Danni cagionati dagli animali selvatici, patrimonio indisponibile dello Stato, imputazione della responsabilità ex art. 2052 c.c., Regione

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.7969 del 20/04/2020

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Danni cagionati dagli animali selvatici, patrimonio indisponibile dello Stato, imputazione della responsabilità ex art. 2052 c.c., Regione

Ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità.

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Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n. 7969 del 20/04/2020

(Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente; Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere)

FATTI DI CAUSA

B.D. ha agito in giudizio nei confronti della Regione Abruzzo per ottenere il risarcimento dei danni riportati dalla propria autovettura a seguito della collisione con un cinghiale avvenuta su una strada pubblica, in località *****.

La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Pescara.

Il Tribunale di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la Regione Abruzzo, sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la B..

E’ stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato fondato.

Successivamente è stata disposta la trattazione in pubblica udienza.

La Regione ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo di ricorso proposto dalla Regione Abruzzo Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): Violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui alla L. 11 Febbraio 1992, n. 157, artt. 1 e 9 e dell’art. 2043 c.c. Erronea imputazione della responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica alla Regione ricorrente”.

La regione ricorrente censura la decisione impugnata in relazione alla propria individuazione come ente passivamente legittimato, sul piano sostanziale, a rispondere dei danni riportati dall’autovettura dell’attore, senza svolgere in realtà censure in ordine all’affermazione della sussistenza di una condotta colposa, causalmente rilevante in relazione ai suddetti danni, addebitabile in concreto proprio al soggetto pubblico titolare delle funzioni di controllo e gestione della fauna selvatica nell’area in cui è avvenuto l’incidente.

2. Individuazione del thema decidendum.

Il ricorso pone la discussa questione della individuazione del soggetto, pubblico o privato, tenuto a rispondere dei danni causati dagli animali selvatici (in particolare, ma non solo, alla circolazione su strade pubbliche).

Ritiene il Collegio che tale questione sia necessariamente legata al fondamento giuridico della responsabilità stessa per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e richieda un esame analitico della relativa problematica.

3. I riferimenti normativi rilevanti ed il quadro degli attuali orientamenti della giurisprudenza di legittimità.

E’ opportuno dare preliminarmente conto dei principali riferimenti normativi e dello stato della giurisprudenza di questa Corte.

3.1 Riferimenti normativi rilevanti.

I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili, in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.

Con la L. 27 dicembre 1977, n. 968 la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell’art. 117 Cost..

Successivamente, la L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha specificato che la predetta tutela riguarda “le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale”, con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell’interesse della comunità internazionale, precisando, sul piano delle competenze, che:

– le Regioni a statuto ordinario:

provvedono “ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica” (art. 1); “esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria”;

“svolgono i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali” (art. 9); “attuano la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali” (art. 9);

“… nonchè con l’esercizio di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province…” (art. 10);

“… provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia”, controllo che “esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici” (art. 19);

istituiscono e disciplinano il fondo destinato al “risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria”, per “far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta” (art. 26);

– alle Province, invece:

“spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, che esercitano nel rispetto della presente legge” (art. 9);

inoltre, ai sensi del D.Lgs. 28 settembre 2000, n. 267, art. 19 (che ha sostituito la L. n. 142 del 1990), alle Province spettano “le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale” nei settori della “protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali”, nonchè della “caccia e pesca nelle acque interne”.

3.2 Il fondamento teorico della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici secondo la dottrina e l’orientamento della Corte di Cassazione.

La dottrina (oltre ad alcune remote decisioni, soprattutto di merito) ha in prevalenza ritenuto che il riconoscimento della proprietà pubblica della fauna selvatica, con la funzionalizza-zione agli interessi collettivi, nazionali ed internazionali, della sua tutela nonchè della sua stessa gestione, comportasse l’applicabilità, anche agli animali selvatici appartenenti alle specie protette, del regime di responsabilità speciale previsto, in generale, dall’art. 2052 c.c., per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso di un qualunque soggetto giuridico. Nella giurisprudenza di questa Corte si è invece consolidato un diverso indirizzo, secondo cui il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell’art. 2052 c.c., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico (cfr., ad es.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8788 del 12/08/1991, Rv. 473498 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2192 del 15/03/1996, Rv. 496375 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1638 del 14/02/2000, Rv. 533850 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10737 del 23/07/2002, Rv. 556100 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10008 del 24/06/2003, Rv. 564507 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006, Rv. …, 588414 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27673 del 21/11/2008, Rv. 605619 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014, Rv. 631131 – 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019, Rv. 652994 – 01).

Tale indirizzo ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale – con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 – ha ritenuto non sussistere una irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all’art. 2052 c.c., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici (ciò sull’assunto per cui, poichè questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.).

