Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.13868 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9732-2015 proposto da:

G.F., P.S., P.C., P.R., tutti nella qualità di eredi di P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso lo studio dell’avvocato EZIO BONANNI, rappresentati e difesi dagli avvocati PIETRO GAMBINO e LIBORIO GAMBINO;

– ricorrenti –

contro

– FINCANTIERI CANTIERI NAVALI ITALIANI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;

– ZURICH INSURANCE COMPANY SA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. VASARI 5, presso lo studio dell’avvocato RAOUL RUDEL, che la rappresenta e difende;

– UNIPOL SAI S.P.A., e GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che li rappresenta difende unitamente all’avvocato LUCIA SPINOGLIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 400/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/04/2014 R.G.N. 659/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri;

udito l’Avvocato PIETRO CAMBINO in proprio e anche per delega verbale di LIBORIO CAMBINO;

udito l’Avvocato SARA CISTRIANI per delega verbale Avvocato FABIO ALBERICI;

udito l’Avvocato RAOUL RUDEL;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega verbale Avvocato ENZO MORRICO.

FATTI DI CAUSA

1. P.G. convenne innanzi al Tribunale di Palermo la Fincantieri Cantieri Navali Italiani Spa, presso cui aveva prestato attività lavorativa dipendente quale montatore dal 25 luglio 1955 al 31 luglio 1985, per sentirla condannare al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale patito a causa dell’asbestosi pleurica e della broncopatia ostruttiva contratte per l’inalazione di polveri sottili d’amianto adoperate nello svolgimento della prestazione senza le doverose cautele da parte della datrice di lavoro.

In seguito al decesso del dante causa, proseguirono il giudizio G.F. e C., R. e P.S., nella qualità di eredi.

Instaurato il contraddittorio con la Fincantieri e con le compagnie assicuratrici chiamate in causa dalla società armatoriale, il Tribunale adito, il 1 dicembre 2010, rigettò la domanda.

2. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 14 aprile 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado.

Ha ritenuto che “la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’Inail si configura come una vera e propria condicio iuris della domanda risarcitoria in difetto della quale îl danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile” ed ha concluso che “la lettura del ricorso di primo grado non offre, al di là di una labiale petizione e di una esegesi teorica dell’astratta fattispecie di danno, una compiuta declinazione nel caso concreto dei connotati di specificità del pregiudizio alla persona – configurabili negli aspetti di peculiare penosità e durata della malattia, nonchè nelle implicazioni di ordine relazionale ed affettivo – che avrebbero potuto giustificare la richiesta del cd. danno differenziale”.

Il rigetto del gravame ha comportato, per la Corte sicula, “effetti assorbenti riguardo le posizioni di garanzia delle compagnie assicuratrici intervenute nel presente grado di giudizio”.

3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso gli eredi P. con 5 motivi; hanno resistito Fincantieri s.p.a. nonchè le compagnie assicuratrici in epigrafe con distinti controricorsi.

La Fincantieri ha comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

1.1. Con il primo mezzo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 10, del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, degli artt. 2087,2059,2056 e 1223 c.c. e degli artt. 112,113,114 e 115 c.p.c.. Infondatezza del difetto di legittimazione passiva della Fincantieri in ordine alla domanda di risarcimento del danno biologico patito dal de cuius”.

Si censura l’assunto della Corte palermitana secondo cui la liquidazione dell’indennizzo Inail sarebbe una condicio iuris dell’azione nei confronti del datore di lavoro responsabile civile.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 10, del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, degli artt. 2059,2087 e 2043 c.c. e art. 112 c.p.c.. Qualificazione della domanda di risarcimento del danno biologico patito dal de cuius”.

Si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata per avere rigettato le domande di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal de cuius, dovendosi al contrario ritenere sufficientemente specificati il petitum e la causa petendi; si deduce che era stato “dedotto un comportamento datoriale illegittimo a fondamento del danno asseritamente patito”, anche con riferimento alla fattispecie di reato ex art. 589 c.p., commi 1, 2 e 3 ed alla violazione dell’art. 2087 c.c., agli elementi per l’accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro, ai criteri di quantificazione del danno biologico; si richiama la dottrina per sostenere che in tali casi “il giudice dovrebbe provvedere al calcolo dell’indennizzo in via incidentale, in base a criteri legislativamente previsti, detraendolo dall’ammontare complessivo del danno”.

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 10, dell’art. 589, dell’art. 2087 c.c. e art. 116 c.p.c. per omesso esame delle risultanze processuali sulla responsabilità civile dei vertici della Fincantieri nonostante le condanne intervenute in sede penale in via definitiva.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia: “a) violazione dell’art. 1223,2056 e 2059 c.c. per il mancato riconoscimento del danno tanatologico, esistenziale e/o non patrimoniale diverso dal biologico in senso stretto; b) violazione degli artt. 115,116 c.p.c. e artt. 1226,2727 e 2729 c.c. per omesso esame e considerazione dei fatti, dei documenti medici allegati e degli accertamenti compiuti in sede penale, nonchè dei numerosi elementi presuntivi già in atti, idonei a fondare anche da soli la domanda risarcitoria del danno tanatologico, morale ed esistenziale e quelli costituzionalmente protetti”.

