Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17060 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24784/2017 proposto da:

B.F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO QUATTROCIOCCHI BRANCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE FARRAUTO;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona dei suoi procuratori speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati BONAVENTURA MINUTOLO, PAOLO ZUCCHINALI;

– controricorrente –

e contro

M.G., CUNEO STORICA SRL, C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 675/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 04/04/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

FATTI DI CAUSA

B.F.P., tramite il procuratore generale M.G., evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cuneo, C.A. ed Allianz SPA (precedentemente RAS SPA), per ottenerne la condanna solidale alla restituzione di Euro 404.300,00, corrispondenti agli importi versati per l’acquisto di un consistente numero di polizze vita, al risarcimento dei danni alla persona (danno biologico permanentte nella misura del 30% e danno alla vita di relazione) nonchè al danno derivante da responsabilità precontrattuale e da violazione della regola di buona fede.

Assumeva di avere acquistato, nel periodo compreso tra il 7 febbraio 2006 e il 10 dicembre 2008, da C.A., che si presentava come agente di Allianz SPA, 36 polizze vita a premio unico a sè intestate e di averne pagato i relativi importi, come risultante dal riepilogo richiesto all’agenzia Ras nel dicembre 2008.

Nel 2009, a seguito dell’arresto per truffa di C.A. per episodi relativi al denaro incassato per conto di Ras e dopo aver appreso che non risultava titolare di alcuna delle polizze acquistate, intimava con lettera raccomandata ad C.A. la restituzione di Euro 404.300,00, dava mandato alla società GI Credit per il recupero di tale somma e conferiva, nel marzo 2011, tramite atto notarile, procura generale a M.G. affinchè agisse nei confronti di Allianz SPA per il recupero di quanto affidato al suo preposto.

C.A. restava contumace.

Allianz SPA eccepiva la nullità dell’atto di citazione perchè rivolto ad Allianz Bank Financial Advisor SPA e il difetto di procura in capo a M.G., deduceva che i rapporti tra C.A. e B.F.P. erano iniziati già nel 2000 e che i trasferimenti di denaro dall’uno all’altro erano collegati ad un rapporto fiduciario e personale, cui era estranea, chiedeva ed otteneva di chiamare in causa, per essere da essa manlevata, Cuneo Storica SRL.

Quest’ultima eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, il difetto del potere di agire in giudizio di M.G., la nullità dell’atto di citazione, l’infondatezza delle richieste di Allianz SPA nei suoi confronti.

Il Tribunale di Cuneo, ritenuto legittimato ad agire M.G. solo nei confronti di Allianz SPA e solo per il recupero delle somme versate per le polizze assicurative, considerava Allianz SPA responsabile per la condotta tenuta da C.A., suo agente, e la condannava a restituire a B.F.P. Euro 404.300,00, oltre agli interessi dalla messa in mora al saldo, nonchè la somma di Euro 20.000,00 a titolo di responsabilità precontrattuale.

C.A. veniva condannato a manlevare Allianz SPA.

Veniva rigettata la domanda di manleva nei confronti di Cuneo Storica SRL.

La sentenza era impugnata da Allianz SPA, la quale deduceva la mancanza di prova dell’effettivo versamento da parte di B.F.P. a favore di C.A. della somma di Euro 404.300,00, l’assenza dei presupposti per applicare nei suoi confronti l’art. 2049 c.c., l’inopponibilità a sè delle dichiarazioni rilasciate da C.A. circa l’avvenuto ricevimento dei pagamenti da parte di B.F.P., l’insussistenza dei presupposti per ritenerla responsabile a titolo precontrattuale; in subordine, riproponeva la domanda di manleva nei confronti di Cuneo Storica SRL.

M.G. eccepiva l’inammissibilità dell’appello ex artt. 342 e 348 bis c.p.c. e l’infondatezza del gravame.

Cuneo Storica SRL ribadiva il proprio difetto di legittimazione passiva e l’infondatezza delle richieste di Allianz nei suoi confronti.