– 3.3 Il soggetto pubblico legittimato passivo sul piano sostanziale secondo l’originaria impostazione della Corte di Cassazione L’indicata ricostruzione del regime di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici ha inizialmente comportato l’individuazione dell’ente pubblico (eventualmente) responsabile per la colposa omessa adozione delle misure necessarie ad impedirli, nella Regione, quale ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio; e ciò anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti alle Province, poichè la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8470 del 01/08/1991, Rv. 473354 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8788 del 12/08/1991, Rv. 473498 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13956 del 13/12/1999, Rv. 532111 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10737 del 23/07/2002, Rv. 556100 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13907 del 24/09/2002, Rv. 557557 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16008 del 24/10/2003, Rv. 567652 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 24895 del 25/11/2005, Rv. 585722 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8953 del 07/04/2008, Rv. 602462 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23095 del 16/11/2010, Rv. 614666 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 467 del 13/01/2009, Rv. 606148 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4202 del 21/02/2011, Rv. 616849 – 01).

3.4 Il quadro dei successivi orientamenti della giurisprudenza di legittimità in relazione alla cd. legittimazione passiva sul piano sostanziale: la individuazione dell’ente competente cui è ascrivibile la condotta colposa rilevante.

A fronte di tale originario orientamento, sono state in seguito operate una serie di specificazioni, pervenendosi in sostanza in qualche modo ad alterare l’esposto criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in capo alla Regione.

Sul presupposto che il fondamento della responsabilità era da ricercare nella clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. e che ciò richiedeva in ogni caso l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006, Rv. 588414 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27673 del 21/11/2008, Rv. 605619 – 01), in alcune più recenti decisioni (comunque successive alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 4 del 2001, già richiamata) si è affermato che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici non è sempre imputabile alla Regione ma deve in realtà essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della L. n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente (cfr., ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 80 del 08/01/2010, Rv. 610868 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 21395 del 10/10/2014, Rv. 632728 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 – 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017, Rv. 645378 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019, Rv. 655507 – 01).

3.5 Le concrete applicazioni del nuovo criterio di individuazione dell’ente responsabile.

Nell’ottica di questa impostazione di fondo, sostanzialmente nuova, si è peraltro talvolta precisato che la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che non sia dimostrato che la delega attribuisca alle Province un’autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4202 del 21/02/2011, Rv. 616849 – 01, con conferma della decisione di merito che aveva attribuito alla Regione Molise la responsabilità dei danni derivati dall’impatto tra una autovettura ed alcuni caprioli, sebbene la legge regionale avesse delegato alle Province la gestione della fauna selvatica).

In altre decisioni si è invece sancito che si deve indagare, di volta in volta, se l’ente delegato sia stato ragionevolmente posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli, o sia un “nudus minister”, senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa (cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26197 del 06/12/2011, Rv. 620678 – 01, ipotesi in cui si è confermata la decisione di merito che aveva rigettato una domanda proposta contro la Regione Calabria per i danni causati da istrici ad una piantagione, per avere la legge regionale delegato alle Province la gestione della fauna selvatica; Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 – 01, fattispecie in cui è stata negata la responsabilità della Provincia di Reggio Emilia per danni causati da caprioli, ritenendosi legittimata passiva all’azione risarcitoria la locale azienda venatoria; di recente: Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019, Rv. 655507 01; in tale ultimo caso risulta cassata la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della Provincia di Macerata per i danni causati ad un’autovettura da un cinghiale, affermandosi che, anche in caso di delega, non vi è, in linea di principio, responsabilità civile esclusiva del delegante, e quindi vi sarebbe comunque responsabilità della Provincia, almeno concorrente, e disponendosi che in sede di rinvio fosse accertato anche quali poteri in concreto erano stati trasferiti alla Provincia, cioè se la Regione avesse messo quest’ultima nelle condizioni materiali di provvedere alla gestione ed al controllo della fauna selvatica, ovvero, in altre parole, se la Provincia, oltre a disporre dei poteri attribuitile dalla Regione “sulla carta”, avesse anche ricevuto i mezzi per farvi fronte).

In altri casi si è poi stabilito che la responsabilità extracontrattuale per danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici va imputata alla Provincia a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell’ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica (Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 12808 del 19/06/2015, Rv. 635775 – 01; in tal caso è stata confermata la decisione di merito, che aveva escluso la legittimazione passiva della Regione Abruzzo, per i danni ad un’autovettura causati da un cervo; nella fattispecie decisa da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11785 del 12/05/2017, Rv. 644198 – 01, per i danni causati dall’attraversamento della carreggiata autostradale da parte di un capriolo, è stata invece cassata la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della società di gestione autostradale, ai sensi dell’art. 2051 c.c., sul solo rilievo della presenza di una recinzione, ancorchè integra, in corrispondenza del tratto interessato dall’incidente).

