Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.16059 del 14/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12009-2015 proposto da:

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO NUZZACI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIO PANGRAZZI, MAURA SIANESI;

– ricorrente –

contro

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VENTI SETTEMBRE 98/G, presso lo studio dell’avvocato GUIDO GUIDI BUFFARINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE BULGARINI D’ELCI;

OLD AND MODERN MASTERS LTD, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO, 80, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO RICCIARDI, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLO MASSIMO PECORA, TOMMASO BUFANO;

– controricorrenti –

W.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RODI 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA BONITO;

– ricorrentee c/ricorrente incidentale –

e contro

OPEN CARE SPA, CURIA VESCOVILE DI ASSISI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4044/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per la parziale inammissibilità o comunque rigetto del ricorso principale ed incidentale;

udito l’Avvocato PANGRAZZI Mario difensore del ricorrente che si riporta agli atti e chiede l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati GUIDI BUFFARINI Guido, con delega orale e BUFANO Tommaso, difensori dei rispettivi resistenti che si riportano agli atti depositati.

FATTI DI CAUSA

1. Oggetto del ricorso per cassazione è la sentenza della Corte d’appello di Milano, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 13 novembre 2014, che ha rigettato l’appello principale proposto dall’avv. F.V. e gli appelli incidentali proposti da W.M., da Old and Modern Master Ltd e da Open Care s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 13406 del 2013, e nei confronti di C.P. e della Curia Vescovile di Assisi.

1.1. Preceduto dal procedimento penale che si era concluso con l’assoluzione di F.V. e di W.M. dall’imputazione di ricettazione, il giudizio civile per l’accertamento della proprietà dei dipinti era stato introdotto nel 2010 dall’avv. F., il quale aveva convenuto in giudizio W.M., C.P., Old and Masters Ltd e la Curia Vescovile di Assisi perchè fosse accertato che alla data del 12 settembre 2006 il sig. W. era legittimo proprietario dei dipinti “*****” attribuito a S.B., e “*****” attribuito a Su.Ju., e che, pertanto, legittimamente in quella stessa data il F., incaricato da W.M., aveva conferito mandato a vendere entrambi i dipinti alla società Open Care spa.

1.2. Costituitosi in giudizio W.M. propose domanda di accertamento della proprietà dei dipinti per intervenuta usucapione – allegando che gli stessi erano stati acquistati in Italia negli anni ‘50 da suo padre W.W., deceduto nel ***** – e della conseguente validità della vendita del dipinto S. alla Old and Modern Masters Ltd, nonchè del suo diritto alla restituzione del dipinto Su. dalla Curia Vescovile di Assisi.

1.3. La convenuta C.P. eccepì il difetto di legittimazione dell’avv. F., concluse per il rigetto della domanda di usucapione e, in via riconvenzionale, propose domanda di restituzione del dipinto S., sottratto alla sua famiglia durante la seconda guerra mondiale.

1.4. La Curia vescovile di Assisi eccepì il difetto di legittimazione dell’avv. F. e concluse per il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti.

1.5. La società di diritto inglese Old and Modern Master Ltd propose domanda di accertamento della validità dell’acquisto del dipinto S. e di restituzione dello stesso, instando in via subordinata, previa chiamata in causa di Open Care spa, per la condanna di quest’ultima eventualmente in solido con l’avv. F. alla restituzione dell’importo corrispondente al prezzo del dipinto.

1.6. Costituitasi la terza chiamata Open Care spa formulò domanda di accertamento della validità dell’acquisto del dipinto S., e richiese, in via subordinata, di essere tenuta indenne dalla pretesa della chiamante, con la condanna dell’avv. F. e/o di W.M. anche ai sensi degli artt. 2033 e 2041 c.c.

1.7. Il Tribunale rigettò le domande dell’avv. F. e di W.M.; accertò che i dipinti appartenevano alla sig.ra C. e alla Curia vescovile di Assisi, essendo stati sottratti nel periodo bellico ai legittimi proprietari identificati nella famiglia Loeser- C., che conservava il dipinto S. nella *****, e nella famiglia Pe., che conservava il dipinto Su. nella *****. C.P. era unica erede dei L.- C. e la Curia Vescovile era stata istituita erede di tutti i beni della famiglia Pe., con il testamento della vedova Pe. deceduta nel *****. Il Tribunale condannò quindi Open Care spa a restituire a Old and Modern Master Ltd l’importo di Euro 472.500, e l’avv. F. a tenere indenne Open Care fino alla concorrenza di Euro 436.500, oltre interessi legali.

