Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27414 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27296-2014 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 4, presso lo studio dell’avvocato SIMONA MARTINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA CARMELA MIGNONE;

– ricorrente –

contro

F.G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio dell’avvocato ELEONORA REALE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3441/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

P.A. ha proposto ricorso in cassazione articolato in otto motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 3441/2014, depositata il 28 luglio 2014.

Resiste con controricorso F.G.B..

Il giudizio ebbe inizio con citazione del 17 dicembre 2004 con cui F.G.B. – in qualità di procuratore speciale di Pi.An., Pi.An. e P.M.A., fratelli di P.P., deceduto il ***** – convenne in giudizio davanti al Tribunale di Benevento P.A. assumendo: che questi, qualche mese dopo la morte di P.P., aveva recapitato ai propri rappresentati copia di un testamento olografo privo di data, che lo istituiva erede universale del de cuius; che, successivamente, P.A. aveva inoltrato una seconda missiva corredata dallo stesso testamento, stavolta completo di data di redazione; che P.P., prima di morire, consapevole delle sue compromesse condizioni di salute, aveva confidato al fratello An. di non aver disposto per testamento dei propri beni per fare in modo che gli stessi fossero ripartiti in parti uguali tra gli aventi diritto secondo legge. Pertanto gli attori contestarono l’esistenza di un valido testamento per l’evidente manomissione compiuta con l’aggiunta della data, vergata da mano diversa rispetto a quella che aveva redatto l’intero testo, e disconobbero altresì la scrittura e la sottoscrizione del testatore; chiesero, dunque, che fosse dichiarata l’inesistenza o la nullità dell’impugnato testamento, con conseguente apertura della successione ab intestato e divisione dei beni facenti parte dell’asse ereditario tra tutti i chiamati alla successione. P.A., costituitosi in giudizio, negò l’invio della prima copia del testamento priva di data e sostenne che l’unica copia della scheda in suo possesso, redatta di pugno dal de cuius, gli era stata consegnata in busta chiusa da P.P.; dedusse che non vi era prova delle presunte confidenze fatte dal defunto fratello ad Pi.An.; aggiunse che la propria istituzione di erede universale era giustificata dall’assistenza morale e materiale prestata in vita al testatore. P.A. chiese, pertanto, il rigetto della domanda degli attori o, in subordine, il rimborso pro quota di quanto speso per onoranze funebri, sepoltura, erogazioni varie e imposte di successione. A seguito di c.t.u. calligrafica, che accertò l’aggiunta ad opera di terzi della data e del luogo sul documento, il Tribunale di Benevento, con sentenza non definitiva del 28 novembre 2007, dichiarò nullo il testamento olografo a firma di P.P. e quindi aperta la successione ab intestato, disponendo per il prosieguo istruttorio con separata ordinanza. Antonio P. propose appello con unico motivo, sostenendo che la non autenticità della scrittura del luogo e della data sul testamento non impedisse di accertare comunque la volontà del de cuius, dovendo perciò trovare applicazione l’art. 606 c.c., comma 2, che prevede l’annullabilità del negozio testamentario.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 28 luglio 2014, n. 3441/2014, rigettò il gravame. La Corte di Napoli affermò che l’eccezione sollevata con la comparsa conclusionale d’appello da P.A. circa il difetto di legittimazione attiva di F.G.B., quale procuratore speciale di Pi.An., Pi.An. e P.M.A., fosse non solo tardiva ma anche infondata, essendo inequivocabile, dalla lettura della procura speciale e al di là del nomen iuris, la volontà dei fratelli P. di attribuire al F. poteri di rappresentanza sostanziale e processuale. I giudici di secondo grado ritennero poi che correttamente il Tribunale avesse fatto applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui un testamento olografo, per essere valido ed efficace ex art. 602 c.c., necessita dell’autografia non solo per la sottoscrizione, ma anche per la data e per l’intero testo, senza distinzione alcuna, non operando quindi nella specie l’ipotesi di annullabilità ex art. 606 c.c., comma 2.

