Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.1166 del 17/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 31064/2019 proposto da:

C.E.C., rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE TRIFIRO’, BONAVENTURA MINUTOLO, e PAOLO ZUCCHINALI, e domiciliato in Roma presso lo Studio dei medesimi, Piazza Mazzini n. 27;

– ricorrente –

contro

AIG EUROPE SA – RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati DAVID MARIA MARINO, e MARCO DIMOLA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo Studio dei medesimi, via dei Due Macelli, n. 66;

– controricorrente –

e nei confronti di:

ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY – RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati DAVID MARIA MARINO e MARCO DIMOLA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo Studio dei medesimi, via dei Due Macelli, n. 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3095/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata in data 11 LUGLIO 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/10/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

C.E.C., all’epoca dei fatti membro del Consiglio di Amministrazione e Presidente del Comitato per il Controllo e i Rischi di Telecom Italia, si rivolgeva ad AIG Europe Limited – Rappresentanza Generale per l’Italia ed a Zurich Insurance PLC, coassicuratrici, rispettivamente, per le quote del 60% e del 40%, per essere dalle stesse indennizzato, nella veste di soggetto assicurato dalla polizza stipulata da Telecom Italia, delle spese legali sopportate per la sua difesa in relazione ad alcuni procedimenti che lo avevano coinvolto: i) quello attivato dalla CONSOB – che gli imputava di aver violato la disposizione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 bis, comma 1, lett. b), per aver divulgato, nel corso di un’intervista rilasciata al *****, informazioni privilegiate – per il quale chiedeva un indennizzo di Euro 124.196,00; ii) quello svoltosi dinanzi al Tar Lazio per l’annullamento della Delib. Consob 21 giugno 2005, n. 15086, recante disposizioni organizzative e procedurali relative all’applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell’Ufficio Sanzioni amministrative, per il quale la richiesta di indennizzo ammontava ad Euro 58.198,72; iii) quello dinanzi al Tribunale penale di Roma per il reato di cui agli artt. 110,11 c.p.v., c.p., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 184, comma 1, lett. b, ove si erano costituite parti civili tanto Telecom Italia quanto la Consob, per cui domandava Euro 193.232,00.

Fallito ogni tentativo di ottenere in via stragiudiziale quanto richiesto, C.E.C. citava, dinanzi al Tribunale di Milano, le evocate compagnie coassicuratrici, le quali, costituitesi in giudizio, eccepivano, preliminarmente, l’inoperatività della copertura assicurativa, per non essere i procedimenti subiti dall’attore funzionalmente collegati a fatti gestionali nella sua qualità di membro del Consiglio di Amministrazione e di Presidente del Comitato per il Controllo e i Rischi di Telecom Italia, nonché la prescrizione del diritto invocato; assumevano che l’attore avrebbe dovuto chiedere il preventivo assenso delle Compagnie e aggiungevano che egli aveva perduto il diritto all’indennizzo, non avendolo chiesto nei termini di cui all’art. 1915 c.c..

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11136/2017, rigettava la domanda dell’attore e lo condannava al pagamento delle spese di lite, ritenendo che il fatto illecito dal quale avevano avuto origine le spese legali, oggetto della richiesta di indennizzo, non fosse ricompreso tra quelli previsti dalla lett. R) del contratto di assicurazione, riguardanti esclusivamente le condotte, anche di natura illecita, poste in essere dagli amministratori per conto e nell’interesse di Telecom Italia. Nell’intervista rilasciata telefonicamente al *****, C.E.C. aveva agito nella veste di amministratore, avendo divulgato informazioni che aveva appreso proprio in ragione di tale sua carica – relative alla necessità di un aumento di capitale di Telecom Italia, per deliberare il quale si diceva che era stata organizzata una cena tra Bernabe’, presidente, all’epoca, del CdA, con i consiglieri di Telecom Italia, e di una svalutazione dell’avviamento iscritto nel bilancio consolidato in misura prossima a due miliardi di Euro – ma non aveva operato per conto della Telecom, come comprovato tanto dal fatto che, subito dopo l’intervista, Telecom era stata costretta a smentire, con un comunicato, che fosse all’ordine del giorno un aumento del capitale sociale, allo scopo di arginare l’andamento negativo del titolo che numerose agenzie di stampa avevano posto in relazione con l’ipotesi di ricapitalizzazione adombrata nell’articolo pubblicato dal *****, quanto da ciò che era emerso dalla trascrizione dell’intervista telefonica: suggerimenti e moniti rivolti da C.E.C. al giornalista su quanto non era opportuno venisse pubblicato e richieste di favori personali.

C.E.C. impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Corte d’Appello di Milano: i) sostenendo che la clausola R, parte II della polizza, contenente le definizioni, avrebbe determinato una limitazione della responsabilità a favore delle assicuratrici, giacché andava letta in combinato disposto con quanto previsto dalla parte I, destinata a determinare l’oggetto dell’assicurazione, e, pertanto, avrebbe dovuto essere approvata specificamente per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 c.c.; ii) lamentando che il Tribunale non avesse colto il significato dell’espressione “per conto o nell’interesse del contraente” e non avesse tenuto conto dell’intera conversazione intercorsa con il giornalista, dalla quale, a suo avviso, traspariva una personale attenzione per l’andamento della società; iii) invocando l’interpretazione della clausola R a favore dell’assicurato, ex artt. 1370 e 1375 c.c., in considerazione dell’art. 166 del Codice delle assicurazioni, secondo cui il contratto va redatto in modo chiaro ed esauriente, e degli artt. 5 e 31 del regolamento ISVAP del 16 ottobre 2006, n. 5.

