LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17237/2013 proposto da:
B.C., nella qualità di erede di B.M. e di M.Bersani M., elettivamente domiciliato in Roma, via Luciani, n. 1, presso lo studio dell’avvocato Ferruccio De Lorenzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Palma e Mariapia Pucci, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
e contro
Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Poli, n. 29, presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania, rappresentata e difesa dall’avvocato Modesto Letizia, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2580/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2019 dal cons. Giuseppe De Marzo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Cardino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale e per il rigetto del ricorso principale.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata il 12 luglio 2012, la Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello proposto da B.C., quale erede di B.M. e di B.M.M., anch’ella erede di B.M. e deceduta in corso di causa, ha condannato la Regione Campania al pagamento della somma di Euro 10.000,00, oltre interessi legali, a titolo di indennizzo per arricchimento ingiustificato, in relazione alle prestazioni svolte come consulente di quest’ultima in procedimento arbitrale.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la nota dirigenziale n. 1636 del 2 luglio 1999, con la quale il dirigente regionale aveva comunicato il parere favorevole dell’Avvocatura regionale alla liquidazione dei compensi ai consulenti tecnici e aveva invitato il B. a trasmettere la relativa documentazione fiscale, costituiva riconoscimento dell’utilitas della prestazione eseguita e momento di decorrenza del termine di prescrizione decennale rispetto all’azione di arricchimento ingiustificato, esercitata con atto di citazione notificato in data 1 giugno 2005; b) che la citata nota dirigenziale non integrava un atto di riconoscimento del debito relativo al richiesto indennizzo; c) che non era stata allegata o provata la diminuzione patrimoniale sofferta dal B.; d) che, pertanto, potevano essere riconosciute soltanto le spese vive “che verosimilmente possono ritenersi sostenute e che si quantificano, equitativamente all’attualità, in Euro 10.000,00”.
3. Avverso tale sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la regione Campania ha resistito con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Il B. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2697 e 2698 c.c., nonchè violazione dell’art. 2041 c.c., rilevando: a) che gli attori avevano allegato e dimostrato che all’arricchimento della regione era corrisposta la diminuzione patrimoniale del loro dante causa, diminuzione che ritenevano costituita dal valore economico della prestazione; b) che la regione mai aveva riferito di inadempienze del loro dante causa, quanto allo svolgimento dei propri compiti di ufficio.
2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali nonchè violazione dell’art. 116 c.p.c. nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere i giudici di merito omesso di considerare che l’Amministrazione datrice di lavoro mai aveva mosso contestazioni, quanto al fatto che il B. potesse essersi sottratto ai doveri di ufficio e, anzi, alla luce del parere espresso dall’Avvocatura, aveva espresso parere favorevole alla liquidazione dei compensi 3. Con i primi due motivi del ricorso incidentale, presentati congiuntamente, si lamentano violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2934, 2935, 2943 e 2944 c.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, rilevando che erroneamente la Corte territoriale aveva fatto decorrere il termine di prescrizione dal ritenuto riconoscimento della utilitas da parte della regione e non dal momento nel quale il B. aveva ultimato la sua prestazione.
4. Con il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale, presentati congiuntamente, si lamentano violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2041, 2697, 1226 e 2729 c.c., nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale presunto che il B. avesse verosimilmente affrontato spese vive per lo svolgimento della prestazione, senza dar conto degli elementi di fatto sui quali riposava tale conclusione.
5. Per ragioni di economia espositiva e di decisione, appare preliminare l’esame del primo motivo del ricorso incidentale.
La sentenza di appello: a) muove dal presupposto che l’accoglimento dell’azione di arricchimento senza causa nei confronti della p.a. richieda il riconoscimento della utilitas da parte della amministrazione; b) coglie siffatto riconoscimento nella nota dirigenziale del 2 luglio 1999; c) ritiene non realizzatosi l’effetto estintivo della prescrizione decennale, dal momento che l’atto introduttivo del giudizio è stato notificato il 1 giugno 2005.
Essa, come si è sopra ricordato, circoscrive l’indennizzo alle spese vive “che verosimilmente possono ritenersi sostenute e che si quantificano equitativamente all’attualità in Euro 10.000”; inoltre, esclude ogni altra voce, non essendo stata allegata e provata la dim4Itypzione patrimoniale subita dal professionista.