1. Il primo motivo di ricorso di P.A. (pag. 14 e ss.) denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., nonchè dell’art. 1362 c.c., comma 2 e artt. 1363 e 1367 c.c., con riferimento altresì alla giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di criteri legali di ermeneutica contrattuale.

La Corte d’Appello, secondo il ricorrente, non solo avrebbe illegittimamente ritenuto tardiva l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, di per sè rilevabile d’ufficio, ma avrebbe altresì impropriamente utilizzato criteri sussidiari ermeneutici nonostante l’interpretazione letterale dell’atto fosse idonea ad individuare con chiarezza l’effettiva intenzione dei fratelli P. di conferire una mera procura ad litem al F., e non anche una rappresentanza sostanziale.

1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. E’ certo nella interpretazione di questa Corte che la rappresentanza processuale volontaria può essere conferita soltanto a chi sia investito di un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, come si evince dall’art. 77 c.c., il quale menziona, come possibili destinatari dell’investitura processuale, unicamente il “procuratore generale. e quello preposto a determinati affari”, sul fondamento del principio dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), inteso non soltanto come obbiettiva presenza o probabilità della lite, ma altresì come “appartenenza” della stessa a chi agisce (nel senso che la relazione della lite con l’agente debba consistere in ciò che l’interesse in lite sia suo): più precisamente, dalla lettura combinata degli artt. 100 e 77 c.p.c. si desume la regola generale per cui il diritto di agire spetta a chi abbia il potere di rappresentare l’interessato nella totalità dei suoi affari (procuratore generale) o in un gruppo omogeneo di questi (così Cass. Sez. L, 01/06/2006, n. 13054; Cass. Sez. 1, 03/01/2017, n. 43). La Corte d’appello di Napoli, dopo aver incidentalmente rilevato la tardività della contestazione del potere di rappresentanza del procuratore speciale F.G.B., in quanto operata nella comparsa conclusionale d’appello, ha in realtà apprezzato in fatto, sulla base dei poteri di indagine spettanti al giudice di merito, che la procura speciale del 23 agosto 2004, conferendo al F. “tutti i poteri di legge” per “l’impugnativa di testamento del Signor P.P.”, avesse attribuito al rappresentante non soltanto la facoltà di stare in giudizio per i preponenti, ma anche il potere di rappresentanza sostanziale per il compimento di atti giuridici, in nome e nell’interesse dei rappresentati, inerenti al rapporto dedotto in giudizio.

2. Il secondo motivo di ricorso (pag. 20 e ss.) lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 587,602,606,1367,2697,2729 c.c., dei principi in materia di conservazione degli atti di ultima volontà, nonchè degli artt. 61,62,115,116 e 191 c.p.c., con riferimento alla consolidata giurisprudenza di cassazione in materia di individuazione del requisito dell’autografia del testamento olografo. La Corte di Appello avrebbe omesso la corretta interpretazione delle risultanze della c.t.u., dalla quale sarebbe emerso che, in realtà, nel testamento impugnato non vi era un difetto di olografia, in quanto l’apposizione di data e luogo ad opera di mano aliena non sarebbe parte integrante dello stesso, ovvero parte del documento cartaceo in cui è trascritta la volontà del testatore. Le parole scritte da terzi sarebbero intervenute non “durante la confezione del testamento”, ma successivamente alla sua redazione.

Il terzo motivo di ricorso (pag. 30 e ss.) è rubricato “erronea interpretazione e violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 587,602,606,1367,2697,2729 c.c., dei principi generali in materia di conservazione degli atti di ultima volontà nonchè degli artt. 61,62,115,116 e 191 c.c., con riferimento altresì alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in materia di individuazione del requisito dell’autografia del testamento olografo”. Riprendendo il motivo precedente, parte ricorrente ribadisce che la giurisprudenza, ai fini dell’autografia del testamento, distingue tra intervento del terzo “durante la redazione del testamento” e intervento del terzo “dopo la redazione”, ipotesi quest’ultima che ricorrerebbe nel caso di specie. In tal senso andrebbe negata la nullità della scheda testamentaria giacchè redatta autonomamente da P.P..