Si è altresì affermato che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane rendono le stesse responsabili dei danni cagionati da animali selvatici (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22886 del 10/11/2015, Rv. 638769 – 01, con conferma della decisione di merito che, in relazione al danno subito da un’autovettura a seguito dell’impatto con un capriolo, aveva peraltro condannato sia la Regione Toscana che la Provincia di Siena; la responsabilità della Regione Toscana risulta invece esclusa nel caso deciso da Sez. 3, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017, Rv. 645378 – 01, sul presupposto della legittimazione esclusiva della locale Provincia, nella specie non citata in giudizio, per i danni causati ad un motociclista da un branco di cinghiali; mentre proprio la responsabilità della Provincia di Siena risulta esclusa nel caso deciso da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016, Rv. 641488 – 01, ancora relativo a danni derivanti dall’impatto tra una autovettura ed un cinghiale, sull’assunto che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane ai sensi della L.R. Toscana n. 3 del 1994, da cui discende la responsabilità delle medesime per i danni cagionati da animali selvatici anche a protezione degli utenti della strada per i rischi riconducibili al ripopolamento della fauna, non determinano l’assunzione di specifici doveri di diligenza, al di là di quello generale assolto con la segnaletica stradale, non potendo discendere in capo all’ente delegato doveri diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni normative). Si è anche affermato che le Province dell’Emilia Romagna sono responsabili dei danni provocati nell’intero territorio da specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 – 01, già richiamata, nella quale peraltro la legittimazione passiva della Provincia di Reggio Emilia risulta in concreto esclusa, in ragione dell’effettivo oggetto della domanda, essendosi ritenuta legittimata esclusivamente l’azienda venatoria locale, con conseguente rigetto della domanda dell’attore).

4. La sostanziale non univocità dell’attuale indirizzo della Corte di Cassazione e le criticità da esso derivanti L’esposto panorama (per quanto inevitabilmente parziale e sommario) di alcune delle principali decisioni relative alle numerose fattispecie di domande di risarcimento di danni causati da animali selvatici appartenenti a specie protette, pervenute all’esame del giudice di legittimità, evidenzia di per sè come l’attuale quadro degli orientamenti di questa Corte non possa ritenersi affatto chiaro e univoco.

Ed in effetti sono state rilevate da più parti, oltre che contraddizioni tra decisioni aventi ad oggetto analoghe fattispecie, anche una serie di criticità di fondo, emergenti dal suddetto quadro.

4.1 L’effettività della tutela dei diritti del danneggiato.

In primo luogo è stata ripetutamente segnalata la condizione di oggettiva ed estrema difficoltà pratica in cui, in base agli attuali orientamenti, viene posto il soggetto privato danneggiato dalla condotta di animali selvatici nell’esercitare in giudizio la tutela dei suoi diritti, trovandosi questi costretto, non solo a dover individuare e provare una specifica condotta colposa dell’ente convenuto, causativa del danno, ma anche a districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.), i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili, al fine di individuare l’unico soggetto pubblico effettivamente legittimato passivo, in concreto, in relazione all’azione risarcitoria avanzata (e ciò anche al fine di evitare la responsabilità per le spese processuali in relazione agli altri enti potenzialmente responsabili, eventualmente citati a “scopo cautelativo”), il che finisce in molti casi per risolversi in un sostanziale diniego di effettiva tutela, in evidente tensione con i valori costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost..

In proposito deve peraltro tenersi conto che l’esclusione dell’illegittimità costituzionale del “diritto vivente” formatosi nella materia (cfr. la già richiamata ordinanza della Corte Cost. n. 4 del 2001) è antecedente all’affermarsi degli orientamenti interpretativi che richiedono, per l’accoglimento della domanda risarcitoria, l’individuazione dell’ente legittimato passivo sul piano sostanziale (recte: l’ente cui è in concreto ascrivibile la specifica condotta colposa causativa del danno) da parte del danneggiato, risalendo al periodo in cui era affermata da questa Corte l’esclusiva legittimazione passiva delle Regioni.

4.2 L’uniformità di applicazione del diritto civile nel territorio nazionale.

L’affermazione per cui l’ente “legittimato passivo” in relazione all’azione risarcitoria per i danni causati dalla fauna selvatica protetta è esclusivamente quello cui sarebbe spettato in concreto porre in essere la condotta omessa causativa del danno ha, del resto, portato a ricostruzioni non sempre coincidenti delle medesime legislazioni regionali, ed a sostenere talvolta e/o a negare altre volte (anche in relazione alla medesima regione) che avesse rilievo una determinata delega di funzioni amministrative e/o che la stessa potesse dirsi “concretamente attuata”, ovvero che una determinata condotta omessa spettasse ad un ente o ad un altro, e/o fosse o meno esigibile dall’uno o dall’altro. Ciò senza contare che talvolta la stessa responsabilità delle Regioni e delle Province è stata considerata concorrente ed altre volte esclusiva.