2. La decisione è stata confermata in appello.

2.1. Ribadito che l’applicazione della normativa austriaca sull’usucapione era stata richiesta senza la tempestiva allegazione degli elementi di fatto necessari ad individuare i criteri di collegamento, la Corte territoriale ha escluso il possesso di buona fede in capo a W.W., genitore e dante causa di W.M., con conseguente rigetto della domanda di accertamento dell’acquisto della proprietà dei dipinti per usucapione ai sensi dell’art. 1161 c.c., comma 1, ed ha escluso altresì che l’acquisto si fosse perfezionato ai sensi dell’art. 1161 c.c., comma 2, in quanto il possesso non era stato esercitato pubblicamente. I dipinti erano stati esposti per molti anni nella scala del palazzo situato a *****, adibito a residenza della famiglia W., il cui atrio fungeva anche da reception dell’azienda farmaceutica Etapharm di proprietà della famiglia, ma tale modalità di esposizione non era sufficiente ad integrare la pubblicità del possesso.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’avv. F.V., sulla base di tre motivi. Resistono con separati atti di controricorso Old and Modern Masters Ltd, C.P. e W.M., il quale propone ricorso incidentale affidato a quattro motivi, a sua volta resistito da C.P. con controricorso. Non hanno svolto difese in questa sede la Curia Vescovile di Assisi e la società Open Care spa.

In prossimità dell’udienza F.V., C.P. e Old and Modern Masters Ltd hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale e quello incidentale, per larga parte sovrapponibili, sono entrambi infondati.

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1147,2727 e 2728 c.c., art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, e si contesta la ritenuta mancanza di buona fede di W.W. al momento dell’acquisto dei dipinti.

La presunzione di buona fede in capo all’acquirente non poteva dirsi superata dal mero sospetto della conoscenza o conoscibilità, al momento dell’acquisto, della lesione dell’altrui diritto. Nella specie la Corte d’appello avrebbe dato per scontato che negli anni ‘50 fosse notorio che vi erano stati spossessamenti di opere d’arte in Italia, senza tenere conto che W.W., ufficiale dell’esercito tedesco che dopo la sconfitta dell'*****, nel *****, aveva trovato riparo in *****, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, non aveva partecipato alle razzie di opere d’arte e non vi era prova che fosse a conoscenza di quanto accaduto in Italia. Inoltre, la certezza che il dipinto S. appartenesse alla Collezione L.- C., e che fosse stato “preso in prestito” dalle truppe naziste nell’aprile del 1944 presso *****, risaliva al 1995, anno di pubblicazione de *****. Repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all’epoca della seconda guerra mondiale, ma a quel tempo sia il sig. W. sia la moglie, unica erede, erano deceduti. In ogni caso, l’impossibilità di ricostruire le modalità di acquisto dei dipinti a oltre 70 anni di distanza non giustificava la ritenuta colpa grave in capo all’acquirente, tanto più a fronte di mancanza di prove da parte dei soggetti che reclamavano la titolarità dei dipinti.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1161,1163,2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti. La Corte d’appello sarebbe caduta in contraddizione per avere affermato, per un verso, che era impossibile ricostruire modalità e canali dell’acquisto, e, per altro verso, che l’acquisto sarebbe avvenuto in modo violento o clandestino, ed avrebbe ampliato erroneamente la nozione di clandestinità del possesso fino a ritenere che per aversi possesso pubblico i dipinti avrebbero dovuto essere esposti in mostre, ovvero inseriti in pubblicazioni di settore. Si tratterebbe di interpretazione contrastante con la volontà del legislatore – quale si esprime nella ratio dell’istituto dell’usucapione, di dare certezza alle situazioni giuridiche anche al fine di non ostacolare la circolazione dei beni -, e in definitiva, incompatibile con l’art. 42 Cost., comma 2. Ancora, la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che era stato provato a mezzo dei testi escussi nel procedimento penale, che i dipinti erano sempre stati visibili ad una pluralità indeterminata di persone, e cioè a tutti coloro i quali potevano avere rapporti con l’azienda farmaceutica e non solo, tenuto conto dell’utilizzo del salone della reception aziendale per feste anche dei dipendenti dell’azienda, che vedevano la partecipazione di persone non selezionate dalla famiglia W.. Sul punto, peraltro, il ricorrente lamenta la mancata ammissione delle prove testimoniali richieste dal sig. W..