Prima ancora di soffermarsi su quest’ultimo punto – oggetto del primo motivo del ricorso principale – deve, però, innanzi tutto osservarsi che è fondato il rilievo svolto nel primo motivo del ricorso incidentale, quanto al momento nel quale prende a decorrere il termine di prescrizione dell’azione di arricchimento ingiustificato.
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisca ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto” (Cass., Sez. Un., 26 maggio 2015, n. 10798).
Nel primo motivo del ricorso incidentale la questione del dies a quo del termine di prescrizione viene riproposta, sia pure nel solco della giurisprudenza tradizionale, facendo riferimento alla consegna delle valutazioni tecniche all’avvocatura regionale (l’ultima in data 23 giugno 1994 e comunque in data anteriore al lodo del 28 novembre 1994).
Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il ricorrente, nel prendere atto della puntualizzazione operata dalle sezioni unite di questa Corte, invoca una autocorrezione interpretativa del sistema, osservando che l’incolpevole affidamento riposto nel “diritto vivente” all’epoca vigente non può accompagnarsi alla conseguenza di una decadenza realizzatasi a posteriori, per effetto dell’imprevedibile revirement giurisprudenziale.
La doglianza non coglie nel segno.
La citata sentenza n. 10798 del 2015, nel delineare i contorni del riconoscimento della utilitas, quali tratteggiati dalla giurisprudenza sino ad allora formatasi, ha ricordato che esso doveva provenire, anche in termini impliciti, da atti e comportamenti imputabili agli organi rappresentativi della amministrazione o a quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà (Cass. 27 luglio 2002, n. 11133; Cass. 17 luglio 2001, n. 9694).
La peculiarità nel caso di specie è che l’incarico era stato affidato al B. da una Delib. di giunta regionale, la quale, pur non potendo evidentemente tenere luogo del contratto che non sarebbe stato concluso, era ben sufficiente a giustificare, unitamente alla successiva utilizzazione dell’elaborato tecnico, una ragionevole probabilità di esito favorevole di una iniziativa giudiziaria.
In altri termini, anche nel precedente contesto giurisprudenziale, il ricorrente avrebbe potuto fondatamente esercitare la propria pretesa prima della nota dirigenziale della quale si è detto supra e della quale si dirà subito infra, talchè, se ha scelto di attendere, non può pretendere di attribuirne le conseguenze all’interpretazione del sistema fornita da Sez. Un. 10798 del 2015.
Quanto poi alla nota dirigenziale del 2 luglio 1999, essa non può acquisire rilievo come atto interruttivo della prescrizione.
La sentenza impugnata ha escluso che essa potesse esprimere un riconoscimento di debito, dal momento che aveva ad oggetto il compenso che sarebbe spettato in caso di valida instaurazione del rapporto contrattuale.
Tale conclusione non è stata oggetto di impugnazione da parte del ricorrente e tale rilievo appare assorbente.
Essa è, del resto, conforme all’orientamento di questa Corte, secondo la quale il riconoscimento del diritto, al fine della interruzione della prescrizione, ex art. 2944 c.c., è configurabile in presenza non solo dei requisiti della volontarietà, della consapevolezza, della inequivocità e della recettizietà, ma anche di quello dell’esternazione, indispensabile al fine di manifestare anche alla controparte del rapporto quella portata ricognitiva che, con l’affidamento rispetto alla persistente esistenza del credito che ne deriva, sta a base dell’effetto interruttivo della prescrizione (Cass. 15 giugno 2018, n. 15893).
Ora, la nota citata ha riguardo, come detto, al pagamento di compensi derivanti da incarico fondato su titolo legittimo e non concerne la distinta pretesa che viene in questione nel nostro procedimento.
6. L’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, comporta, per la sua decisività, l’assorbimento dei restanti motivi del medesimo ricorso, nonchè dei due motivi del ricorso principale per assorbimento cd. improprio. Invero la decisione assorbente, rende superfluo provvedere esplicitamente sulle anzidette censure del ricorso principale, proprio perchè l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale comporta l’implicita negazione del presupposto di sostenibilità di quelle (v. Cass. 16 maggio 2012, n. 7663).
Per effetto delle superiori considerazioni e dell’intervenuto, inutile decorso del termine di prescrizione, si impone, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il rigetto della domanda del B..
Alla luce degli sviluppi processuali e dell’evoluzione della giurisprudenza, ricorrono i presupposti per compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti i restanti motivi; assorbito il ricorso principale; cassa, in relazione al disposto accoglimento, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal B.. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019
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