Inoltre, nella sostanza, tende ad affermarsi in concreto un regime della responsabilità civile per i danni causati dagli animali selvatici differenziato, regione per regione, regime di dubbia compatibilità sistematica con il principio, anch’esso di rilievo costituzionale, per cui la normativa regionale non può incidere sui rapporti di diritto privato.

4.3 La razionalità del criterio di imputazione colposo della responsabilità.

Anche sotto il profilo della cd. analisi economica del diritto sono state sollevate perplessità sulla razionalità di un regime di imputazione della responsabilità che nella sostanza lascia nella maggioranza dei casi il danno causato dalla fauna selvatica, bene tutelato nell’interesse della collettività, in capo al singolo che lo ha subito, invece di “collettivizzarlo”.

4.4 L’incertezza derivante dalla complessità dei criteri applicativi e la sua incidenza sul proliferare del contenzioso.

E’ poi appena il caso di osservare che le palesi difficoltà di applicazione pratica del descritto regime di imputazione della responsabilità hanno causato una notevole incertezza dell’esito delle decisioni giudiziarie, che ha presumibilmente contribuito ad alimentare il contenzioso in modo esponenziale.

4.5 I criteri di imputazione della responsabilità utilizzati di fatto nella decisione dei casi concreti.

Va infine sottolineato che, come è stato acutamente fatto notare, la complessa ricostruzione sistematica operata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al fondamento della responsabilità ed all’individuazione dell’ente pubblico responsabile, ha spesso finito per determinare in concreto un paradosso: quello della implicita contraddizione delle stesse premesse teoriche dell’indirizzo fatto proprio dall’organo decidente.

In moltissimi casi, infatti, è possibile osservare che – in particolare, ma non solo, nei giudizi di merito – la questione dell’individuazione dell’ente cd. “legittimato passivo sostanziale” di fatto assume nella sostanza rilievo determinante ed esclusivo ai fini della stessa attribuzione della responsabilità, trascurandosi la valutazione della concreta allegazione e prova, da parte dell’attore, della specifica condotta omissiva in rapporto di causalità con l’evento dannoso, e addirittura dando in qualche modo per scontata la sussistenza della responsabilità dell’ente individuato come “legittimato passivo” sotto tale profilo, in considerazione del mero coinvolgimento dell’animale selvatico nell’evento dannoso. In tal modo, si perviene molto spesso (specie, ma non solo, nelle decisioni di merito, comunque di frequente non più tangibili sul punto in sede di legittimità) ad una sorta di “tacita” applicazione, nei fatti, di un criterio di imputazione della responsabilità molto più vicino a quello previsto dall’art. 2052 c.c. (benchè in linea di principio lo si affermi come non utilizzabile), che non a quello, espressamente (ma solo apparentemente) enunciato come applicabile, di cui all’art. 2043 c.c..

5. La necessità di rimeditare la questione del fondamento della responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica protetta, per offrire un indirizzo chiaro e univoco.

Osserva la Corte che la questione di fondo che ha determinato, pur in assenza di un palese contrasto, l’incerto quadro interpretativo fin qui delineato (e che richiede quindi una adeguata sistemazione, per offrire un indirizzo che sia effettivamente univoco e coerente, che superi le difformità applicative e, possibilmente, le stesse criticità in precedenza segnalate) sta proprio nella scelta iniziale del criterio di imputazione della responsabilità, operata sul presupposto della impossibilità di estendere alla fauna selvatica il regime previsto dall’art. 2052 c.c., fondato sulla responsabilità oggettiva del proprietario dell’animale che ha causato il danno ovvero del diverso soggetto che lo utilizza per trarne utilità, superabile esclusivamente con la prova da parte di quest’ultimo del caso fortuito. Tale scelta è stata essenzialmente giustificata sulla base dell’assunto per cui la disposizione di cui all’art. 2052 c.c. avrebbe riguardo esclusivamente agli animali domestici e non a quelli selvatici, in quanto il criterio di imputazione della responsabilità che esprimerebbe sarebbe basato sul dovere di “custodia” dell’animale da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, che vivono in libertà.

Non pare al Collegio che tale assunto trovi però effettivo fondamento nella disposizione indicata.

Il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dagli animali espresso nell’art. 2052 c.c. non risulta, in primo luogo, espressamente limitato agli animali domestici, ma fa riferimento esclusivamente a quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo.

Inoltre, esso prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo, come si desume dallo stesso tenore letterale della disposizione, là dove prevede espressamente che la responsabilità del proprietario o dell’utilizzatore sussiste sia che l’animale fosse “sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito”.