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 675/2017, pubblicata il 22/03/2017, accoglieva l’appello di Allianz e, in parziale riforma della decisione di prime cure, rigettava la domanda di M.G. nei confronti di Allianz, dichiarava assorbita la domanda di manleva di Allianz nei confronti di Cuneo Storica SRL, condannava l’appellato alla rifusione delle spese processuali nei confronti di Allianz e di Cuneo Storica SRL per entrambi i gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione, formulando sei motivi, corredati di memoria, B.F.P..

Resistono con autonomo controricorso Cuneo Storica SRL e Allianz SPA. Quest’ultima si è avvalsa della facoltà di depositare memoria in vista dell’odierna Camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,1888,2735 c.c. e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 118, imputando al giudice a quo di avere ritenuto non provato il pagamento delle somme reclamate, senza considerare che per dimostrare l’esistenza del contratto di assicurazione avrebbe dovuto considerare sufficiente la produzione in giudizio degli originali delle polizze e che per provare il pagamento del premio bastano le polizze assicurative debitamente quietanzate.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., in relazione all’art. 214 c.p.c. e art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, art. 216 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Non avendo Allianz, una volta depositate le 36 polizze quietanzate in originale, formulato l’eccezione di disconoscimento ex art. 214 c.p.c., le polizze avrebbero dovuto esserle opponibili, in quanto avente causa di C.A. e avrebbero dovuto far piena prova nei suoi confronti ex art. 2702 c.c..

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente imputa alla Corte d’Appello la violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., in relazione all’art. 12 preleggi, per avere ritenuto mancante l’occasionalità necessaria richiesta a tal fine, facendo leva sulla prova della ricorrenza di un diverso rapporto di finanziamento con C.A., quale risultante dal doc. n. 6 intitolato riconoscimento di debito: una scrittura privata prodotta in giudizio da Cuneo Storica SRL con cui C.A. si riconosceva debitore nei confronti dell’odierno ricorrente della somma di Euro 821.000,00, per averla ricevuta in mutuo in più soluzioni.

La Corte territoriale, a prescindere dalla esistenza di altri rapporti con C.A., avrebbe dovuto tener conto che egli si qualificava come agente di Allianz e che come tale lo aveva indotto a sottoscrivere le 36 polizze vita a titolo d’investimento, utilizzando i moduli di contratto Allianz ed apponendo in calce il timbro dell’agenzia di Cuneo.

4.Con il quarto motivo il ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. in relazione all’art. 1393 c.c., per non avere il giudice a quo fatto applicazione nè del principio dell’apparenza del diritto nè di quello dell’affidamento incolpevole.

Secondo la giurisprudenza, infatti, la responsabilità ex art. 2049 c.c., è stata riconosciuta in ipotesi di occasionalità necessaria tra condotta lesiva ed attività del preponente, emergente dal solo fatto dell’inserimento dell’agente nella struttura organizzativa del preponente a prescindere da ogni elemento soggettivo in capo all’investitore ed anche, quando quel rapporto di occasionalità necessaria sia solo apparente – cioè se non corrisponda al concreto ed effettivo ambito dei poteri dell’agente – in forza dell’ulteriore duplice condizione della ricorrenza della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerare l’affidamento nel terzo investitore/cliente.

Ad avviso del ricorrente, la sua buone fede e la ricorrenza dei presupposti per il suo affidamento incolpevole sarebbero dimostrati: a) dal doc. n. 104, da cui emergerebbe che Allianz non aveva dato seguito alla sua richiesta restitutoria, data l’assenza di prova dell’avvenuto pagamento, ma senza disconoscere l’attività svolta nel suo interesse da C.A.; b) dal doc. n. 106 comprovante l’iscrizione di C.A. all’IVASS; c) dal doc. n. 5 della Cuneo Storica SRL, relativo alla comunicazione alla sua clientela da parte di Allianz, datata 12/03/1999, che C.A. non era più suo agente; d) dal fatto che C.A. fosse socio e legale rappresentante della C. e Viscusi SRL, poi Cuneo Storica SRL, agente generale per la provincia di Cuneo di Ras, prima, e, in seguito, di Allianz; e) dal fatto che C.A. ricevesse i clienti presso l’ufficio di ***** o quelli di *****, che utilizzasse i moduli Allianz, che vi apponesse i timbri di Allianz e che fosse noto come agente Allianz nel distretto ambientale coinvolto.

