LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3203/2014 proposto da:
AGENZIA REGIONALE PER L’ISTRUZIONE, LA FORMAZIONE E IL LAVORO –
A.R.I.F.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV n. 99, presso lo studio dell’avvocato CARLO FERZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE POZZOLI;
– ricorrente –
contro
R.E., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO SCARPELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 740/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/07/2013 R.G.N. 2874/2010.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello proposto dall’A.R.I.F.L. – Agenzia Regionale per l’Istruzione, la Formazione e il Lavoro – avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione proposta da R.E. avverso l’ingiunzione n. 614/2010, emessa ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, per il pagamento della somma di Euro 997,95;
2. la Corte territoriale ha premesso che l’Agenzia aveva assunto la R. con contratto a tempo determinato, che prevedeva l’inquadramento nel livello C3 e, dopo avere corrisposto il trattamento retributivo previsto dal c.c.n.l. per i dipendenti inquadrati nel livello sopra indicato, aveva preteso la restituzione di somme asseritamente versate in eccesso, facendo leva sulla circostanza che lo stesso c.c.n.l. prevedeva che il personale dovesse essere inquadrato nel livello iniziale;
3. il giudice d’appello ha innanzitutto escluso l’eccepita inammissibilità dell’opposizione per omesso rispetto del termine di trenta giorni previsto dal R.D. n. 639 del 1910, art. 3, ed ha rilevato che il legislatore non ha inteso attribuire allo stesso natura perentoria nè ha previsto alcuna decadenza in caso di sua inosservanza;
4. ha, poi, escluso che nella fattispecie potesse essere configurato un indebito oggettivo perchè alla R. era stato corrisposto il trattamento retributivo previsto nel contratto individuale e nessun rilievo poteva avere la violazione della disciplina dettata dal c.c.n.l. in quanto l’Agenzia non aveva svolto alcuna specifica deduzione in ordine all’eventuale invalidità delle pattuizioni contrattuali;
5. infine la Corte milanese ha evidenziato che non poteva l’Agenzia emettere l’ordinanza ingiunzione in quanto l’ordine di pagare si deve riferire ad un credito certo liquido ed esigibile;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’A.R.I.F.L. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali ha resistito con tempestivo controricorso R.E..
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo l’Agenzia ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 1910, art. 3 e, richiamata giurisprudenza di questa Corte, assume che il mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dalla norma indicata in rubrica determina l’irretrattabilità del credito, ossia la incontestabilità dello stesso in relazione all’an ed al quantum della pretesa;
2. la seconda censura, egualmente formulata ex art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla Corte territoriale di avere violato gli artt. 2033,1418 e 1419 c.c., nell’escludere, erroneamente, il carattere indebito del pagamento effettuato in violazione della disciplina del rapporto dettata dal CCNL per i dipendenti del comparto regioni e autonomie locali;
2.1. l’Agenzia ricorrente, descritto il sistema di classificazione del personale, rileva che al momento dell’assunzione il dipendente deve essere inquadrato nel primo livello retributivo e solo successivamente può acquisire, previa procedura selettiva e nei limiti delle disponibilità finanziarie, le posizioni economiche superiori;
2.2. dalla violazione delle disposizioni contrattuali fa discendere la nullità del contratto individuale, limitatamente all’inquadramento ed al trattamento retributivo concordato, ed evidenzia che la dichiarazione di nullità non doveva essere espressamente domandata, perchè la stessa, che può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse, costituiva il necessario presupposto dell’azione di ripetizione dell’indebito;
2.3. richiama giurisprudenza amministrativa per sostenere che il recupero di somme indebitamente erogate dall’amministrazione ai propri dipendenti ha carattere di doverosità e non può essere impedito facendo leva sulla buona fede del percipiente;
2.4. aggiunge che a fronte di un importo erogato in assenza di titolo, non poteva essere messa in discussione l’immediata esigibilità del credito, tanto più che l’ingiunzione era stata emessa nel pieno rispetto della procedura di recupero ed era stata preceduta dalla richiesta di restituzione degli importi non dovuti, rimasta senza esito;
3. con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ed addebita al giudice d’appello di non avere considerato che la nullità parziale del contratto era stata eccepita in primo grado e l’eccezione era stata reiterata in grado di appello;
4. rileva preliminarmente il Collegio che non può essere accolta la richiesta formulata dalla ricorrente nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., perchè occorre dare continuità al principio di diritto, già affermato da questa Corte, secondo cui “il rispetto del diritto fondamentale a una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo a una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i suoi effetti. Ne deriva che l’istanza per la trattazione congiunta di una pluralità di giudizi relativi alla medesima vicenda, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. c.p.c., deve essere sorretta da ragioni idonee ad evidenziare i benefici suscettibili di bilanciare gli inevitabili ritardi conseguiti all’accoglimento della richiesta, bilanciamento che dev’essere effettuato con particolare rigore nel giudizio di cassazione in considerazione dell’impulso d’ufficio che lo caratterizza” (Cass. n. 14365/2019);
4.1. a maggior ragione deve essere valutata con rigore l’istanza nei casi in cui le cause delle quali si domanda la trattazione congiunta non si riferiscano alle medesime parti ed alla stessa vicenda, ma presentino solo profili giuridici comuni;
5. il primo motivo è infondato;
