Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25739 del 22/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13085-2019 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI SETTEMBRINI, 28, presso studio dell’avvocato ULPIANO MORCALLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DOBANK SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI PARIOLI, 74 SC, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PISELLI, che rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

T.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 920/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA Dl FLORIO.

RITENUTO

Che:

1. M.P. ricorre, affidandosi a sei motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, riformando la pronuncia del Tribunale di Modena, aveva accolto la domanda con la quale era stata proposta dalla Do Bank, in qualità di mandataria della Unicredit Spa, l’azione revocatoria finalizzata alla dichiarazione di inefficacia dell’atto di compravendita di un immobile di proprietà dei coniugi T.D. ed Tr.An., in attuazione di un preliminare trascritto, ritenendo sussistenti i presupposti di cui all’art. 2901 c.c.

1.1 Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale aveva ritenuto fondate le ragioni dell’istituto appellante che aveva dedotto che:

a. il trasferimento del bene era stato compiuto in pregiudizio delle ragioni della banca che era creditrice, nei confronti di entrambi i venditori, di ingenti somme derivanti da ingiunzioni definitive ed esecutive;

b. entrambi i venditori si erano costituiti fideiussori della società Impredil 2000 SCARL per vari importi presso la banca, fino alla concorrenza di Euro 320.000,00.

c. il T. aveva prestato fideiussione anche in favore di un’altra società in sofferenza, ed erano rimaste prive di riscontro le richieste di rientro inviate;

d) T. e Tr., coniugi, avevano costituito un fondo patrimoniale dopo 25 anni di matrimonio, fatto ritenuto sospetto;

e) l’immobile alienato era l’unico di loro proprietà;

f) il M. aveva competenze professionali qualificate tali per cui non poteva sfuggirgli, al momento dell’acquisto, né la trascrizione del fondo patrimoniale, né quella della domanda revocatoria ordinaria di un’altra banca per una separata linea di credito in sofferenza.

2. La parte intimata ha resistito con controricorso e memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, poiché il giudice d’appello aveva accolto la domanda revocatoria pur in assenza di pregiudizio delle ragioni creditorie non configurabile a fronte della garanzia reale sul bene compravenduto accedente ai crediti nei confronti di entrambi i debitori.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., commi 1 e 3, atteso che il giudice d’appello in difformità rispetto allo ius receptum aveva dato luogo alla revoca del contratto definitivo di compravendita senza accertare il carattere fraudolento del preliminare e limitandosi, invece, a ravvisare la conoscenza da parte dei promittenti alienanti e del promissario acquirente del pregiudizio asseritamente derivante ai creditori dei primi.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., n. 4, della nullità della sentenza conseguente all’error in procedendo, per violazione dell’art. 112 c.p.c., – atteso che il giudice d’appello si era pronunciato soltanto sulla sussistenza della scienza damni al momento della stipulazione del contratto preliminare, pur in assenza di allegazione in tal senso da parte della banca la quale aveva, invece, affermato l’esistenza dell’elemento soggettivo della tutela revocatoria soltanto con riguardo al successivo momento della trascrizione del contratto preliminare del quale l’istituto di credito si era poi limitato a valorizzare la prossimità temporale rispetto alla stipulazione del contratto definitivo soltanto con la memoria illustrativa depositata in corso di giudizio, incorrendo, con ciò, in una inammissibile mutatili libelli.

4. Con il quarto ed il quinto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente orienta, ancora:

a. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, atteso che il giudice d’appello erroneamente aveva “annesso rilevanza” allo stato soggettivo del promissario acquirente, con riferimento ad epoca successiva alla stipulazione del contratto preliminare equiparandola a quello in cui si trovava al momento della sua trascrizione.

b. la violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, nn 1 e 2, atteso che la Corte territoriale ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo della fattispecie revocatoria, aveva dato rilevanza a circostanze di fatto non suscettibili di essere sussunte nella nozione “normativa” della scienza damni.

6. Con il sesto motivo, infine, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza in relazione alla statuizione sulle spese processuali e defensionali, derivante dall’error in procedendo consistito nella condanna al pagamento delle spese predette ad esclusivo carico del ricorrente, anziché a carico parziario o solidale degli altri appellati soccombenti, in violazione dell’art. 97 c.p.c.

