Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27724 del 30/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13652/2017 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO PUCA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ISCHIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CELLAMMARE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4093/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 23/04/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 16 marzo 2011, S.M.R. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, l’omonimo comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni, ai sensi degli artt. 2055 o 2043 c.c., conseguenti alla caduta verificatasi il *****, su una strada di proprietà comunale, a causa della presenza di una buca. Si costituiva l’amministrazione comunale contestando la fondatezza della pretesa;

con sentenza del 9 gennaio 2015 il Tribunale dichiarava la responsabilità esclusiva dell’ente comunale nella determinazione eziologica dell’evento lesivo, condannandolo al risarcimento dei danni ed alle spese processuali in favore del procuratore dichiaratosi antistatario;

avverso tale decisione il Comune di Ischia proponeva appello con atto di citazione del 7 luglio 2015 lamentando il difetto di motivazione, la violazione degli artt. 2043,2051 e 1227 c.c., l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie ed insistendo per la dichiarazione di nullità dell’atto di citazione o, in subordine, per la dichiarazione di concorrente responsabilità della infortunata nella produzione dell’evento lesivo. Si costituiva quest’ultima eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e l’infondatezza delle doglianze, nel merito;

la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 17 novembre 2016 in accoglimento della impugnazione dichiarava l’esclusiva responsabilità di S.M.R. nella produzione dell’evento lesivo, compensava interamente le spese di lite del doppio grado di giudizio e poneva a carico dell’attrice quelle della consulenza medica;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione S.M.R. affidandosi a un motivo illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c.. Resiste in giudizio con controricorso il Comune di Ischia.

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando l’argomentazione della Corte secondo cui la buca, in ragione delle condizioni di tempo e di luogo, risultava pienamente visibile ed evitabile da un pedone che proceda con la dovuta attenzione, ravvisando nel comportamento colposo dell’attrice l’unico profilo di responsabilità. La ricorrente aggiunge di avere tenuto una condotta di guida del tutto adeguata alle condizioni di tempo e di luogo, trattandosi di strada asfaltata priva di segnalazioni relative a dissesti del manto stradale o altri pericoli, per cui la motivazione della Corte, fondata esclusivamente sulla documentazione fotografica, poneva una sorta di responsabilità oggettiva a carico del danneggiato, sovvertendo i principi di cui all’art. 2051 c.c.. Sostiene che individuare il caso fortuito nella condotta di guida della danneggiata, significa addebitare a quella condotta un profilo di eccezionalità, imprevedibilità e inevitabilità in concreto insussistente. La mera circostanza che la strada fosse sconnessa, non costituire un’esimente per l’ente pubblico;

Osserva il Collegio che la motivazione della Corte d’Appello si fonda sull’esclusione del nesso causale, interrotto dal caso fortuito, rappresentato dal fatto del terzo: nel caso di specie, dalla colpa esclusiva della danneggiata. La ricostruzione operata dalla Corte territoriale è prettamente fattuale, muovendo dalla condivisibile premessa giuridica secondo cui il principio per il quale l’utente della strada deve poter fare affidamento sull’apparente transitabilità della stessa è limitato da quello di autoresponsabilità, in base al quale l’utente è gravato di un onere di particolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario e diretto del bene demaniale. Nel caso di specie, con una valutazione esclusivamente in fatto e sostanzialmente non contraddetta dalla ricorrente, la Corte ha ritenuto assorbente la circostanza che la buca presente sul manto stradale, che aveva determinato la caduta del ciclomotore dell’attrice, si presentava in maniera assolutamente chiara, di ampie dimensioni ed era ubicata al centro della carreggiata percorsa dal ciclomotore della appellante. In ragione delle concrete condizioni temporali e ambientali (pieno giorno, mese di settembre, forte luminosità naturale) tale buca si presentava di apprezzabili dimensioni, non ricoperta da materiale di sorta, collocata al centro della semicarreggiata di pertinenza della S. nell’ambito di un più ampio tratto stradale, tutto dissestato e sconnesso. Pertanto, l’utente che avesse basato la dovuta attenzione e cautela richiesta dalla concreta situazione di fatto delle condizioni del manto stradale, avrebbe potuto ragionevolmente rendersi conto del tratto vistosamente sconnesso e dissestato. Secondo la Corte, la buca era evitabile da parte dell’attrice se la stessa avesse prestato la dovuta attenzione, non ricorrendo in alcun modo l’ipotesi di insidia o trabocchetto;

sulla base di tali premesse il motivo è inammissibile avendo la Corte territoriale deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità e non offrendo l’esame dei motivi elementi di novità;

l’esame del motivo rende opportuna una puntualizzazione dei principi in materia di responsabilità per danni da cose in custodia, come via via espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, con attenzione specifica alla custodia dei beni demaniali e, tra questi, di quelli di grande estensione, come strade e loro accessori e pertinenze. La formulazione dell’art. 2051 c.c. (“ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) evidenzia chiaramente che:

– “la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa” (Cass. n. 15761/2016);

– ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato “cagionato” dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio del suo potere sul bene, giacchè il profilo della condotta del custode è – come detto – del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall’art. 2051 c.c. (ex multis, Cass. n. 4476/2011);

– ne consegue che il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato;

– si tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, Cass. n. 12027/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno;

– non può escludersi, invero, che un’eventuale colpa venga fatta specificamente valere dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex art. 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell’allegazione e della prova del rapporto causale tra la prima e il secondo; nè è da escludere che, viceversa, sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere l’attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi si tratta di deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode;

– resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell’affermazione della sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.;

quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (cfr., per tutte, Cass., S.U. n. 576/2008) secondo cui:

– ai fini dell’apprezzamento della causalità materiale nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli artt. 40 e 41 c.p., sicchè un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non);

– tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente – desumibile dal capoverso della medesima disposizione – in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto;

– al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l’evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorchè riscontrata con una prognosi postuma) – integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento iniziale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l’antecedente necessario;

tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa ed elidendone l’efficacia condizionante;

è pacifico – come detto – che il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o “teatro” della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell’evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla quando, poi, la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, sì da elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall’art. 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato – al pari del fortuito – anche sulla base di una valutazione officiosa (per tutte, Cass. n. 20619/2014);

quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso;

se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile;

tanto premesso, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia negato la responsabilità del custode dopo avere escluso la sussistenza di un nesso di causa e avere individuato nella incauta condotta della danneggiata la causa da sola idonea a produrre l’evento e ad interrompere qualunque rapporto con la condizione della strada, integrando pertanto gli estremi del caso fortuito. La Corte territoriale, per quanto detto, ha valorizzato la concreta possibilità per l’utente di percepire e prevedere con la ordinaria diligenza la situazione di pericolo che risultava evidente e che escludeva la configurabilità dell’insidia;

tale conclusione non merita censure, giacchè costituisce il risultato di un percorso argomentativo ragionevole fondato su una valutazione esclusivamente in fatto delle risultanze istruttorie, riconoscendo alla situazione dei luoghi un ruolo di mera occasione di tale sinistro; il tutto in piena conformità ai principi che governano la materia della responsabilità ex art. 2051 c.c., come sopra richiamati (Cass. Sez. 3, n. 2478, 2480 e 2482 del 2018);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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