ingg. D., P. e Do.Co. s.r.l. al fine di ottenere la condanna alla restituzione delle somme corrisposte a tale società per la realizzazione dell’attività di formazione in favore di 20 operai disoccupati, che era stato oggetto di finanziamento da parte del Fondo Sociale Europeo e del Fondo di Rotazione ai sensi della L. n. 845 del 1978. Il Ministero aggiungeva che tali corsi non erano stati espletati come risultava dalla sentenza del Tribunale penale di Reggio Calabria del 9 ottobre 1990, che, pur dichiarando prescritto il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, aveva accertato la commissione dell’illecito. La causa veniva assegnata alla Sezione Stralcio e istruita con il deposito della documentazione ritenuta opportuna dalle parti;

il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza del 29 settembre 2004 dichiarava prescritto il diritto posto a fondamento della pretesa dell’amministrazione poichè tra la data dell’ultima rata di finanziamento (7 maggio 1982) e quella di notificazione dell’atto introduttivo era decorso il termine decennale di prescrizione;

avverso tale decisione proponeva appello l’amministrazione con atto di citazione del 18 gennaio 2005 censurando i presupposti della prescrizione e ribadendo la fondatezza della pretesa. Si costituiva in giudizio la società Ingg. D., P. e Do.Co. s.r.l. e la Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza del 13 marzo 2015 accoglieva il motivo relativo all’insussistenza della prescrizione, ma respingeva nel merito la domanda in quanto non provata;

contro tale decisione propone ricorso per cassazione il Ministero del lavoro e delle politiche sociali affidandosi a tre motivi. Resiste in giudizio con controricorso, e ricorso incidentale condizionato la società Ingg. D., P. e Do.Co. S.r.l., sulla base di due motivi.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il Ministero deduce la violazione degli artt. 2033,2697,2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 652e 654 c.p., nonchè della L. n. 845 del 1978, artt. 1,2,5,18,24 e 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Poichè la Corte territoriale ha qualificato l’azione promossa dal Ministero come ripetizione d’indebito, avrebbe dovuto applicare la regola giurisprudenziale secondo cui l’attore può invocare l’invalidità o l’inesistenza del titolo giustificativo del pagamento. E, nel caso d’inesistenza del titolo, dovrà solo allegare, ma non provare, l’inesistenza di un titolo giustificativo, mentre sarà onere del convenuto dimostrare che il pagamento era sorretto da una giusta causa (Cass. 6 ottobre 2015, n. 19902). In secondo luogo, anche ammettendo che gravava sull’amministrazione la prova dell’inesistenza del titolo, tale dimostrazione avrebbe potuto essere acquisita mediante presunzioni. Il giudice di merito dovrà valutare tutti gli elementi indiziari, escludendo quelli privi di rilevanza e, successivamente, procedere ad una valutazione complessiva. Al contrario, la Corte territoriale sembra escludere che l’amministrazione potesse fornire la prova del mancato svolgimento dell’attività progettata mediante presunzioni. In terzo luogo il Ministero non aveva partecipato, in qualità di parte civile, al giudizio penale, ma la sentenza penale costituisce, comunque, una fonte di prova, mentre la Corte d’Appello civile ha ritenuto che la decisione del Tribunale penale di Reggio Calabria fosse priva di rilevanza;

con il secondo motivo deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e 118 disp. att. per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di ripetizione in maniera intrinsecamente contraddittoria. Questo in quanto il giudice civile, dopo avere riportato la ricostruzione dei fatti operata in sede penale, ha sostanzialmente escluso che il giudice penale abbia ricostruito i fatti in maniera adeguata. Sotto tale profilo, la decisione appare priva di motivazione. Al contrario, il giudice penale aveva accertato circostanze specifiche di fatto, appurando la non corrispondenza tra il contenuto del corso come descritto nel programma ammesso al finanziamento e l’attività materialmente posta in essere dalla società e dai corsisti;

il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè le censure si fondano sulla contraddittorietà intrinseca o mancanza di motivazione riguardo all’insufficienza dell’accertamento dei fatti espletato in sede penale, senza allegare i passaggi essenziali della decisione penale che sono riportati soltanto con riferimento ad alcuni stralci, nelle note e non consentono a questa Corte di valutare l’intera motivazione di quella decisione;