Si tratta dunque di un criterio di imputazione della responsabilità fondato (non sulla “custodia”, ma) sulla stessa proprietà dell’animale e/o comunque sulla sua utilizzazione da parte dell’uomo per trarne utilità (anche non patrimoniali), cioè sul criterio oggettivo di allocazione della responsabilità per cui dei danni causati dall’animale deve rispondere il soggetto che dall’animale trae un beneficio (essendone il proprietario o colui che se ne serve per sua utilità: “ubi commoda ibi et incommoda”; la responsabilità rappresenta, in altri termini, la contropartita dell’utilità tratta dall’animale), con l’unica salvezza del caso fortuito.

Tanto premesso, appare corretta l’impostazione di chi afferma che, avendo l’ordinamento stabilito (con legge dello Stato) che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992) è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato (quale suo patrimonio indisponibile) e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema, con l’attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l’applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c..

In siffatta situazione, l’esenzione degli enti pubblici dal regime di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052 c.c., non potendosi in diritto giustificare – per quanto già chiarito – sulla base della impossibilità di configurare un effettivo rapporto di custodia per gli animali selvatici (non costituendo affatto la custodia il presupposto di applicabilità della disposizione che disciplina l’imputazione della responsabilità, ai sensi dell’art. 2052 c.c., come già chiarito), finisce per risolversi in un ingiustificato privilegio riservato alla pubblica amministrazione.

Ma l’effettiva peculiarità della situazione che implica la gestione dell’intero patrimonio faunistico protetto, così come la connessa preoccupazione di una eccessiva ed incontrollabile attribuzione di responsabilità risarcitoria in capo alla pubblica amministrazione, non possono giustificare l’alterazione del regime normativo civilistico di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso, e quindi l’affermazione di un siffatto privilegio, che va certamente superato.

Un percorso analogo è del resto già avvenuto – nella giurisprudenza di questa Corte – con riguardo ad altre simili fattispecie, quali la proponibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti degli enti pubblici, ai sensi dell’art. 2041 c.c., o la stessa responsabilità oggettiva per i danni causati da cose in custodia, con riguardo ai beni demaniali, ai sensi dell’art. 2051 c.c., fattispecie astratta quest’ultima che presenta innegabili profili di analogia con quella di cui all’art. 2052 c.c..

In tutti questi casi, ad un iniziale orientamento che negava l’applicabilità alla pubblica amministrazione della disciplina generale civilistica, nei medesimi termini normativi previsti per i soggetti privati, in guisa di una sorta di privilegio soggettivo, ha fatto seguito il superamento del privilegio e l’applicazione alla pubblica amministrazione del regime legislativo “comune” (fermi restando gli adattamenti necessari per la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, in relazione alle effettive peculiarità dell’attività eventualmente svolta dalla pubblica amministrazione o della sua situazione concreta di fatto, ma senza alcuna distinzione sotto il profilo della disciplina normativa in astratto applicabile).

Le stesse preoccupazioni per le conseguenze dell’affermazione della possibile responsabilità oggettiva della pubblica amministrazione, anche in relazione a situazione di proprietà o custodia diffuse (come per i beni demaniali e, in particolare, del demanio stradale), sono state infine superate, con una più precisa e corretta ricostruzione dei presupposti di imputazione della responsabilità e di individuazione dell’oggetto della prova liberatoria e dei relativi oneri probatori (risulta emblematica, sotto tale profilo, la vicenda della responsabilità per i danni causati agli automobilisti da anomalie presenti nelle strade pubbliche, quali buche o macchie d’olio, ormai coerentemente ricondotta al regime ordinario di cui all’art. 2051 c.c., con la precisazione per cui non è esigibile dalla pubblica amministrazione un onere di manutenzione tale da eliminare del tutto la stessa possibilità che una anomalia si determini ma che riconduce al caso fortuito tale eventualità, laddove essa non sia stata ragionevolmente prevenibile, conoscibile ed eliminabile in concreto, prima del verificarsi del sinistro).

Ad una analoga conclusione ritiene la Corte debba pervenirsi in relazione al regime di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici rientranti nelle specie protette, di proprietà pubblica, la cui tutela e la cui gestione sono affidate dalla legge alla competenza normativa e amministrativa degli enti territoriali, a fini di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema.

In particolare, in questo caso, poichè la proprietà pubblica delle specie protette è in sostanza disposta in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l’attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonchè di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, si determina una situazione che è equiparabile (nell’ambito del diritto pubblico) a quella della “utilizzazione” degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell’art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una “utilizzazione”, in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema.

Ciò, nell’ottica della stessa previsione legislativa di una proprietà pubblica, evidentemente funzionalizzata ad interessi e utilità collettive, comporta, ad avviso della Corte, l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 2052 c.c., nella parte in cui attribuisce la responsabilità per i danni causati dagli animali al soggetto (in tal caso pubblico) che “se ne serve”, salvo che questi provi il caso fortuito.

Tale soggetto, in base alle disposizioni dell’ordinamento in precedenza richiamate, va individuato certamente, ed esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono le Regioni gli enti territoriali cui spetta, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni.