Il quarto motivo (pag. 42 e ss.) censura la violazione e falsa applicazione, “sotto altro profilo, degli artt. 587,602,606,1367,2697,2729 c.c., dei principi generali in materia di conservazione degli atti di ultima volontà nonchè degli artt. 61,62,115,116 e 191 c.c. e ss.”. La Corte di Napoli avrebbe omesso di rilevare che la volontà del de cuius era “libera, spontanea e genuina al momento della redazione dell’intera scheda testamentaria”, in quanto, dalla ricostruzione dei fatti e delle prove, sarebbe palese che la stessa non era stata in alcun modo inficiata dalla successiva indicazione di data e luogo ad opera di terzi; così come avrebbe omesso la giusta considerazione della funzione che nel testamento olografo ha la sottoscrizione rispetto all’autografia e alla data, quale elemento che suggella e dà conferma alle disposizioni che la precedono e che, nel caso di specie, era certamente riconducibile a P.P..

Il quinto motivo di ricorso (pag. 45 e ss.) lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 161 c.p.c., nonchè omessa pronuncia sulle proposte eccezioni e violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. La Corte di Appello avrebbe eluso l’obbligo di ricostruire puntualmente e correttamente i fatti di causa funzionali all’individuazione della volontà del de cuius (corrispondenza della parte del testamento ritenuta autografa dal ctu e definita espressiva della volontà del testatore), nonchè l’obbligo di esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; nè vi sarebbe traccia in sentenza di riferimenti in merito alla questione dell’eventuale esistenza di una volontà testamentaria spontanea, incondizionata e definitiva, espressa nelle forme di legge, come eccepita dal ricorrente.

Il sesto motivo di ricorso (pag. 48 e ss.) lamenta, ancora, la nullità della sentenza e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione, in quanto la Corte del merito avrebbe omesso ogni esame in ordine all’apposizione di parole di mano altrui ad opera di terzi soltanto dopo la redazione del testamento e al di fuori delle disposizioni di ultima volontà, così come dedotto dal ricorrente in grado di appello.

Il settimo motivo di ricorso (pag. 51 e ss.) censura la violazione e falsa applicazione, “sotto altro profilo, degli artt. 602 e 606 c.c. nonchè degli artt. 112 e 345 c.p.c.”, in quanto la Corte, ritenendo erroneamente che l’atto testamentario fosse nullo per difetto di olografia, non avrebbe esaminato la questione dell’annullabilità dell’atto per mancanza della data sollevata dall’odierno ricorrente; questione che, per essere fatta valere, avrebbe dovuto onerato gli attori di sollevare una specifica eccezione in tal senso.

L’ottavo motivo di ricorso (pag. 53 e ss.) lamenta la violazione e falsa applicazione, “sotto altro profilo, dei principi generali in materia di conservazione degli atti di ultima volontà, degli artt. 587,602,606,1367,2697 e 2729 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.”. Nella sentenza di appello non vi sarebbe traccia di una specifica indagine in ordine all’individuazione dell’originaria genuina volontà che il testatore intese manifestare nella relativa scheda, essendosi limitata la Corte di Napoli al dato “formale” dell’apocrifa apposizione di data e luogo.

2.1. I motivi dal secondo all’ottavo vanno esaminati unitariamente, in quanto è del tutto evidente la loro connessione per la ripetitività degli assunti in essi esposti. Tutte le censure vanno respinte, essendo la sentenza della Corte d’Appello di Napoli conforme alla costante giurisprudenza relativa alla questione di diritto decisa.

La Corte d’Appello di Napoli ha accertato, sulla base delle risultanze peritali, che il testamento attribuito a P.P. recasse l’aggiunta della data e del luogo di redazione operata di terzi, ed ha coerentemente dichiarato la nullità del negozio, avendo spiegato, con argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della pronuncia, che quelle parole furono scritte da altro soggetto durante la confezione del negozio testamentario.

