Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.27916 del 31/10/2018

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La pretesa del proprietario di un terreno di difendere il proprio diritto reale esclude la configurabilità del presupposto, necessario ex art. 833 c.c. per aversi atto emulativo, dell'assenza di qualsiasi utilità in capo al proprietario.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4524 – 2014 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE CENCI 9, presso lo studio dell’avvocato ALDO LUCIO LANIA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente e controricorrente al ric. incidentale –

contro

A.S., difeso da se stesso elettivamente domiciliato in ROMA, V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentato e difeso anche dall’avvocato ETTORE BUCCIERO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

L.L., G.A.G., G.S.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1157/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/06/2018 dal Consigliere Dr. SERGIO GORJAN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO che ha concluso per parziale inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso principale; inammissibilità del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

A.S., nel 1991, qualificandosi titolare di immobile sito in agro di Gioia del Colle, evocò in giudizio, avanti il Tribunale di Bari, il titolare del predio limitrofo G.S., chiedendo di accertare l’esistenza di servitù di transito a favore del suo immobile ed a peso del fondo del G., l’usurpazione di porzione di proprio terreno da parte del convenuto con ordine di rilascio e ristoro del danno patito per la privazione.

Resistette il G. contestando la pretesa attorea e proponendo,a sua volta, domanda riconvenzionale tesa a far dichiarare la comunione del muro eretto a confine tra le aie antistanti i fabbricati delle parti.

Ad esito della trattazione istruttoria della lite, il Tribunale barese accertò l’esistenza della servitù di transito – ma solo a piedi – vantata dall’ A., l’usurpazione del fondo attoreo da parte del G. e liquidò il relativo risarcimento del danno, nonchè dichiarò la comunione del muro a confine tra le aie delle parti, liquidando la relativa indennità.

Avverso la prima decisione interpose appello principale il G., mentre anche l’ A. avanzò gravame incidentale ed intervenivano, quali successori ex art. 111 c.p.c., in causa la moglie e la figlia del G. chiedendo la declaratoria di inopponibilità nei loro riguardi della sentenza resa dal Tribunale,in quanto titolari del fondo – in tesi servente – non evocate in causa.

La Corte d’Appello rigettò l’appello principale ed accolse parzialmente il gravame incidentale mosso dall’ A., riconoscendo l’esistenza della servitù di transito anche veicolare e rigettando l’originaria domanda del G. tesa alla comunione del muro tra le aie,rigettando altresì la pretesa d’inopponibilità richiesta dalle intervenienti.

La Corte barese – per quanto ancora interessa – ebbe a rilevare come la costituzione della servitù di transito, rivendicata dall’ A., s’era realizzata per fatto stante il possesso ininterrotto dal 1941, posto che non poteva trovare – ratione temporis – applicazione l’istituto ex art. 1062 c.c. non previsto dal Codice civile del 1865 vigente al momento della divisione dell’allora bene unitario;

come, pur in accertata presenza di usurpazione da parte del G. di porzione del terreno in signoria del l’ A., stante la modestia di detta porzione e la sua conformazione spaziale poteva considerarsi ristoro adeguato il mero compenso monetario e non anche doveva essere ordinata la reintegra; come il muro a confine, di cui era chiesta da parte del G. la comunione ex art. 874 c.c. ricadeva per intero sul sedime in signoria dell’ A..

Avverso la sentenza resa dalla Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione G.S., articolando cinque motivi di doglianza.

A.S. ha resistito ritualmente, con controricorso ed anche ha proposto impugnazione incidentale fondata su due motivi.

Il G. ha depositato controricorso in relazione all’impugnazione incidentale svolta dall’avversario.

All’odierna udienza pubblica, sentite il P.G. – rigetto d’ambedue le impugnazioni – ed i difensori delle parti, la Corte adottava decisione siccome illustrato nella presente sentenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale proposto da G.S. appare infondato e va rigettato integralmente, mentre risulta fondata l’impugnazione incidentale mossa da A.S..

Con il primo motivo di doglianza il G. denunzia vizio di nullità poichè la Corte di merito non ha esaminata la sua eccezione afferente la ritualità della comparsa di costituzione e risposta, portante anche appello incidentale, dell’ A. in quanto teletrasmessa in difetto del rispetto delle prescrizione di legge al riguardo e non depositata tempestivamente in originale.

