LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24006/2018 proposto da:
F.F., F.G., elettivamente domiciliati in Roma alla via dei Savorelli n. 11 presso lo studio dell’avvocato ANNA CHIOZZA che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ONOFRI;
– ricorrenti –
contro
D.D.D.D., D.D.E., elettivamente domiciliati in Roma alla via L. Andronico n. 24 presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI che li rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO MARIO GORLANI;
– controricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 00518/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 26/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2019 da Cristiano Valle;
udito l’Avvocato Anna Chiozza per i ricorrenti e l’Avvocato Ilaria Romagnoli per i controricorrenti e ricorrenti incidentali;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Cardino Alberto che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 00518 del 26/03/2018, ha, per quanto ancora rileva in questa sede, riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede e condannato G. e F. a corrispondere a D.D.D.D. e a D.D.E. la somma di oltre Euro quarantacinquemila a causa degli errori nella predisposizione di un progetto edilizio ed alla mancata tempestiva richiesta di concessione edilizia in sanatoria.
Avverso la sentenza d’appello ricorrono con due motivi di ricorso F.F. e G..
Resistono con contro ricorso, e propongono ricorso incidentale, D.D.D.D. e E..
Memorie depositate nel termine di legge da entrambe le parti. Il P.G. ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale censura la sentenza d’appello per “violazione della L. n. 47 del 1985, art. 13, comma 3 e art. 6; violazione degli artt. 1292,1294,1298 e 1299 c.c. e art. 2055 cod. civ.; violazione dell’art. 2697 c.c. rispetto al “quantum debeatur””.
Pur non essendo indicato alcun parametro normativo tra quelli di cui alle norme disciplinanti il ricorso per cassazione ritiene il Collegio che la norma invocata sia l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alle norme del codice civile e della L. n. 47 del 1985 sopra numerate.
Il motivo afferma che la domanda di risarcimento danni proposta in primo grado dai D.D. aveva a fondamento la somma che gli stessi avevano dovuto corrispondere al Comune di Cologne a titolo di sanzione amministrativa di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 6 e che, avendo detta sanzione carattere solidale, essendo comminata in via solidale ai titolari della concessione edilizia, ai progettisti ed agli esecutori dei lavori, dalla quota parte loro imputata doveva essere detratta la somma ricadente sulla ditta esecutrice dei lavori in difformità dall’originaria concessione edilizia.
La norma invocata dai F. è la L. n. 47 del 1985, art. 6 (ora D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29, comma 1) che prevede(va):
“Il titolare della concessione, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonchè a quelle della concessione ad edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per la esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.
Il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d’opera di cui all’art. 15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al sindaco, in caso contrario il sindaco segnala al consiglio dell’ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall’albo professionale da tre mesi a due anni”.
L’applicabilità della detta norma non ha in alcun modo formato oggetto di dibattito processuale nelle fasi di merito, o, quantomeno, ciò non viene in alcun modo rappresentato in sede di legittimità, non avendo la difesa dei F. precisato dove, come e quando, dinanzi al Tribunale di Brescia ed alla Corte distrettuale la questione venne posta. Un cenno in ordine alla necessità di ripartizione della somma può, verosimilmente, essere visto nel richiamo effettuato dai F., in sede di precisazioni delle conclusioni in appello, all’art. 1227 c.c., ma, in ogni caso, la circostanza è del tutto priva di adeguato supporto argomentativo. In ogni caso, ai fini della suddivisione per quote della somma complessivamente dovuta a titolo di sanzioni amministrative i F., convenuti in primo grado, con domanda risarcitoria comprendente anche la somma dovuta dai D.D. a titolo di oblazione per la violazione edilizia (come risulta dalla precisazione delle conclusioni di questi in grado d’appello), avrebbero potuto chiamare in causa la ditta esecutrice dei lavori. La mancata chiamata in giudizio dell’ulteriore soggetto ritenuto responsabile comporta che la questione, del mancato scomputo dall’importo recato dalla sentenza d’appello, della quota asseritamente imputabile all’esecutore dei lavori non può essere fatta valere in questa sede.
Il primo motivo del ricorso principale è, pertanto, rigettato.
Il secondo motivo afferma “violazione della normativa sull’IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3 e 13) e della normativa della Cassa di Previdenza Agronomi (D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, art. 8, commi 2 e 3) e degli ingegneri (L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 10)”. Il mezzo afferma che i giudici di merito, nel calcolare le somme dovute al netto delle compensazioni dipendenti dalle prestazioni professionali rese, non avrebbero tenuto conto degli importi dovuti ai F., quali inderogabili accessori di legge, per IVA ed oneri professionali, che dovevano essere fatti ricadere sui clienti, e, quindi, sui D.D..
Il motivo è del tutto privo di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e, inoltre, confonde le somme dovute a titolo di compensi professioni da quelle, quali quelle al cui versamento sono stati condannati i F., dovute a titolo risarcitorio, sulle quali non è operabile alcuno scomputo, a favore dei soggetti tenuti alla corresponsione, degli importi per contributi e imposte.
Il ricorso principale è, complessivamente, infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Il ricorso incidentale dei D.D. afferma con un primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1226,2697 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al ritardo nell’esecuzione dell’incarico professionale.
Il secondo mezzo del ricorso incidentale deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 2229 e segg. c.c., artt. 1453 e segg. e 2697 c.c. e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Il primo mezzo è infondato: la sentenza d’appello ha, alla pag. 9, affermato che non vi fu ritardo alcuno nell’esecuzione dei lavori: “di tale ritardo non v’è traccia nell’istuttoria e comunque il solo ritardo nel completamento dei lavori non determina per ciò solo un danno risarcibile non essendo stato neppure provato che gli appellanti abbiano dovuto sborsare somme per acquisire la disponibilità di immobili durante (l’eventuale maggior) tempo necessario per la conclusione delle opere”. La statuizione della Corte territoriale non è adeguatamente incisa dal motivo del ricorso, che fa riferimento ad una sola testimonianza, resa da impiegata comunale, senza adeguatamente circostanziarla in punto di spese sostenute anche al solo fine di ottenere una liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. richiamato dall’art. 2056 c.c. Emerge, peraltro, dagli atti processuali che i lavori furono comunque eseguito sotto la direzione dei F., sebbene in difformità, e che, quindi, l’avanzamento delle opere non fu particolarmente inciso.
La richiesta di risarcimento del danno da ritardo nell’esecuzione dei lavori deve, pertanto, essere rigettata.
Il secondo motivo di ricorso afferma l’illegittima attribuzione dei compensi professionali e della loro stessa misura in favore dei F..
Il motivo difetta di specificità, in quanto si appunta sull’operato del consulente tecnico di ufficio, ed in particolare sull’integrazione alla prima consulenza, ma omette di specificare dove e quando, nella competente fase di merito, ossia in grado d’appello, le specifiche censure all’operato peritale siano state mosse. La Corte territoriale ha, peraltro, limitato il riconoscimento delle spettanze in favore dei due professionisti agli importi che soli ed effettivamente sono risultati utili ai committenti.
Il secondo mezzo del ricorso incidentale va, pertanto, disatteso. Entrambi i ricorsi, il principale e l’incidentale autonomo, sono, pertanto, rigettati.
L’esito della lite consente di ritenere sussistenti idonee ragioni per disporre integrale compensazione delle spese di lite di questo grado del giudizio.
Deve darsi atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali che dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto rispettivamente, dai primi per il ricorso principale e dai controricorrenti incidentali a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
rigetta entrambi i ricorsi;
compensa tra le parti le spese di questo grado di giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, il 15 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020
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