Sono dunque in sostanza le Regioni gli enti che “utilizzano” il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

6. Analisi delle modalità applicative del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. per la fauna selvatica protetta.

Una volta stabilita l’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. per i danni causati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, e una volta chiarito che – in linea di principio – il soggetto pubblico tenuto a risponderne nei confronti dei privati danneggiati (salva la prova del caso fortuito) è la Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, restano da effettuare alcune precisazioni (onde meglio chiarire il senso della ricostruzione sistematica esposta), con riguardo: a) ai presupposti per l’imputazione della responsabilità, in applicazione del suddetto criterio; b) alla individuazione dell’effettivo oggetto della prova liberatoria gravante sulla Regione; c) all’ipotesi di negligente esercizio delle funzioni amministrative delegate o proprie, da parte di enti minori (in particolare, ma non solo, le Province).

E’ opportuno a tal proposito sottolineare che resta del tutto estranea alla problematica qui in esame, che riguarda esclusivamente la tutela risarcitoria, la diversa fattispecie relativa alle speciali tutele indennitarie per i danni alle coltivazioni previste dalla legislazione delle singole Regioni ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 26 (tutele che costituiscono misure di bilanciamento tra i contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela, della collettività all’integrità ed all’ordinato sviluppo del patrimonio faunistico e dei coltivatori o proprietari alla preservazione delle loro attività o beni, ma che, da un lato, non sono ancorate ai rigorosi oneri di allegazione e prova normalmente richiesti agli attori in risarcimento e, dall’altro, sono limitate ad una quota di stanziamenti discrezionalmente fissati dall’amministrazione).

6.1 Il regime di imputazione della responsabilità: l’onere della prova gravante sull’attore.

Per quanto riguarda il regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., sarà naturalmente il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico. Ciò comporta, evidentemente, che sull’attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l’onere dimostrare la dinamica del sinistro nonchè il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

E’ opportuno chiarire in proposito che, nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici (ipotesi invero statisticamente molto frequente, nel tipo di contenzioso in esame), non può ritenersi sufficiente – ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poichè al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poichè, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 1, in caso di incidenti stradali il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo – per ottenere l’integrale risarcimento del danno che allega di aver subito dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.

D’altronde, che il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all’art. 2052 c.c. non impedisca l’operatività della presunzione prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, è affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte, sul presupposto che l’art. 2054 c.c. esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione (cfr. in proposito: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2615 del 09/12/1970, Rv. 349007 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 778 del 05/02/1979, Rv. 396960 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2717 del 19/04/1983, Rv. 427614 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13016 del 09/12/1992, Rv. 479950 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5783 del 27/06/1997, Rv. 505537 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 200 del 09/01/2002, Rv. 551459 – 01 e Rv. 551460 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11780 del 06/08/2002, Rv. 556722 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3991 del 22/04/1999, Rv. 525614 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4373 del 07/03/2016, Rv. 639473 – 01; la conclusione che generalmente se ne è tratta è che vi sia una sorta concorrenza tra due diverse presunzioni, per cui se nessuno supera la presunzione di responsabilità a suo carico dimostrando, quanto al conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, quanto al proprietario dell’animale, il caso fortuito, il risarcimento andrebbe corrispondentemente diminuito; secondo alcune decisioni ciò avverrebbe in ragione di un concorso causale, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1; secondo altre, non occorrendo accertare in concreto il concorso causale del danneggiato, la diminuzione del risarcimento si determinerebbe in virtù di una “presunzione di pari responsabilità” derivante dagli artt. 2052 e 2054 c.c.; potrebbe, in verità, dubitarsi di tale ultima conclusione e ritenersi gravare comunque in primo luogo sul conducente del veicolo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, come in tutti i casi in cui il sinistro derivante dalla circolazione non abbia comportato uno scontro tra veicoli, in quanto la cd. “presunzione” di cui all’art. 2052 c.c. – che in realtà è un criterio di imputazione della responsabilità – non è equiparabile a quella di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, poichè essa – diversamente da quest’ultima – non riguarda la efficienza causale della condotta dell’animale a cagionare il danno, che si presuppone già dimostrata dal danneggiato, ma esclusivamente l’imputazione al proprietario o all’utilizzatore dell’animale della responsabilità per i danni da tale condotta cagionati; il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. in realtà opera in un momento logico successivo rispetto a quello dell’accertamento della concreta responsabilità dell’incidente stradale, per la quale opera invece certamente la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1; la specifica questione dei rapporti tra la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, e il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., peraltro, esula dal thema decidendum del presente giudizio; è sufficiente in questa sede ribadire che l’attore che chieda il risarcimento per danni che sostenga causati da un animale selvatico in occasione di un sinistro stradale, resta certamente soggetto alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, e quindi il conducente del veicolo ha l’onere di dimostrare non solo la precisa dinamica dell’incidente, ma anche di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, e che tale prova deve essere valutata con particolare rigore in caso di sinistro avvenuto in aree in cui era segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici).