Si censura la Corte territoriale per avere negato le poste di danno non patrimoniale anche non coperte da assicurazione Inail ed accertabili mediante presunzioni semplici, considerato che il dante causa era deceduto per le patologie contratte “dopo quasi due anni dalla diagnosi della malattia e dopo immani sofferenze”.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia: “violazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 1223, 2056 e 2059 c.c. per: a) omessa decisione ed esame della domanda di accertamento del nesso causale tra la morte del sig. P.G. e le malattie professionali di cui era affetto; b) omessa decisione ed esame della domanda di condanna al risarcimento del danno conseguente alla morte del P. – tanatologico – morale; c) omesso esame della richiesta di ammissione della CTU per accertare il nesso causale tra la morte e le malattie professionali di cui era affetto il P.”.

2. I primi due motivi di ricorso congiuntamente esaminabili per connessione superate le eccezioni di inammissibilità sollevate dai controricorrenti in quanto essi illustrano in modo specifico gli errores in iudicando in cui è incorsa la Corte territoriale, senza sconfinare in valutazioni attinenti al merito – sono fondati in quanto la Corte territoriale ha seguito un orientamento dottrinale e giurisprudenziale di merito già compiutamente disatteso da questa Corte (Cass. n. 9166 del 2017; successive conformi v. Cass. n. 13819 del 2017; Cass. n. 28896 del 2017; Cass. n. 20392 del 2018; Cass. n. 27952 del 2018; Cass. n. 9744 del 2019).

E’ stato infatti affermato il seguente principio di diritto:

“Le somme eventualmente versate dall’Inail a titolo di indennizzo D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicchè, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l’inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all’evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell’applicabilità dell’art. 10 decreto citato, ossia all’individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. “danni complementari”), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell’eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall’Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo stesso” (Cass. n. 9166/2017 cit., cui integralmente si rinvia per ogni ulteriore argomentazione e statuizione di supporto; in precedenza v. Cass. n. 777 del 2015; Cass. n. 13689 del 2015; Cass. n. 3074 del 2016).

Non è conforme all’enunciato principio l’assunto radicale della Corte palermitana secondo cui “la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’Inali si configura come una vera e propria condicio iuris della domanda risarcitoria in difetto della quale il danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile”.

Per quanto detto, le prestazioni dovute dall’INAIL a titolo di indennizzo in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000 non sono a priori integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato o ammalato; il datore di lavoro, anche ove ricorra una ipotesi in cui è operante l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, resta debitore e titolare dal lato passivo dell’obbligazione di risarcire i danni complementari, secondo le regole civilistiche ed a prescindere da ogni responsabilità penale, e differenziali, finanche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo stesso.

Tale errore pregiudiziale di prospettiva travolge ogni ulteriore assunto della sentenza impugnata laconicamente espresso in ordine alla non configurabilità della “responsabilità penale degli organi dirigenti della Fincantieri” ed alla non “compiuta declinazione” nell’atto introduttivo del giudizio del “pregiudizio alla persona” che avrebbe potuto giustificare la richiesta del cd. danno differenziale.

Anche perchè in tali rilievi si scorge l’adesione a rigorose opinioni dottrinali, seguite anche da giurisprudenza di merito, secondo cui la domanda di danno differenziale, ai fini dell’accoglimento, dovrebbe contenere una puntuale e formale qualificazione dei fatti in termini di illiceità penale nonchè la specifica deduzione del preteso quantum in termini differenziali rispetto all’indennizzo INAIL, liquidato o liquidabile.

Si ribadisce (ancora Cass. n. 9166/2017 cit.) “che, ai fini dell’accertamento del danno differenziale, è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, sottolineando che anche la violazione delle regole di cui all’art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale (Corte Cost. n. 74 del 1981; Cass. n. 1579 del 2000). Spetterà poi al giudice il compito di qualificare giuridicamente i fatti e sussumerli nell’alveo della fattispecie penalistica, accertando autonomamente ed in via incidentale la sussistenza del reato”.

Inoltre “la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento datoriale, è idonea a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovrà applicare il meccanismo legale previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 anche ex officio, pur dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, atteso che, rappresentando il differenziale normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l’intero danno”.

In proposito opportuno rammentare la giurisprudenza di questa Corte che, in materia di azioni di risarcimento del danno, pone in rilievo non la qualificazione formale ma la natura e le caratteristiche del pregiudizio stesso (v. Cass. n. 12236 del 2012, secondo cui ciò che conta è che il pregiudizio sia stato prospettato o addirittura sia insito nelle caratteristiche della fattispecie di cui costituisca conseguenza naturale, a prescindere da quale sia stata la sua qualificazione formale). Inoltre è stato affermato più volte che la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo e che l’unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta; ne consegue che, laddove nell’atto introduttivo siano indicate specifiche voci di danno, a tale specificazione deve darsi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal petitum le voci non menzionate (Cass. n. 22514 del 2014; Cass. n. 23147 del 2013; Cass. n. 3718 del 2012; Cass. n. 17879 del 2011; Cass. n. 26505 del 2009; Cass. n. 22884 del 2007; Cass. n. 10441 del 2007; Cass. n. 3936 del 2007; Cass. n. 11761 del 2006).

3. Conclusivamente i primi due motivi di ricorso devono essere accolti, con assorbimento degli altri successivi in ordine logico e/o giuridico.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto innanzi statuito, regolando anche le spese ex art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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