LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 899-2018 proposto da:
NUOVA ITALICA IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA, 98, presso lo studio dell’avvocato PIETRO MAZZEI, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO DI LORETO;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ ITALIANA PER CONDOTTE D’ACQUA SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Gestione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 97, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO DE’ MEDICI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1269/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
RILEVATO
che:
1. La Fistagi S.r.l. e la Vittoria Immobiliare S.r.l., rispettivamente conduttore e proprietario di un immobile nel quale il primo esercitava attività commerciale, convenivano in giudizio la Società italiana per le Condotte d’Acqua S.p.a., al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in ragione della presenza nell’immobile di fessure che avevano comportato la produzione di una notevole quantità di polveri, addebitabile alla cattiva esecuzione dei lavori di costruzione, secondo quanto risultante dall’ATP svolto presso il Tribunale di Roma nel 1999. Nel 2004, gli attori avevano denunciato alla Società Italiana per le condotte d’acqua i vizi riscontrati.
Si costituiva in giudizio la convenuta, che chiamava in causa la Mabo Holding S.p.a., cui era stato affidato l’appalto per la costruzione dell’immobile; quest’ultima notificava atto di citazione per chiamata di terzo alla Milano Assicurazioni S.p.a. e all’impresa individuale D.N.G.. La Società Condotte eccepiva la prescrizione del diritto fatto valere dagli attori, risalendo il dies a quo non già alla data della formale denuncia dei vizi effettuata nel 2004, bensì al 1999 quando era stato eseguito l’accertamento tecnico preventivo.
Con sentenza 1580/2008, il Tribunale di Pescara rigettava la domanda di parte attrice, rilevando l’intervenuta prescrizione dell’azione.
2. Parti soccombenti proponevano appello avverso la predetta pronuncia. Con sentenza 1269/2016, del 23 novembre 2016, la Corte d’Appello di L’Aquila respingeva l’impugnazione, condividendo l’assunto del Giudice di prime cure in ordine all’individuazione del dies a quo alla data di scoperta dei difetti della pavimentazione, risalente al 1999 e non anche al 2004, avendo gli attori in quell’anno conseguito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei vizi della struttura.
3. Avverso tale pronunzia Nuova Italica Immobiliare S.r.l., già Vittoria Immobiliare S.r.l., propone ricorso per cassazione, con un motivo articolato in più censure. La Società Italiana per le Condotte d’acqua resiste con controricorso.
3.1. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
4. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, di condividere la proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso, sebbene per una diversa ragione.
5.1. Il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1169,1495 e 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; in particolare, la Corte avrebbe errato nell’individuazione del dies a quo, dovendosi questo far risalire esclusivamente alle verifiche tecniche effettuate nel 2004. Il ricorrente evidenzia altresì che la dichiarazione di prescrizione è incompatibile con il riconoscimento che la controparte ha effettuato dei vizi, e rileva che l’accertamento del diritto in capo alle attrici avrebbe comunque dispiegato i propri effetti nei confronti dell’impresa D.N., che non ha sollevato alcuna eccezione di prescrizione. In ultimo, il ricorrente lamenta la circostanza per cui il Giudice avrebbe ignorato che le parti hanno azionato una pretesa risarcitoria fondante sulla previsione degli artt. 1495 e 2043 c.c.
6. Il ricorso è inammissibile per difetto di procura. Ai sensi dell’art. 365 c.p.c., la procura rilasciata all’avvocato iscritto nell’apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. E’, pertanto, inidonea allo scopo, e, come tale, determina l’inammissibilità del ricorso, la procura apposta in margine od in calce all’atto introduttivo del giudizio di merito, ancorchè conferita per tutti i gradi e le fasi del giudizio, perchè da essa non è dato evincere il suo conferimento in epoca successiva alla sentenza impugnata e il suo riferimento al giudizio di legittimità (Cass. S.U. 488/2000; Cass. 19226/2014; Cass. 58/2016). Nel caso di specie la procura invocata è stata rilasciata in data 21 marzo 2016 ai fini della riassunzione in appello e la sentenza della Corte d’Appello è del 23 novembre 2016.
Il Collegio, peraltro, rileva che il motivo sarebbe stato inammissibile.
A norma dell’art. 366 c.p.c., n. 4, il ricorrente è onerato dell’indicazione dei motivi per i quali chiede la cassazione della sentenza, indicando precipuamente le norme di diritto sui cui si fondano. La disposizione merita di essere letta congiuntamente con la previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, a mente del quale l’ammissibilità del ricorso è condizionata dalla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali esso si fonda.
Nel ricorso in esame manca ogni menzione degli atti intorno ai quali la censura è articolata, della fase processuale di riferimento e del fascicolo in cui gli stessi si rinvengono. Ne deriva l’assenza dell’insieme degli elementi necessari a costituire la ragione della cassazione della sentenza di merito. Il ricorso è inammissibile anche sotto diverso profilo, difettando, invero, di chiarezza e di sinteticità espositiva, di guisa che le doglianze sollevate risultano di ostica intelligibilità, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 (Cass., sent. 21297/2016; Cass., sent. 19048/2016; Cass., sent. 9888/2016; Cass., sent. 14784/2015).
6.1. Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dalla disposizione di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4 (applicabile nella specie ratione temporis, dal momento che la sentenza impugnata è stata pronunziata in data successiva al 2 marzo 2006 ed il giudizio di primo grado ha avuto inizio in data anteriore al 4 luglio 2009: cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15030 del 17/07/2015, Rv. 636051 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2684 del 10/02/2016, Rv. 638868 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925 – 01).
Il ricorso è stato infatti giudicato inammissibile, e dunque l’impugnazione risulta proposta da parte ricorrente con colpa grave, dovendosi certamente ritenere in una siffatta ipotesi percepibile dal legale abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori (professionista del cui operato la parte risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c.: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925 – 01), sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente professionale che fornisce, l’avanzare una impugnazione di legittimità in violazione dell’art. 345 c.p.c..
La Corte stima, peraltro, equo contenere tale condanna nella misura di Euro 4.200,00 in favore della parte controricorrente.
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
8. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge, condanna altresì la società ricorrente al pagamento di Euro 4.200, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019
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