Indipendentemente dalla conoscenza personale, la condotta lesiva di C.A., a suo avviso, era stata resa possibile e agevolata proprio dal suo stabile inserimento nella struttura organizzativa della Allianz e nella consolidata apparenza ingenerata in tutta la potenziale clientela di agire quale suo preposto.

5. Con il motivo numero cinque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., in relazione all’art. 1227 c.c..

La Corte territoriale aveva escluso la responsabilità di Allianz ex art. 2049 c.c. anche perchè, dati i risalenti rapporti di conoscenza personale, l’attuale ricorrente avrebbe dovuto accorgersi del comportamento anomalo di C.A. e non avrebbe dovuto adottare un comportamento acquiescente.

Il giudice avrebbe, però, violato l’art. 1227 c.c., perchè se avesse inteso ritenere il suo comportamento rilevante ai sensi del comma 1, avrebbe dovuto ridurre il risarcimento del danno, ma non escluderlo completamente; se avesse voluto applicare il comma 2 avrebbe dovuto chiarire in che termini egli non aveva fatto uso dell’ordinaria diligenza. Adduce, a tale ultimo proposito, di aver tenuto un comportamento tutt’altro che acquiescente perchè si era rivolto ad Allianz, nel 2008, per ottenere il riepilogo delle polizze stipulate, di avere prontamente chiesto ad C.A. di riconoscere il debito con impegno alla restituzione di tutte le somme riconosciute, non appena appreso del suo coinvolgimento in alcuni episodi di truffa ai danni di taluni clienti di Allianz.

6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c..

Il ricorrente lamenta di essere stato condannato a rifondere le spese processuali anche nei confronti di Cuneo Storica SRL che egli non aveva chiamato in causa e nei cui confronti non aveva formulato alcuna domanda.

7. I motivi numero uno e numero due possono esaminarsi congiuntamente. Entrambi riguardano la prova dell’avvenuto affidamento delle somme reclamate ad C.A. al fine di imputarle al pagamento delle polizze vita.

Va chiarito che il cliente, al fine di ottenere la condanna della società preponente per il fatto illecito posto in essere dal preposto, consistito nell’appropriazione di somme consegnategli dal primo a seguito della sottoscrizione di un contratto di investimento, è tenuto a dimostrare di avere effettivamente affidato il proprio denaro per l’effettuazione di attività rientranti apparentemente, secondo un criterio di normale affidamento in buona fede, nel campo di operatività del rapporto tra preponente e preposto (Cass. 25/01/2011, n. 1741; Cass. 24/03/2011, n. 6829).

La responsabilità della compagnia di assicurazioni è astrattamente inquadrabile quale responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c., cioè quale ipotesi di responsabilità indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Cass. 22/06/2007, n. 14578).

Per la sua configurabilità è necessario e sufficiente provare il rapporto di occasionalità necessaria tra la condotta antigiuridica posta in essere dall’agente e le incombenze che gli erano state affidate dal preponente; non è richiesta la prova di un vero e proprio un nesso di causalità fra l’incarico conferito dalla società e il danno subito dal terzo, ma che le mansioni affidate dal proponente abbiano determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso. Non interrompe, infatti, il nesso causale il fatto che l’agente abbia, con il proprio comportamento, favorito la produzione dell’evento dannoso, operando al di là dei limiti delle sue incombenze e perfino trasgredendo gli ordini ricevuti e/o con dolo (Cass. 06/04/2002, n. 4951); nè assume rilievo la natura dei mezzi di pagamento adoperati (Cass. 07/04/2006, n. 8229).