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 14, 51 e 53, art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di fatti decisivi che risultavano pacifici tra le parti. L’art. 14 citato prevede che il giudice di accerti d’ufficio la legge straniera applicabile a fronte dell’esistenza di elementi o fatti che impongano tale applicazione, sicchè era erronea l’affermazione della Corte d’appello che aveva ritenuto, confermando sul punto la sentenza di primo grado, che le parti non avessero tempestivamente assolto l’onere di allegazione degli elementi fattuali per individuare i criteri di collegamento della fattispecie alla legge austriaca in materia di acquisto ed usucapione di beni mobili. In ogni caso, era incontestato fin dall’introduzione del giudizio che i dipinti fossero rimasti a ***** dagli anni ‘50 al 2006, e ciò era sufficiente per imporre l’applicazione della legge austriaca, posto che la L. n. 218 del 1995, art. 53 stabilisce che l’usucapione dei beni mobili è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto. La legge applicabile era quella austriaca, a mente della quale l’usucapione dei beni mobili si perfeziona con il possesso continuato per 3 anni ovvero per 6 anni, e comunque non oltre 30 anni nel caso di assenza del proprietario, e che lo stato soggettivo del possessore precedente non è di ostacolo all’acquisto per usucapione da parte del successore o erede di buona fede dal giorno dell’inizio del suo possesso, con la conseguenza che l’acquisto della proprietà dei dipinti si sarebbe perfezionato autonomamente in capo alla moglie di W.W., erede universale dopo il decesso del predetto, avvenuto nel *****, e quindi in capo al figlio W.M., erede universale della madre, deceduta nel *****.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1147,2727 e 2728 c.c., art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, e si contesta la ritenuta mancanza di buona fede di W.W. al momento dell’acquisto dei dipinti. Nel motivo, che coincide con il primo motivo del ricorso principale, si segnala che all’epoca dell’acquisto dei dipinti W.W. non era il collezionista, esperto d’arte che sarebbe diventato nel corso degli anni, e che pertanto non era in grado di apprezzare il pregio dei dipinti, nel mentre la circostanza che si erano verificati sequestri e sottrazioni di opere d’arte nel periodo finale del conflitto mondiale è nota solo oggi, dopo anni di ricostruzioni e indagini storiche, e certamente non lo era nell’immediato dopoguerra, anche in ragione dei tentativi di insabbiamento dei crimini compiuti dall’esercito tedesco.

5. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1161,1163,2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e si contesta che W.W. avesse acquisito ed esercitato il possesso dei dipinti in modo clandestino o violento, come affermato dalla Corte d’appello. Il motivo coincide con il secondo motivo del ricorso principale.

6. Con il terzo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 14, 51 e 53, art. 115 c.p.c. e si muovono le medesime censure contenute nel terzo motivo del ricorso principale.

7. Con il quarto motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e omesso esame delle contestazioni relative alla proprietà del dipinto attribuito a Su.. Il ricorrente incidentale lamenta che i giudici di merito avrebbero omesso qualsiasi motivazione sul punto, limitandosi ad affermare apoditticamente che il dipinto appartiene alla Curia vescovile di Assisi, a fronte peraltro della carenza di domanda da parte della stessa Curia, che si era limitata a chiedere il rigetto della domanda proposta dall’avv. F., sicchè la pronuncia sarebbe viziata da ultrapetizione.

8. Per ragioni di priorità logico-giuridica, deve essere esaminata innanzitutto la questione della legge applicabile, prospettata in entrambi i ricorsi con il terzo motivo. I ricorrenti assumono che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, i fatti rilevanti ai fini della individuazione dei criteri di collegamento con la legge austriaca sarebbero stati allegati sin dal primo grado e, comunque, non erano contestati.

8.1. La doglianza è inammissibile per difetto di decisività.

8.1.1. Premesso che la puntuale individuazione della legge applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio sfugge alle preclusioni, trattandosi di attività doverosa del giudice in attuazione del principio iura novit curia, codificato all’art. 113 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 29/12/2016, n. 27365; Cass. 05/06/2009, n. 14777; Cass. 20/07/2007, n. 16089), nel caso in esame il criterio di collegamento invocato dai ricorrenti è quello dettato dalla L. n. 218 del 1995, art. 53 a mente del quale l’usucapione di beni mobili è regolata dalla legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine di prescrizione.