6.2 L’oggetto della prova liberatoria.

Per quanto riguarda la prova liberatoria, il cui onere grava sulla Regione, essa deve consistere, ai sensi dell’art. 2052 c.c., nella dimostrazione che il fatto sia avvenuto per “caso fortuito” (la questione, come appena precisato, può venire in rilievo solo laddove l’attore abbia già dimostrato la effettiva e concreta dinamica dell’incidente e cioè che la condotta dell’animale selvatico appartenente a specie protetta di proprietà statale sia stata la causa, esclusiva o concorrente, del danno).

L’oggetto di tale prova liberatoria, è opportuno ribadirlo ancora una volta, non riguarda direttamente il nesso di causa tra la concreta e specifica condotta dell’animale ed il danno causato da tale condotta, che spetta esclusivamente all’attore dimostrare (esattamente come spetta esclusivamente all’attore dimostrare il nesso di causa tra la cosa ed il danno, nella analoga fattispecie regolata dall’art. 2051 c.c., ovvero quello tra condotta del dipendente e danno, nella fattispecie regolata dall’art. 2049 c.c.).

La Regione, per liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell’animale selvatico (recte: che l’attore abbia già provato essere stato causato dalla condotta dell’animale selvatico appartenente a specie protetta e di proprietà pubblica), dovrà dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purchè, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta (secondo la nozione di caso fortuito elaborata da questa stessa Corte, specie con riguardo alla analoga fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., in particolar modo con riguardo all’ipotesi di danni causati da anomalie dei beni demaniali di ampia estensione, in cui si dà rilievo alla concreta esigibilità da parte dell’ente pubblico di una condotta, nella manutenzione del bene e nell’adozione di misure di protezione degli utenti, tale da poter effettivamente impedire il danno; cfr. ad es., tra le più recenti: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16295 del 18/06/2019, Rv. 654350 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6326 del 05/03/2019, Rv. 653121 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1725 del 23/01/2019, Rv. 652290 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6703 del 19/03/2018, Rv. 648489 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7805 del 27/03/2017, Rv. 643822 – 01; per la analitica sistemazione delle problematiche relative agli oneri probatori implicati dall’art. 2051 c.c., si vedano anche: Cass., Sez. 3, Ordinanze nn. 2478, 2480 e 2482 del 01/02/2018, Rv. 647934 – 01; per quelle di cui all’art. 2049 c.c., si veda: Cass., Sez. U, Sentenza n. 13246 del 16/05/2019, Rv. 654026 – 01).

Laddove, in altri termini, la Regione dimostri che la condotta dell’animale, che sia stato dimostrato dall’attore essere la causa del danno, non era ragionevolmente prevedibile (avendo ad esempio assunto carattere di eccezionalità rispetto al comportamento abituale della relativa specie) o comunque, anche se prevedibile, non sarebbe stata evitabile neanche ponendo in essere le più adeguate misure di gestione e controllo della fauna selvatica e di cautela per i terzi, comunque compatibili con la funzione di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema cui la protezione della fauna selvatica è diretta, che naturalmente richiede che gli animali selvatici vivano in stato di libertà e non in cattività (come nel caso di comportamenti degli animali oggettivamente non controllabili, quali ad esempio il volo degli uccelli), andrà senz’altro esente da responsabilità.

Appare evidente alla Corte che, proprio nella corretta valutazione della prova liberatoria, comunque gravante sull’ente pubblico competente alla gestione e alla tutela della fauna selvatica, ma che deve tener conto delle innegabili peculiarità dei compiti da questo svolti (e della stessa funzionalizzazione alla tutela di beni comuni della previsione della proprietà pubblica della suddetta fauna) possono essere adeguatamente contemperate le contrapposte esigenze, in precedenza già evidenziate, di garantire al danneggiato una effettiva adeguata tutela dei propri diritti, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, uniformi sull’intero territorio nazionale, senza che ciò determini una incontrollata ed eccessiva espansione della responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche per danni del tutto sottratti alla possibilità di un adeguato ed effettivo controllo.

6.3 I rapporti tra gli enti titolari di funzioni (proprie o delegate) di gestione e tutela della fauna selvatica protetta e/o ai quali comunque spetta di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività.

Resta da prendere in esame l’ipotesi in cui, dimostrato dall’attore che il danno è stato causato dalla condotta dell’animale selvatico protetto di proprietà pubblica, non sia fornita dalla Regione la prova liberatoria, in quanto non risulti da questa dimostrato che il danno stesso non avrebbe potuto essere impedito neanche con l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna e di cautela per i terzi, ma risulti che le misure che avrebbero potuto impedire il danno avrebbero dovuto essere poste in essere non direttamente dalla stessa Regione, ma da un altro ente, cui spettava il relativo compito in quanto era stato a tanto delegato, ovvero trattandosi di competenze di sua diretta titolarità.