Con specifico riferimento al contratto di agenzia, l’attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere i premi, secondo la previsione dell’art. 1744 c.c., presuppone un potere rappresentativo o, comunque, un’indicazione al creditore della persona autorizzata a ricevere il pagamento a norma dell’art. 1188 c.c., che instaura quel rapporto di commissione idoneo, a norma del suddetto art. 2049 c.c., a far sorgere la responsabilità del soggetto che ha conferito l’incarico per il fatto illecito compiuto dall’incaricato nell’esercizio dell’incombenza affidatagli (Cass. 24/01/2007, n. 1516).

Oltre che in applicazione diretta della responsabilità ex art. 2049 c.c., la compagnia di assicurazioni può essere considerata responsabile, in via alternativa, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, quando con il proprio comportamento colposo abbia ingenerato nei cliente il legittimo affidamento che il preposto agisse nell’ambito delle incombenze affidategli, purchè sussista la buona fede incolpevole del terzo danneggiato e l’atteggiamento colposo del preponente, desumibile dalla mancata adozione delle misure ragionevolmente idonee, in rapporto alla peculiarità del caso, a prevenire le condotte devianti del preposto.

La condotta del terzo/investitore interrompe il nesso causale, non inserendosi nella situazione di potenzialità dannosa determinata dal contegno dell’agente, ma appartenendo ad una serie eziologica diversa e determinante dell’evento, solo allorchè gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare condotta del preposto: acquiescenza desunta dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, dal valore complessivo delle operazioni, dall’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socioeconomiche (Cass. 22/11/2018, n. 30161; Cass. 14/12/2018, n. 32514).

Nel caso di specie, ha assunto carattere assorbente, al fine di mandare esente da responsabilità la società preponente, la ritenuta carenza di prova circa l’effettivo affidamento da parte del ricorrente delle somme reclamate ad C.A. per la stipulazione delle polizze assicurative.

A supporto della domanda il ricorrente aveva prodotto le 36 polizze quietanziate da C.A., altre trenta dichiarazioni sottoscritte dall’agente su fogli bianchi, cioè non intestati ad Allianz SPA, sprovviste di data, volte a ribadire l’avvenuta consegna delle somme asseritamente oggetto di appropriazione da parte di C.A., alcune contabili bancarie, da cui avrebbe dovuto evincersi che il ricorrente prelevava dal proprio conto corrente le somme che poi avrebbe versato per la sottoscrizione delle polizze, alcuni assegno. bancari utilizzati al medesimo fine.

La Corte d’Appello aveva ritenuto inidonee tali prove, perchè: a) le contabili bancarie non erano sufficienti a dimostrare che i prelievi fossero finalizzati ai versamenti ad C.A., non essendovi coincidenza tra le somme prelevate e quelle immediatamente dopo versate; b) gli assegni bancari asseritamente utilizzati in alternativa al denaro contante per sottoscrivere le polizze o non risultavano riscossi da C.A. o erano di importo diverso da quelli delle polizze; c) tra il ricorrente ed C.A. era provato ricorressero almeno dal 2000 (le polizze oggetto di controversia risultavano stipulate tra il 2006 ed il 2008) altri rapporti – in particolare un contratto di mutuo a favore di C.A. per la somma di Euro 821.000,00 ricevuta in più soluzioni – atti a giustificare gli spostamenti di denaro; d) i passaggi di denaro tra il ricorrente ed C.A. erano iniziati ben prima del 2006 ed avevano consistenza assai maggiore di quella reclamata; e) le quietanze rilasciate da C.A. non erano idonee a far piena prova della veridicità del loro contenuto nella parte in cui si affermava che le somme venivano ricevute proprio per l’acquisto delle diverse polizze.