Tuttavia, anche applicando le disposizioni in tema di usucapione di beni mobili previste dalla legge austriaca, il risultato non sarebbe quello auspicato dai ricorrenti, donde la non decisività dell’errore in cui è incorsa la Corte d’appello.

L’A.B.G.B. (p. 1460 e seguenti) prevede l’usucapione triennale (o in sei anni) dei beni mobili a fronte di possesso legittimo – intendendosi per tale il possesso fondato su un titolo astrattamente idoneo a trasferire il bene – e di buona fede. Entrambi i requisiti mancano nella specie, poichè il titolo non esiste e i giudici di merito hanno escluso la buona fede in capo a W.W., e l’assenza di buona fede impedisce l’usucapione anche nel termine trentennale (p. 1476), che consente l’acquisto anche in assenza di titolo.

8.1.2. Va escluso infine anche che la proprietà dei dipinti sia stata acquistata per usucapione dagli eredi di W.W..

La legge austriaca (p. 1463 e p. 1493) prevede che il successivo avente causa o erede può unire ai fini dell’usucapione il proprio possesso a quello del dante causa solo in caso che questi abbia posseduto in buona fede – pur in assenza di titolo – altrimenti conta solo il tempo del possesso del successore in buona fede.

La suddetta regola comporta che W.M., asseritamente possessore in buona fede, avrebbe usucapito solo se il suo possesso si fosse protratto per trent’anni, direttamente o unendo al proprio quello della madre, ma ciò non è avvenuto. Il possesso esercitato da W.M. – dal 1995 al 2006 – unito a quello esercitato dalla madre – dal 1981 al 1995 – non raggiunge il trentennio.

9. Il primo motivo del ricorso principale e l’omologo del ricorso incidentale sono infondati nella parte in cui denunciano violazione di legge, inammissibili nella parte in cui denunciano vizio di motivazione.

9.1. La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in tema di possesso e, in particolare, di presunzione della buona fede ex art. 1147 c.c.

La norma indicata, nel dichiarare possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto, ha impresso al concetto di buona fede una nozione di carattere psicologico, che prescinde da ogni elemento oggettivo e richiede soltanto nel possessore il ragionevole convincimento di poter esercitare sulla cosa il diritto di proprietà o altro diritto reale, il che vuol dire che l’errore di valutazione in cui lo stesso possessore è incorso non sia stato determinato da colpa grave. Si tratta di presunzione iuris tantum che non è vinta dall’allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima, essendo invece necessario che l’esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, anche di carattere presuntivo (ex plurimis, 21387 del 18/09/2013; Cass. 16/12/2009, n. 26400; Cass. 22/05/2000, n. 6648).

La sentenza impugnata dà conto degli elementi dai quali ha tratto il convincimento che W.W. non fosse in buona fede evidenziando, in particolare, che l’epoca dell’asserito acquisto dei dipinti – gli anni ‘50, quando era in circolazione, anche in Europa, un numero considerevole di opere d’arte sottratte ai legittimi proprietari in particolare nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale – e l’assenza di qualsiasi indicazione in ordine alle circostanze in cui sarebbe avvenuto l’acquisto – tassello mancante nella ricostruzione dell’intera vicenda – facevano escludere la buona fede dell’acquirente quanto meno per non essersi curato di accertare la provenienza dei due dipinti antichi, uno dei quali tra l’altro di notevole e riconoscibile pregio.

Tale conclusione, frutto di apprezzamento del giudice del merito circa il ricorso a presunzioni e circa l’idoneità delle stesse a dimostrare i fatti rilevanti ai fini della decisione della lite, non è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge (ex plurimis, Cass. 31/10/2011, n. 22656; Cass. 01/08/2007, n. 16993), risolvendosi le obiezioni dei ricorrenti nella prospettazione di una diversa valutazione, fondata su elementi diversi ma non tali da dimostrare che quella fatta propria dai giudici di merito sia parziale o contraddittoria.

Una volta esclusa, con argomentazione plausibile, la buona fede di W.W., correttamente i giudici di merito hanno rilevato che il possesso proseguito tal quale negli eredi ha impedito l’usucapione in capo a W.M., succeduto alla madre nel *****.