7. I primi cinque motivi sono strettamente interconnessi.

7.1. Con il primo, il secondo, il quarto ed il quinto, infatti, viene dedotta la violazione e falsa interpretazione – in relazione a profili parzialmente sovrapponibili – dell’art. 2901 c.c., comma 1; con il terzo, il ricorrente lamenta, con riferimento alla stessa norma, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe, in thesi, pronunciato in ordine alla sussistenza della scientia damni con riferimento ad una circostanza dedotta soltanto con la “memoria illustrativa” depositata nel corso del giudizio di primo grado e cioè la prossimità temporale fra la stipula del preliminare e la sua trascrizione – avallando, pertanto, una inammissibile mutatio libelli.

2. Le censure sono tutte inammissibili.

7.3. Si osserva, infatti, che esse – in relazione al complesso delle argomentazioni prospettate – si risolvono in una critica alla motivazione non più consentita, seppur proposta attraverso il vizio di violazione di legge: viene infatti contestata l’interpretazione resa dalla Corte territoriale in relazione alle emergenze processuali, laddove su di esse è stato articolato un percorso argomentativo congruo e logico, ben al di sopra della sufficienza costituzionale ed aderente ai principi affermati da questa Corte in materia.

7.4. La Corte territoriale, infatti, dopo aver premesso che la banca aveva fornito fa prova del credito e dell’anteriorità di esso all’atto dispositivo, ha valutato in premessa gli elementi dai quali poteva desumersi la piena consapevolezza dei disponenti del pregiudizio ad essa arrecato (cfr. pag. 4 primo cpv della sentenza impugnata in cui si evidenzia, a sostegno di tale convincimento: a) l’esistenza di due diversi crediti nei confronti di entrambi i convenuti ed in altro portato dal solo T., b) la costituzione del bene in fondo patrimoniale; c) la stipula del preliminare di vendita, nonostante la trascrizione di altra azione revocatoria proposta dalla stessa banca in relazione ad un credito diverso; d) l’esistenza, agevolmente constatabile soprattutto dal ricorrente, in ragione delle sue competenze professionali, che sullo stesso bene gravavano già due ipoteche una volontaria e l’altra di garanzia data dal solo T.), precisando anche, rispetto alla eccezione sollevata in relazione alla (non) unicità del bene di proprietà dei venditori, che la circostanza non corrispondeva al vero in quanto l’immobile oggetto dell’azione derivava da una fusione, per diversa distribuzione di spazi interni” di originarie particelle corrispondenti a costruzioni limitrofe ed unificate, con variazione catastale antecedente alla vendita.

7.5. Rispetto a tali argomentazioni, il primo motivo lamenta che non era stato valutato il pregiudizio che la compravendita poteva arrecare alle ragioni creditorie, pregiudizio che invece è stato esattamente identificato sia nell’esigenza, tutelata dall’azione proposta, di evitare qualsiasi diminuzione della garanzia patrimoniale esistente, sia nella specificazione che esisteva un interesse specifico nel rendere aggredibile anche la quota del bene, pari alla metà, di spettanza della Tr. (cfr. pag. 5 terzo cpv).

7.6. tanto premesso, il principio di diritto che il ricorrente chiede a questa Corte di enunciare (“L’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. presuppone necessariamente un pregiudizio alla garanzia creditoria rispetto ai rapporti obbligatori che vengono indicati come presupposto ed oggetto dell’esigenza di tutela della garanzia creditoria: ne deriva che si pone in violazione di detta norma la pronuncia che, come nel caso di specie, rechi la statuizione revocatoria in considerazione di asserito pregiudizio derivante al creditore con riferimento a rapporti obbligatori diversi rispetto a quelli dedotti ai fini della tutela – ai quali accedano, peraltro, garanzie ipotecarie – per di più in fattispecie in cui la cessione dell’immobile di proprietà debitoria non era obiettivamente suscettibile di determinare pregiudizio alle ragioni creditorie, stante la pregressa costituzione del bene in fondo patrimoniale, non attinta dalla pronuncia revocatoria”: cfr pag. 11 del ricorso) non ha alcuna correlazione con la motivazione resa: la censura, infatti, non si duole della revocatoria esperita, ma dei riferimenti a situazioni creditorie diverse da quella a tutela della quale l’azione è stata proposta.