Ad avviso di questa Corte, la sentenza gravata non è incorsa negli errori imputatele dal ricorrente.

Assume carattere dirimente l’efficacia probatoria da attribuirsi alle quietanze di pagamento emesse da C.A. nei confronti del ricorrente, sia su moduli intestati ad Allianz in calce ad ogni singola polizza sia su moduli in bianco, senza data, mediante sottoscrizione autografa.

La quietanza fa piena prova dell’avvenuta ricezione, da parte dell’accipens, di un determinato pagamento e per consolidato orientamento giurisprudenziale, peraltro richiamato dal ricorrente (p. 9 del ricorso), essa costituisce “fra le parti” (cioè tra autore e destinatario della dichiarazione di scienza), confessione stragiudiziale che esonera il debitore dal relativo onere probatorio.

E’ pacifico, dunque, che la piena prova riguardi solo i rapporti tra il solvens e l’accipiens (Cass. 14/12/2018, n. 32514) e che, invece, nei confronti della società preponente le quietanze abbiano una valenza meramente indiziaria (Cass. 27/10/ 2016, n. 21737); sicchè ne è ammessa la prova contraria (Cass. 27/06/2016, n. 13212).

L’onere della prova, che grava sul cliente, dell’illecita appropriazione da parte del promotore finanziario del denaro consegnatogli ai fini dell’investimento, varia nella prospettiva della responsabilità del preposto e del preponente. Nei confronti di quest’ultimo non può infatti ritenersi rilevante nè una condotta processuale esplicitamente ammissiva da parte del preposto nè un comportamento qualificabile come ficta confessio (cfr. Cass. 27/10/2016, n. 21737; Cass. n. 27/06/2016, n. 13212).

Anche dal D.Lgs. n. 509 del 2005, art. 118, comma 1, invocato dal ricorrente, si desume che la quietanza rilasciata all’assicurato in buona fede fa presumere, salva prova contraria, che l’agente di assicurazione abbia agito in nome e per conto dell’impresa intestataria del modulo a stampa.

Nella sostanza, tanto i riferimenti normativi quanto i principi giurisprudenziali consolidati in materia confermano – in questo senso sembra orientarsi, infatti, anche l’attività deduttiva del ricorrente (p. 9 del ricorso) – che le quietanze di pagamento emesse da C.A. non facessero piena prova dell’avvenuto versamento delle somme richieste ad Allianz SPA, ma costituissero prove indiziarie che i versamenti fossero avvenuti e fossero finalizzati alla stipulazione delle polizze che il preposto era stato incaricato di collocare per conto della preponente.

Inoltre, proprio perchè la quietanza costituisce solo la prova tra le parti della ricezione di un pagamento rilasciata dal creditore al debitore (art. 1199 c.c.) essa, a differenza della ricognizione di un debito, che fa presumere sino a prova contraria il rapporto fondamentale, nemmeno dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto stesso. Tant’è vero che l’eventuale riconoscimento tacito di una scrittura privata ai sensi dell’art. 215 c.p.c., al pari della sua verificazione, attribuisce alla scrittura (nella specie: quietanza) il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l’art. 2702 c.c., della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate: dichiarazioni, il cui contenuto può essere contestato dal sottoscrittore con ogni mezzo di prova, entro i limiti di ammissibilità propri di ciascuno di essi (Cass. 2/07/2010 n. 17246).

Di conseguenza, non può attribuirsi, come erroneamente preteso dal ricorrente, al riconoscimento tacito della scrittura privata da parte di Allianz SPA un’efficacia probatoria – circa il fatto che le somme fossero state ricevute per essere imputate alle polizze vita – nei suoi confronti (terzo) che la legge non riconosce neppure a carico del sottoscrittore.

Esaminando nel dettaglio le prospettazioni a sostegno dei due motivi di ricorso, questa Corte rileva una certa confusione.