Rileva l’impugnante come egli ebbe prontamente a contestare la conformità della copia in atti con l’originale, poichè la copia della comparsa, depositata nel termine di legge per esporre appello incidentale, non risultava regolarmente teletrasmessa in quanto l’atto trasmesso non era autenticato dal difensore trasmittente, bensì solo dal difensore ricevente.

La doglianza s’appalesa priva di fondamento posto che A.S., nella sua qualità di esercente la professione forense, si difendeva da solo, ex art. 86 c.p.c., siccome palesato dalla precisazione e nell’epigrafe della comparsa e nello stesso mandato a margine di nomina del codifensore in loco avv. Bucciero.

Dunque la copia teletrasmessa risulta autenticata, ai sensi dell’apposita normativa al riguardo, e dall’avv. A., quale esercente la difesa in proprio e difensore trasmittente, nonchè sottoscritta dal difensore ricevente in Bari, sicchè palesemente non appare concorrere la fondatezza dell’eccezione avanzata dal ricorrente in sede d’appello.

La questione, se anche non ha formato oggetto di apposita statuizione della Corte barese, tuttavia risulta implicitamente superata dalla circostanza che i Giudici pugliesi hanno esaminato l’appello incidentale, mosso dall’ A., portato nella comparsa teletrasmessa nonchè accolto parzialmente le sue doglianze, così adottando soluzione che necessariamente presuppone il rigetto dell’eccezione svolta.

Inoltre, come insegna costantemente questo Supremo Collegio – Cass. sez. 2 n. 13649/05, Cass. sez. 1 n. 7506/14, Cass. sez. 5 n. 5729/12 – l’omesso esame di un’eccezione di nullità non può configurare vizio di nullità per omesso esame, ex art. 112 c.p.c., possibile solo con relazione a domande proposte dalle parti, bensì violazione di legge quando è errata la soluzione implicita resa dal Giudice del merito al riguardo.

Ma come già detto nella specie l’eccezione risulta palesemente priva di fondamento sicchè non concorre il vizio di nullità denunziato.

Con la seconda ragione di doglianza il ricorrente principale rileva nullità della decisione impugnata per violazione del disposto ex art. 112 c.p.c. non avendo la Corte territoriale esaminato e pronunziato sull’eccezione di inammissibilità del gravame, svolto in via incidentale dall’ A., per genericità dei motivi.

Osserva il G. come la Corte di Bari non abbia risposto alla sua eccezione di genericità dell’appello incidentale poichè l’atto portante lo stesso risultava mero compendio di fotocopie di pregressi atti processuali della medesima parte privo di argomenti critici svolti contro il ragionamento logico-giuridico esposto dal Tribunale nella sentenza appellata.

La doglianza si rivela priva di fondamento poichè all’evidenza, avendo la Corte territoriale enucleato le ragioni di censura e quindi partitamente in sentenza risposto alle stesse, ha implicitamente ma chiaramente ritenuto specifiche le censure elevate con l’appello incidentale.

Dunque concorre motivazione implicita al riguardo e l’argomentazione critica mossa dal G. si risolve in propria valutazione del contenuto dell’atto depositato dalla controparte in sede d’appello, contrapposta all’apprezzamento fattone dai Giudici di merito.

Con la terza ragione di doglianza il G. deduce vizio di nullità e di violazione di legge in relazione agli artt. 325 e 326 c.p.c.poichè la Corte barese non ebbe a ritenere consumato il diritto di impugnazione dell’ A. con la proposizione dell’appello incidentale, per altro formulato siccome integrale ritrascrizione dell’autonomo atto d’appello notificato il giorno stesso.

La censura appare non sostenuta da giuridico interesse.

Difatti è affermazione dello stesso impugnante che nella comparsa di risposta portante appello incidentale risultava ritrascritto integralmente l’atto di appello autonomo notificato, lo stesso giorno del deposito della comparsa, dall’ A.. Pertanto risultando i due distinti atti d’appello portanti le medesime argomentazioni e conclusioni uno dei due risulta mera duplicazione dell’altro, sicchè non s’imponeva alcuna declaratoria di sua inammissibilità.

Con il quarto mezzo d’impugnazione il ricorrente principale rileva violazione di legge circa le disposizioni normative in tema di possesso e valutazione delle prove assunte in causa, nonchè omesso esame di fatto impeditivo od estintivo,in quanto la Corte barese aveva errato nel ritenere sussistente un possesso anteriore al 1941 ed omesso di valutare le dichiarazioni rese dai testi, anche sentiti in separato procedimento di natura possessoria.