Dal combinato disposto degli artt. 602 e 606 c.c. si ricava che il testamento olografo è nullo quando manca l’autografia o la sottoscrizione del testatore. L’art. 602 c.c., in particolare, prescrive che il testamento olografo deve avere la data (“giorno, mese e anno”) scritta di pugno dell’autore delle disposizioni testamentarie (Cass. Sez. 2, 18/07/1969, n. 2672). L’omessa o l’incompleta indicazione della data comportano l’annullabilità del testamento olografo, la quale può essere fatta valere nel termine di cinque anni dalla data in cui le disposizioni testamentarie hanno avuto esecuzione da chiunque vi ha interesse (Cass. Sez. 2, 09/12/1988, n. 6682; Cass. Sez. 2, 08/06/2001, n. 7783). Peraltro, la domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un testamento, al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un’ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un’invalidità meno grave, nel rapporto di maggiore a minore, sicchè il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può sempre pronunciarne l’annullamento, ai sensi dell’art. 606 c.c., comma 2, ove quest’ultimo risulti fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione (ed in ciò è l’infondatezza, in particolare, del settimo motivo di ricorso); nè rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì una questione di qualificazione della domanda di nullità dello stesso (cfr. Cass. Sez. 2, 25/05/2012, n. 8366). Se però la data del testamento olografo non sia stata omessa, e risulti piuttosto, come nel caso in esame, apposta per intervento di un terzo durante la redazione di esso, il testamento è non annullabile, ma nullo per difetto di complessiva autografia, la quale va esclusa ogni qual volta un terzo abbia scritto una sola parola durante la confezione del negozio mortis causa, senza che neppure assuma rilievo, peraltro, l’importanza sostanziale della parte eterografa ai fini della nullità dell’intero testamento in forza del principio “utile per inutile non vitiatur”; la validità del testamento olografo esige, infatti, l’autografia non solo della sottoscrizione, ma anche della data e del testo del documento, e, pertanto, deve essere esclusa quando tale data o testo risultino in tutto od in parte opera pure di altra persona (così Cass. Sez. 2, 10/09/2013, n. 20703; Cass. Sez. 2, 24/04/2009, n. 9905; Cass. Sez. 2, 07/07/2004, n. 12458, Cass. Sez. 2, 10/07/1991, n. 7636). Soltanto ove sia accertato in fatto che l’alterazione di un testamento olografo da parte di terzi sia avvenuta dopo l’integrale redazione di esso da parte del testatore, il negozio conserva il suo valore, sempre che la stessa alterazione non sia tale da impedire l’individuazione dell’originaria, genuina volontà che il testatore abbia inteso manifestare nella relativa scheda (così Cass. Sez. 2, 03/11/2008, n. 26406).

La Corte d’Appello di Napoli ha quindi deciso ritenendo in fatto che la data ed il luogo di formazione del testamento olografo attribuito a P.P. fossero frutto di un’inserzione attuata da un terzo nel corpo delle disposizioni testamentarie durante la redazione di esso, e da tale ingerenza sulla scrittura del testatore ha tratto la coerente conclusione della nullità dell’intero negozio. Il sesto motivo di ricorso, in particolare, indica quale “fatto”, di cui sarebbe stato omesso l’esame, non una determinata circostanza, un dato storico, ma tutta una tesi difensiva in ordine allo sviluppo degli accadimenti, che è comunque stata oggetto di esame da parte dei giudici del merito. Tutte le censure del ricorrente propongono, dunque, a questa Corte una diversa ricostruzione fattuale delle vicende, che non potrebbe certamente essere accertata ex novo nel giudizio di cassazione, nel senso che l’apposizione della data e del luogo ad opera di terzi sarebbe avvenuta dopo la redazione e la sottoscrizione del testamento, tesi che peraltro contraddice l’iniziale posizione difensiva del medesimo P.A., riassunta a pagina 3 della sentenza impugnata, avendo egli negato di aver inviato ai fratelli dapprima una copia del testamento priva di data e solo in un secondo momento altra copia integrata.

3. Il ricorso va dunque rigettato e, in ragione della soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, in favore dei controricorrenti.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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