Con le sue argomentazioni difensive il ricorrente lamenta, infatti, la non corretta ripartizione dell’onere della prova (p. 9), ma anche l’esito della valutazione delle acquisizioni istruttorie; egli imputa alla sentenza gravata di avere ritenuto erroneamente assolti da parte di Allianz gli oneri probatori su di essa gravanti (p. 8) nonchè l’omessa valutazione di elementi di prova, rappresentati dalle quietanze relative alle 36 polizze sottoscritte (p. 9).

Si tratta di censure differenti e per giunta riconducibili a vizi cassatori non sovrapponibili: per aversi violazione dell’art. 2697 c.c. – rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella specie espressamente dedotto – è indispensabile che il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne è gravata, secondo le regole dettate da quella norma; ove, invece, si ritenga che, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto il relativo onere, vi sarà solo un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel caso di specie non espressamente dedotto (Cass. 5/09/2006, n. 19064). Ancora: il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. 27/08/2018, n. 21223).

Risulta smentito dalla parte motivazionale della sentenza che le quietanze non siano state esaminate (cfr. p. 15 della sentenza); evidentemente ciò che il ricorrente traduce in omesso esame è l’esito della valutazione delle suddette quietanze diverso da quello auspicato.

Può escludersi anche la ricorrenza di una violazione della distribuzione del carico probatorio, perchè è evidente che il giudice a quo non ha fatto che valutare il compendio probatorio messogli a disposizione dalle parti, non ponendo affatto a carico del ricorrente oneri probatori non spettantigli, nè esonerando la società preponente dal suo onus probandi, ma limitandosi ad assegnare una valenza diversa da quella da lui pretesa alle evidenze raccolte.

Tutte le censure del ricorrente, in ultima analisi, si indirizzano verso il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, insindacabile per cassazione perchè, una volta correttamente escluso che le quietanze facessero piena prova nei confronti di Allianz Spa, spettava al giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

8. I motivi numeri tre, quattro e cinque sono assorbiti.

Una volta negata la prova dell’affidamento incolpevole di somme da parte dell’investitore all’agente è superfluo tanto verificare se vi fossero i presupposti per ritenere responsabile Allianz SPA ai sensi dell’art. 2049 c.c., quanto accertare se essa, con il proprio comportamento colpevole, avesse ingenerato nel cliente investitore il legittimo affidamento circa il fatto che C.A. avesse negoziato le polizze per suo conto.

Anche l’eventuale superamento della statuizione relativa al fatto che da parte del ricorrente vi fosse stata se non proprio una collusione quanto meno una fattiva acquiescenza rispetto al comportamento anomalo tenuto dal preposto non condurrebbe ad una pronuncia diversa, perchè a tutto concedere si trattava di una argomentazione ulteriore costituente una seconda ratio decidendi. Conseguentemente, ricorre carenza di interesse alla censura poichè la prima argomentazione non è stata correttamente contrastata per quanto già detto (Cass. 13/11/2018, n. 29033).

9. L’ultimo motivo è infondato.

Corrisponde ad un principio consolidato, da cui non sono emerse ragioni per discostarsi, che le spese di lite affrontate dal terzo chiamato in giudizio debbano essere sopportate dalla parte soccombente indipendentemente dal fatto che nei confronti del terzo il soccombente non abbia formulato alcuna domanda, trovando tale regola giustificazione nel principio di causalità. Fa eccezione a questa regola l’ipotesi in cui la chiamata del terzo sia avvenuta in maniera del tutto pretestuosa e arbitraria; solo in questo caso, infatti, sarà il chiamante a farsi carico delle spese sopportate dal terzo chiamato (Cass. 05/05/2017, n. 10904).

10. Data l’infondatezza del ricorso, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di C.A., atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (Cass. 21/05/2018, n. 12515)”.

11. Ne consegue il rigetto del ricorso.

12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

13. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di Allianz S.P.A, liquidandole in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, ed in favore di Cuneo Storica S.R.L., liquidandole in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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