In base a quanto in precedenza esposto, va in primo luogo ribadito, ancora una volta, che una tale eventualità non modifica, in relazione all’azione posta in essere dal danneggiato, il criterio di individuazione del cd. legittimato passivo (cioè dell’ente cui è imputabile la responsabilità del danno sul piano sostanziale), che resta in ogni caso la Regione, quale ente cui spettano, in base alla Costituzione ed alle leggi statali, le competenze normative, le principali competenze amministrative, e comunque di programmazione, coordinamento e controllo, nonchè i connessi poteri sostitutivi, per la tutela e la gestione della fauna selvatica, e che quindi, sul piano civilistico, nell’ottica della funzione che svolge la stessa previsione della proprietà pubblica di detta fauna, rappresenta il soggetto che “la utilizza” allo scopo di realizzare il fine di utilità collettiva della protezione dell’ambiente e dell’ecosistema e, quindi, che risponde nei confronti dei terzi dei danni eventualmente causati dagli animali selvatici, ai sensi dell’art. 2052 c.c..

Laddove peraltro, il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, cui spettava il compito (trattandosi di funzioni di sua diretta titolarità ovvero delegate) di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente e, naturalmente, potrà anche, laddove lo ritenga opportuno, chiamarlo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa (in tal caso l’onere di dimostrare l’assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà naturalmente avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell’ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari).

Nell’ambito dell’azione di rivalsa tra la Regione e l’ente da questa indicato come effettivo responsabile potranno quindi assumere rilievo tutte le questioni inerenti al trasferimento o alla delega di funzioni alle Province (ovvero eventualmente ad altri enti) e l’effettività della delega stessa (anche sotto il profilo del trasferimento di adeguata provvista economica, laddove ciò possa ritenersi rilevante in tale ottica), così come tutte le questioni relative al soggetto effettivamente competente a porre in essere ciascuna misura di cautela (ivi incluse le segnalazioni di pericolo per gli utenti nelle strade ed in altre aree eventualmente gestite da specifici enti, pubblici o privati, con la eventuale necessità che, laddove il pericolo da segnalare non potesse essere noto all’ente gestore, gli fosse preventivamente segnalato dall’autorità competente).

Tali questioni, che di frequente si pongono nei giudizi di responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica, non saranno quindi di regola direttamente rilevanti ai fini della tutela del danneggiato che abbia agito nei confronti dell’ente regionale, che da questo potrà in ogni caso ottenere il risarcimento che gli spetta, ma esclusivamente nell’ambito dei rapporti interni tra gli enti cui è devoluta la complessiva funzione di gestione e tutela della stessa fauna e ai quali comunque spetta di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività.

Anche in tal modo, ritiene la Corte, risulteranno adeguatamente contemperate le opposte esigenze di garantire una adeguata ed effettiva tutela ai diritti del danneggiato, in base ai principi generali del diritto civile uniformi su tutto il territorio nazionale, e di individuare l’ente pubblico (o privato) effettivamente responsabile del danno, sul quale dovrà in definitiva gravare l’onere economico del risarcimento.

7. Esame del motivo di ricorso avanzato in concreto, sulla base della ricostruzione esposta.

Come si è premesso, nella specie non vi sono censure specifiche in ordine all’affermazione, operata dai giudici di merito, della sussistenza di una condotta colposa, causalmente rilevante in relazione ai danni subiti dall’attore, addebitabile in concreto proprio al soggetto pubblico titolare delle funzioni di controllo e gestione della fauna selvatica nell’area in cui è avvenuto l’incidente, onde, a fortiori, deve ritenersi senz’altro dimostrato il nesso causale tra la condotta dell’animale selvatico oggetto di proprietà pubblica e i suddetti danni.

L’azione risulta del resto proposta proprio contro la Regione Abruzzo, quindi nei confronti dell’ente legittimato passivo sul piano sostanziale per la responsabilità nei confronti dei terzi, ai sensi dell’art. 2052 c.c., secondo la ricostruzione sistematica sin qui esposta, e la Regione convenuta si è limitata a contestare la propria legittimazione (sempre sul piano sostanziale), indicando la Provincia come ente a suo avviso effettivamente responsabile, ma non ha provveduto ad esercitare alcuna azione di rivalsa nei confronti di detto ente.

Sulla base di quanto sin qui esposto, dunque, la decisione impugnata va certamente confermata, con le precisazioni esposte nella presente sentenza, sulla base dei seguenti principi di diritto:

ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità”.

8. Conclusioni.

Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione dell’oggettiva incertezza interpretativa sussistente in ordine alle questioni giuridiche esaminate.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2020

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