7.7. Il ricorrente, in sostanza, assume che la Corte non avrebbe dato rilievo ad un pregiudizio arrecato alla creditrice riguardo a tali diverse situazioni, ma omette ti considerare che i giudici d’appello hanno affermato, proprio nella parte che egli dichiara di non comprendere, che il pregiudizio si verificava con riferimento al credito, a conservazione della garanzia del quale la revocatoria è stata esercitata.

7.8. Rispetto a ciò, la censura è articolata in modo assertivo e risulta meramente contrapposta alla logica valutazione della congerie di elementi che ha portato a Corte territoriale ad affermare la sussistenza del pregiudizio della garanzia creditoria che il ricorrente si limita a negare.

8. Il secondo motivo, ugualmente, mostra di non aver colto che la Corte ha esattamente ritenuto che l’accertamento del presupposto dell’eventus damni doveva essere svolto al momento della stipula del definitivo, anche se l’elemento soggettivo andava valutato in relazione alla data di stipula del preliminare, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 17365/2011; Cass. 15215/2018; Cass. 17067/2019).

9 In relazione a ciò, anche le censure contenute nel terzo e quarto motivo, riferite alla nullità della motivazione per inammissibile mutatio libelli, mostrano una disattenta lettura della sentenza che ha affrontato proprio la specifica questione (cfr. pag. 4 u. cpv) con ciò applicando – senza alcuna rilevanza decisiva del contenuto della memoria illustrativa – il fondamentale principio “iura novit curia”.

10. Con il quinto motivo, ci si duole della rilevanza che la Corte ha assegnato a circostanze di fatto allegate in relazione all’elemento soggettivo: la censura, parzialmente sovrapponibile al primo motivo, si risolve in una critica della motivazione ed è evidentemente inammissibile.

10.1. infatti, con essa il ricorrente deduce ipotetici vizi di sussunzione con i quali maschera la sollecitazione di una indagine sull’apprezzamento del fatto: quelli che indica come fatti erroneamente sussunti, in realtà, sono fatti c.d. secondari rispetto ai quali la Corte ha argomentato in via presuntiva.

10.2. L’errore di sussunzione poteva, infatti, dedursi con riferimento ad ognuno di tali fatti, ma non con riferimento all’art. 2901 c.c., bensì in relazione all’art. 2729 c.c. e con le modalità idonee a configurare la violazione della norma (cfr., al riguardo, Cass. 1785/2018 in motivazione).

1.1. infine, anche il sesto motivo è inammissibile.

11.1. La censura, infatti, è del tutto generica: non è chiaro se il ricorrente si dolga della mancata condanna solidale (art. 97 c.p.c., comma 1, seconda proposizione) o della mancata condanna di ciascuna parte, in proporzione al rispettivo interesse nella causa (art. 97, comma 1, prima proposizione).

11.2. In tale situazione, non è possibile individuare neanche l’oggetto dell’impugnazione che, nel secondo caso, sarebbe inammissibile, non essendo rappresentato un interesse personale rispetto ad essa, mentre in relazione al primo deve sottolinearsi che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente consolidata nel ritenere che “l’apprezzamento del giudice di merito circa l’opportunità di condannare in solido più parti aventi comune interesse al pagamento delle spese processuali, costituisce una valutazione di fatto incensurabile in Cassazione” (cfr. ex multis, Cass. 1010/1972; Cass. 2265/1974): con la conseguenza che tale potere risulta insindacabile in questa sede.

11.3. Vale comunque la pena rilevare che la mancata pronuncia sulle spese ben può essere interpretata come compensazione nei confronti dei convenuti T.- Tr. per interesse minimo all’impugnazione, vista la loro mancata resistenza sia in primo che in secondo grado, ratio con la quale il ricorrente non si è confrontato, con ulteriore profilo di inammissibilità della censura.

12. In conclusione, il ricorso è complessivamente inammissibile.

13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

14. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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