correttamente il giudice d’appello ha richiamato a fondamento della decisione l’orientamento di questa Corte secondo cui il termine di cui al R.D. n. 639 del 1910, art. 3, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, non ha carattere perentorio, in difetto di espressa previsione normativa in tal senso, e pertanto il suo decorso non preclude l’opposizione di merito che il debitore proponga per contestare l’esistenza o la legittimità della pretesa creditoria, ma impedisce solo di ottenere la sospensione dell’esecutività del titolo (Cass. n. 1571/1996; Cass. n. 13751/2003; Cass. n. 5923/2007; Cass. n. 20375/2008);
5.1. al richiamato orientamento il Collegio intende dare continuità, perchè lo stesso, che valorizza la particolare natura della procedura di riscossione coattiva qui in discussione, si è formato in fattispecie nelle quali veniva specificamente in rilievo la questione della configurabilità o meno della decadenza, al contrario dei precedenti invocati dall’Agenzia, relativi all’applicabilità dell’art. 2953 c.c., all’ingiunzione fiscale non opposta;
6. merita, invece, accoglimento il secondo motivo, in relazione al quale premette il Collegio che l’azione di ripetizione d’indebito oggettivo può essere esercitata dalla Pubblica Amministrazione con il procedimento d’ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2, applicabile non solo alle entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, senza che occorra la preventiva adozione di un autonomo provvedimento che accerti e quantifichi il debito restitutorio (Cass. n. 13139/2006);
6.1. questa Corte ha poi affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che nel giudizio di opposizione l’opponente assume la veste di attore soltanto in senso formale, ma non in senso sostanziale, e tale considerazione è stata estesa anche all’ipotesi di riscossione delle entrate non tributarie, in particolare a quelle riconducibili a rapporti di diritto privato, essendo stata ritenuta irrilevante, a tal fine, la circostanza che l’ingiunzione cumuli in sè la natura e la funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio del suo potere di autoaccertamento, dal momento che ciò non implica affatto che nel giudizio di opposizione il provvedimento in questione costituisca di per sè prova di quanto in esso affermato o sia assistito da una presunzione di verità (cfr. Cass. n. 24040/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);
6.3. nella fattispecie, peraltro, contrariamente a quanto afferma la controricorrente, la prova della sussistenza dell’indebito si ricava, a prescindere da accertamenti di fatto, dalla disciplina dettata dal CCNL 31.3.1999 per il personale del comparto enti locali che, all’art. 3, prevede un sistema di classificazione articolato in quattro categorie (A, B, C, D), descritte quanto alle specifiche professionali nell’allegato A, stabilisce l’equivalenza professionale delle mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, con le sole eccezioni previste dal comma 7 per le aree B e D, e, all’art. 5, prevede una progressione economica all’interno della categoria, in ragione dell’esperienza acquisita, dell’arricchimento professionale, della qualità della prestazione individuale, che si consegue nei limiti delle risorse disponibili e all’esito di procedure selettive;
6.4. l’art. 15 stabilisce, poi, che “al personale assunto dopo la stipulazione del presente CCNL viene attribuito il trattamento tabellare iniziale di cui alla tabella allegato B previsto per la categoria cui il profilo di assunzione appartiene secondo la disciplina dell’art. 13, comma 1”, che, a sua volta, consente l’attribuzione di una posizione economica diversa da quella iniziale per i soli profili B3 e D3;
6.5. le richiamate disposizioni contrattuali, di carattere imperativo, vincolano il datore di lavoro pubblico il quale “non ha il potere di attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. E’ conseguentemente nullo l’atto in deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-septies, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva” (Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744);
6.6. sviluppando il richiamato principio questa Corte ha, poi, affermato che qualora il l’ente attribuisca un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017);
6.7. si è aggiunto che non è applicabile al rapporto di impiego alle dipendenze delle amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, il principio in forza del quale la corresponsione di una retribuzione maggiore rispetto a quella dovuta in forza della contrattazione collettiva costituisce trattamento di miglior favore e può essere chiesta in restituzione solo previa dimostrazione di un errore riconoscibile e non imputabile al datore, perchè, al contrario, il datore di lavoro pubblico è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e la ripetibilità degli importi corrisposti in eccesso non può essere esclusa ex art. 2033 c.c., per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (Cass. n. 4323/2017 e negli stessi termini Cass. n. 8338/2010 e Cass. 29926/2008);
7. la Corte territoriale si è discostata dai principi di diritto richiamati nei punti che precedono, ribaditi dal Collegio, perchè per escludere il carattere indebito dei pagamenti effettuati dall’amministrazione ha valorizzato le pattuizioni individuali, da ritenersi nulle in parte qua in quanto in contrasto con la disciplina dettata dal contratto collettivo, che non poteva essere derogata in relazione all’inquadramento ed al trattamento economico da riconoscere all’assunto a tempo determinato;
8. nè per escludere il diritto dell’Agenzia a ripetere le retribuzioni corrisposte in eccesso la R. poteva fare leva sulla qualità della prestazione resa, posto che, come evidenziato al punto 6.3., nell’ambito della categoria C le posizioni economiche, che si acquisiscono solo all’esito delle procedure disciplinate dall’art. 5, non comportano l’esercizio di mansioni superiori e pertanto, nelle ipotesi di illegittimo conferimento delle stesse, non può essere invocato l’art. 2126 c.c.;
9. la sentenza impugnata va, pertanto cassata, con assorbimento del terzo motivo, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’opposizione;
10. l’esito alterno del giudizio e la complessità delle questioni giuridiche giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero processo;
11. non sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, e rigetta il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’opposizione. Compensa integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020
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