In effetti però l’articolata censura si compendia nella critica all’apprezzamento del tessuto probatorio acquisito in atti siccome operato dalla Corte di merito, cui l’impugnante contrappone la sua diversa valutazione.

In particolare il G. contesta la statuizione della Corte pugliese di considerare il possesso, siccome venuto in essere già nel 1909 sulla base della sentenza resa all’epoca tra i titolari dei medesimi beni, ed a ritenere che lo stesso continuò inalterato anche dopo l’entrata in vigore dell’attuale Codice civile nel 1941.

A sua opinione,non annettendo il codice abrogato alcun effetto circa l’acquisto del diritto reale al possesso,questo nemmeno poteva esplicare i suoi effetti ai fini previsti dall’istituto ex art. 1142 c.c. – presunzione del possesso intermedio -. Inoltre il G. lamenta l’omessa considerazione, da parte dei Giudice d’appello, delle dichiarazioni rese dai testi – che integralmente trascriveva – sentiti,anche in sede di diverso procedimento possessorio, lumeggianti come il transito dei coloni insediati sul predio dell’ A. avveniva per mera tolleranza in correlazione esclusiva con l’effettuazione di determinate lavorazioni dei campi.

La doglianza si rivela priva di fondamento sotto entrambi i profili trattati.

Difatti la Corte di merito ha ben evidenziato come, correttamente, il Tribunale di Bari ebbe a ritenere che la sentenza, resa dai Giudici del 1909, fosse un “fatto” da valutare a fini probatori dell’esistenza già all’epoca dell’esercizio della servitù, oggi, rivendicata in causa.

Ed al riguardo non assume rilievo alcuno l’argomentazione critica svolta dal G., fondata eminentemente su ragioni di diritto circa l’irrilevanza, al fine della costituzione del diritto reale parziario, del possesso esercitato sotto l’imperio del Codice civile del 1865.

La circostanza che il possesso,siccome esercitato dal 1909 al 1941,non assumesse rilievo a fini giuridici non anche comporta che quale “fatto” non esistesse e come tale possa esser valutato.

La norma di cui all’art. 1142 c.c. – Cass. sez. 2 n 6591/1986 – invero afferisce alla situazione concreta – potere di fatto sulla cosa – esistente e correttamente dunque i Giudici di merito hanno rilevato che, già nel 1909,i titolari del fondo – in tesi – dominante operavano conformemente a come hanno continuato a fare sino al 1989 quando la masseria non fu più abitata da persone dedite alla coltivazione dei campi.

Dunque non concorre la violazione delle norme a disciplina del possesso denunziata, poichè i Giudici del merito hanno avuto riguardo esclusivamente al comportamento tenuto, siccome fatto della vita, e non anche ai suoi effetti giuridici, siccome nel tempo disciplinati dalla normativa succedutasi.

Anche il profilo dell’omessa valutazione dei risultati della prova per testi, assunta in causa, ed anche in diverso procedimento possessorio antecedente, non appare fondato.

Difatti la censura si fonda sulla riproduzione ed interpretazione delle dichiarazioni rese da informatori assunti nella separata causa possessoria e dalle medesime persone escusse quali testimoni nella presente causa.

Già una tale impostazione della doglianza appare veicolare la richiesta di un mero nuovo apprezzamento del dato probatorio da parte di questa Corte di legittimità, ma pure risulta violato il principio di specificità della critica poichè non viene precisato se le persone indicate furono gli unici testimoni escussi in causa ovvero se lo furono anche altri soggetti, le cui dichiarazioni però parte impugnante non ha inteso riprodurre e così far conoscere a questa Corte Suprema ai fini della chiesta decisione.

In definitiva la doglianza appare richiedere,attraverso il vizio di omesso esame di un fatto – che giammai può essere individuato in un dato probatorio, Cass. su n 8053/14, Cass. sez. 3 n. 11892/16 -,un apprezzamento di merito circa il rilievo di alcuni dei dati acquisiti in causa,astratti dal compiuto tessuto probatorio, ossia una questione che esula dal presente giudizio di legittimità.