Il vizio di motivazione, dedotto come omesso esame di fatti decisivi, è inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (ex plurimis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053).

10. Il secondo motivo del ricorso principale e l’omologo del ricorso incidentale sono parimenti infondati.

10.1. La Corte d’appello ha ritenuto che il possesso dei dipinti fosse stato esercitato in modo clandestino, sul rilievo che il luogo di esposizione, quale risultava dalle testimonianze, non fosse sufficiente a garantire a chiunque, fuori dalla cerchia familiare e sociale del possessore, di prenderne atto per eventualmente contestarlo.

Anche in questo caso si tratta di valutazione conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice.

Ai fini dell’usucapione, il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest’ultimo (cfr. Cass. 23/07/2013, n. 17881; Cass. 17/07/1998, n. 6997).

La peculiarità della fattispecie risiede nel fatto che il luogo in cui erano collocati i dipinti non era soltanto la residenza privata della famiglia W., in quanto l’immobile era parzialmente adibito a recezione dell’azienda farmaceutica, ciò che indubbiamente allargava la cerchia dei potenziali frequentatori, ancor più se si ammette che il luogo in oggetto fosse utilizzato per feste e manifestazioni, come allegato dai ricorrenti (i quali si dolgono della mancata ammissione delle prove sul punto). E tuttavia, rimane vero che tale modalità di esercizio del possesso non era sufficiente a garantire, nella prospettiva della ratio dell’art. 1163 c.c., che “chiunque” potesse acquisire conoscenza che i dipinti erano nel possesso di W. ed eventualmente contestare tale possesso, nè pare seriamente dubitabile che in ambito di opere d’arte solo l’esposizione a mostre, ovvero l’inserimento in pubblicazioni specializzate, consenta la conoscibilità delle stesse.

10.2. Risulta di conseguenza manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’interpretazione suddetta con l’art. 42 Cost., comma 2, mentre semmai è l’istituto dell’usucapione in generale, e la sua compatibilità con i parametri sovranazionali che tutelano il diritto fondamentale di proprietà, ad essere da diversi anni al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale (cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Sentenza 30.8.2007, J.A. Pye (Oxford) Ltd & J.A. Pye (Oxford) Land Ltd v. United Kingdom).

11. Il quarto motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

11.1. La violazione dell’art. 112 c.p.c. è prospettata sul rilievo che l’accertamento della proprietà in capo alla Curia Vescovile di Assisi del dipinto Su. sarebbe frutto di ultrapetizione, perchè la Curia non avrebbe proposto domanda sul punto, limitandosi a chiedere il rigetto della domanda dell’avv. F..

Il ricorso non riporta il contenuto della comparsa di risposta della Curia Vescovile (non essendo sufficiente il riferimento alle conclusioni, trascritto a pag. 10 del ricorso incidentale), e pertanto non supera il vaglio di ammissibilità che impone alla parte, anche nel caso di denuncia di error in procedendo, di precisare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione (ex plurimis, Cass. 13/05/2016, n. 9888).

11.2. Risulta inammissibile anche la denuncia di omesso esame delle contestazioni relative alla proprietà del dipinto Su..

Previa specificazione della censura degli appellanti, la Corte d’appello ha richiamato l’accertamento in fatto contenuto nella sentenza di primo grado, secondo cui il dipinto, già presente all’interno di ***** di proprietà del cittadino americano Pe., era stato oggetto di rapina ad opera dei militari delle SS nel luglio 1944, quando la Villa ed il suo contenuto erano sotto sequestro in forza del provvedimento del Prefetto di Firenze del 23 dicembre 1942 perchè “beni di nemici”. All’atto della restituzione, avvenuta a mani del proprietario il 31 luglio 1948, il dipinto era indicato come mancante. Era dunque smentita la tesi degli appellanti dell’avvenuta restituzione del dipinto al proprietario.

La Corte d’appello ha fatto proprio, condividendolo, il percorso argomentativo del primo giudice, e pertanto si è in presenza di “doppia conforme” che, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, non consente la denuncia del vizio di motivazione.

12. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna ciascuno dei ricorrenti a rifondere le spese del giudizio di cassazione ai controricorrenti C.P. e Old and Modern Masters Ltd, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per ciascun controricorrente, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2019

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