quanto alla considerazione oggetto, sia del primo e del secondo motivo, relativa all’efficacia della sentenza penale (primo motivo) e alla ricostruzione dei fatti che si assume operata in quella sede (secondo motivo), va osservato che il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa dell’intervenuta prescrizione, dovendosi escludere l’applicazione analogica dell’art. 654 c.p.p., atteso il carattere eccezionale della norma e tenuto conto del fatto che non sempre la prescrizione importa l’accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, sicchè, in tale ipotesi, il giudice civile deve procedere autonomamente all’accertamento ed alla valutazione dei fatti (Sez. L, Sentenza n. 21299 del 09/10/2014, Rv. 632927 – 01);

infatti ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2 quando ricorre una causa di estinzione del reato (prescrizione), ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta. Pertanto, ai fini della declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione è sufficiente che non risulti l’evidenza dell’insussistenza del fatto o che l’imputato non lo ha commesso. In tutte le altre ipotesi la pronunzia, in mancanza dell’evidenza dell’assenza di responsabilità, si traduce in una declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione del reato. In questi termini, l’efficacia della statuizione penale nell’ambito del giudizio civile relativo ai medesimi fatti è assolutamente insufficiente risultando necessario l’accertamento concreto della sussistenza del fatto materiale costituente reato, anche in sede civile, attraverso una valutazione autonoma dei medesimi fatti;

per il resto le censure si traducono in una rivalutazione dell’efficacia probatoria degli accertamenti espletati in sede penale, sulla base di semplici passaggi e stralci della sentenza del Tribunale penale di Reggio Calabria, assolutamente inibita al giudice di legittimità;

nello stesso modo è inammissibile la censura relativa alla mancata applicazione della prova per presunzioni, non rispettosa dei parametri di deduzione richiesti (Cass. Sezioni Unite n. 1785 del 2017), non avendo il Ministero lamentato che il giudice di merito ha erroneamente sussunto sotto i tre caratteri individualizzanti della presunzione (fatto grave, preciso e concordante) circostanze concrete che non sono, invece, rispondenti a quei caratteri. Parte ricorrente non ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito risultava non rispettoso del paradigma della gravità, precisione e concordanza. Al contrario, la critica si risolve nella mancata applicazione di quei parametri e cioè in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti. In definitiva, le censure consistono “nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.)”, con una richiesta di controllo della motivazione, al di fuori degli angusti limiti enucleati da Cass. Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 2014;

il secondo motivo è infondato atteso che parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in modo non corrispondente a quanto affermato dalle citate decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 e 8054) richiedendo di rivalutare l’intero materiale probatorio. Indagine che non può essere espletata in questa sede;

con il terzo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento all’effettivo svolgimento dell’attività di formazione. In particolare, in sede penale erano stati ritenuti sussistenti i presupposti del reato di truffa con la conseguenza che da ciò avrebbe dovuto ritenersi provato anche l’elemento della mancata attuazione del programma di formazione;

la censura è inammissibile per le medesime ragioni oggetto dei precedenti motivi;

con il ricorso incidentale subordinato all’accoglimento di quello principale, la società Ingg. D., P. e Do.Co. s.r.l. deduce la violazione agli artt. 2934 e 2935 c.c. in relazione all’estinzione del diritto al pagamento in restituzione, per intervenuta prescrizione per decorrenza del termine decennale, con riferimento al tempo della decorrenza e in relazione agli artt. 2941 e 2942 c.c. In particolare una volta appurato che le erogazioni sono state corrisposte in data 11 settembre 1981 e 24 dicembre 1981 doveva prendersi atto che era maturato il termine di prescrizione decennale in assenza di atti interruttivi;

con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione ai motivi di appello proposti e, in particolare, alla mancata riproposizione, sotto forma di omessa pronunzia della domanda di indebito. Il Tribunale di Reggio Calabria aveva rigettato la domanda attrice per intervenuta prescrizione e avverso tale decisione aveva proposto appello il Ministero, senza nulla argomentare in merito all’omessa pronunzia sulla domanda di restituzione delle somme. Pertanto il ricorso del Ministero avverso la decisione della Corte che rigetta nel merito la domanda deve ritenersi inammissibile;

trattandosi di motivi di ricorso incidentale subordinati all’accoglimento di quello principale, gli stessi sono assorbiti. Tale pronunzia non incide sulle spese che vanno poste a carico del ricorrente principale;

ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato e quello incidentale è assorbito; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, non sussistono le condizioni del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato:, tale obbligo non va disposto in considerazione della natura di parte pubblica del Ministero ricorrente e dunque della spettanza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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