Con il quinto ed ultimo mezzo d’impugnazione il G. rileva violazione della norme di cui agli artt. 874 e 878 c.c. poichè la Corte territoriale non ha tenuto conto di altra decisone,in cosa giudicata, tra le medesime parti nella quale è riconosciuta la comunione del muro divisorio in forza di patto verbale e che pacificamente la costruzione in questione aveva natura di muro di cinta.

Ambedue i profili dedotti dal ricorrente principale a sostegno della sua doglianza sono privi di fondamento giuridico.

Difatti la Corte territoriale ha puntualmente esaminata la questione afferente la pronuncia d’altra decisione giudiziale circa la comunione del muro di causa, già passata in giudicato, ed ha osservato come le due domande erano incompatibili, sicchè la sentenza evocata non incideva sulla questione agitata nella presente causa.

In aderenza all’insegnamento di questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n 1101/1966 – i Giudici baresi hanno osservato come la comunione del muro a confine può discendere o da patto – fonte costitutiva del diritto riconosciuta nella sentenza evocata a sostegno della sua tesi dal G. – ovvero dalla situazione fattuale disciplinata dalla legge – art. 878 c.c.-,sicchè i due modi d’acquisto sono palesemente alternativi.

Parte impugnante non pare censurare detta effettiva ratio decidendi illustrata dalla Corte di Bari, sicchè consegue l’infondatezza della prima prospettazione critica.

Quanto all’inadeguata valutazione della circostanza fattuale che la costruzione era un muro di cinta, risulta con chiarezza che la Corte di merito s’è attenuta alla norma di cui all’art. 878 c.c., comma 2, una volta rilevato siccome fatto assodato in causa, che il muro di cinta risulta eretto totalmente all’interno della proprietà dell’Armenia.

Anche questa ratio decidendi risulta contrastata con la mera riproposizione della propria posizione difensiva disattesa dai Giudici pugliesi.

Passando all’esame dell’impugnazione incidentale mossa dall’ A., questi denunzia violazione dell’art. 948 c.c., nullità della sentenza per inosservanza di più norme processuali ed omesso esame di fatti decisivi in relazione alla statuizione della Corte di merito afferente la sua domanda di restituzione della porzione di suo fondo occupata dal G..

In effetti la questione appare fondata in relazione alla dedotta violazione di norma giuridica, sicchè non risulta necessario esaminare anche gli altri profili di doglianza.

E’ insegnamento tradizionale di questa Corte, dal quale non v’è ragione di discostarsi – Cass. sez. 2 n 4812/1984, Cass. sez. 2 n 2359/12 -, che in tema di difesa dei diritti reali non trova applicazione la facoltà prevista dall’art. 2058 c.c. in tema di ristoro del danno, poichè l’unico rimedio è sempre la restitutio in integrum del titolare del diritto di proprietà.

La Corte territoriale non s’è attenuta a detta regola iuris,fondata sulle norme di legge, evocando richiamo alla natura emulativa della pretesa azionata in giudizio dall’Armenia al riguardo.

Tuttavia va osservato come, una volta accertato che il G. ha usurpato porzione dl fondo in signoria del resistente-ricorrente incidentale, l’unica conseguenza possibile è la restituzione del bene al titolare del diritto di proprietà, poichè la difesa del proprio diritto non può mai generare atto emulativo che invece presuppone l’esercizio delle facoltà di godimento del proprio bene.

E’ tradizionale e consolidato insegnamento di questa Suprema Corte – Cass. sez. 2 n 164/1981, Cass. sez. 2 n 173/1983, Cass. sez. 2 n 1209/12 – che la difesa del proprio diritto reale esclude la configurabilità del presupposto necessario, ex art. 833 c.c., dell’assenza di qualsiasi utilità in capo al proprietario per aversi atto emulativo.

Di conseguenza sul punto la decisione impugnata va cassata e la questione rimessa ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari, che s’atterrà al principio di diritto sopra enucleato.

La seconda ragione d’impugnazione mossa dall’ A. ed attinente alla violazione delle disposizioni degli artt. 91 e 92 c.p.c.poichè erroneamente i Giudici di merito hanno ritenuto concorrere ragione per la compensazione parziale delle spese di lite, rimane assorbita in quanto, ad esito del giudizio di rinvio, la Corte di Bari dovrà provvedere a riliquidare le spese della lite, comprese quelle afferenti a questo giudizio di legittimità.

Concorrono in capo al G., la cui impugnazione principale risulta integralmente rigettata, le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, altra sezione, che provvederà a disciplinare anche le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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