Le appellate escludevano che la polizza fosse standardizzata, negavano che dovesse essere trovare applicazione l’art. 1341 c.c., non essendo Telecom un contraente debole, sostenevano che la clausola R non contenesse una limitazione di responsabilità, bensì delimitasse l’oggetto del contratto.

La Corte d’Appello di Milano, con la decisione n. 3095/2019, oggetto dell’odierno ricorso, riteneva che C.E.C. non avesse fornito la prova, su di lui incombente, della mancata predisposizione unilaterale della polizza e che, al contrario, emergessero proprio dal contratto univoci indizi di segno contrario; negava che la clausola R contenesse una limitazione della responsabilità in favore delle compagnie assicuratrici, trattandosi di una clausola volta a delimitare l’oggetto del contratto; escludeva che il Tribunale avesse male interpretato la suddetta clausola e che essa avesse un contenuto ambiguo; riteneva dimostrato, proprio tramite la trascrizione della conversazione telefonica sollecitata dal giornalista, che l’appellante non avesse agito per scopi riconducibili alla carica, ma nella piena consapevolezza di violare i doveri di riservatezza e di fedeltà che il ruolo gli imponeva, e addirittura che avesse operato in contrasto con gli interessi della società; infine, escludeva che il giudice di prime cure avesse sovrapposto erroneamente l’assicurazione per conto di chi spetta al contratto a favore di terzo, giacché il Tribunale si era limitato ad osservare che l’attore non aveva agito nell’interesse della società, del cui consiglio di amministrazione faceva parte, ma non al fine di identificare l’interesse del contraente alla stipulazione del contratto, bensì per sottolineare che l’interesse della società non potesse spingersi, pure in presenza di un contratto per conto altrui, ad assicurare protezione ad un amministratore che avesse agito al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni, rappresentando l’agire in funzione della carica o comunque al fine di tutelare l’interesse della mandante elemento costitutivo della tipologia contrattuale oggetto della controversia.

C.E.C. ricorre, avvalendosi di cinque motivi, illustrati con memoria, per la cassazione della suddetta sentenza.

Resistono con controricorso AIG Europe SPA e Zurich Insurance Public Limemited Company.

Il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. Giovanni Battista Nardecchia, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Si dà preliminarmente atto che, per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte avrebbe dovuto procedere in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.

Tuttavia, essendo sopravvenuto del D.L. n. 121 del 2021, art. 7, comma 2, la trattazione in udienza pubblica è divenuta effettiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione degli artt. 2697- 2729 c.c., art. 1341 c.c., commi 1 e 2, nonché del D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 166,185 e 187, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo investe la statuizione con cui la Corte territoriale ha escluso che il contratto di assicurazione fosse standardizzato, in ragione della presenza di “clausole che, in quanto intese ad estendere o circoscrivere la copertura a dirigenti e manager di Telecom Italia SPA in relazione a specifiche condizioni soggettive dei medesimi (…) rivelano piuttosto la esistenza di una contrattazione a monte, atta a soddisfare specifiche esigenze della contraente, con la conseguenza che proprio dal contratto emergono semmai univoci indizi di segno contrario alla prospettazione dell’appellante, per vero difficilmente sostenibile anche alla luce delle qualità (soggettive ed oggettive) della contraente”.

1.1. Le censure che il ricorrente formula sono plurime e meritano di essere trattate disgiuntamente.

1.2. Il ricorrente contesta che dalle prove raccolte in giudizio sia emerso che tra le coassicuratrici e Telecom Italia fosse intercorsa una trattativa per la definizione del contenuto della polizza. A supporto di tale suo convincimento adduce una serie di elementi – tutti riferiti come già richiamati alle pagine 16 e ss. della conclusionale del giudizio di appello – dimostrativi, a suo parere, della mancanza di predisposizione unilaterale della polizza, che la sentenza impugnata avrebbe omesso di esaminare: i) l’intestazione; ii) l’avvertimento, contenuto nella prima pagina, e rivolto al contraente di leggere attentamente ed integralmente la polizza; iii) l’inserimento nella polizza, dopo le prescrizioni relative alla delimitazione dell’oggetto del contratto, di un glossario, deputato ad esplicare il significato dei termini utilizzati nella prima parte; iv) la previsione testuale “il sottoscritto dichiara di aver letto e di accettare le condizioni di assicurazione…” e quella “il contraente dichiara di aver letto l’informativa redatta ai sensi del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 175, art. 123 e ai sensi delle disposizioni della circolare ISVAP n. 1303 del 2 giugno 1996”.

1.3. Non solo: la Corte territoriale si sarebbe posta contro la giurisprudenza di legittimità – a mente della quale “quando in un contratto stilato su schemi precostituiti da una parte si rinvenga una clausola particolare che risale all’iniziativa o alla collaborazione della controparte, tale modificazione non vale ad escludere che trattasi pur sempre di un contratto per adesione” – là dove ha dato rilievo alle clausole H-14 e sub J, le quali non fornirebbero, ad avviso del ricorrente, la prova che tutte le clausole del contratto, ed in particolare quella di cui alla lettera R, fossero state oggetto di negoziazione.

1.4. La sentenza impugnata avrebbe altresì erroneamente ritenuto che Telecom non potesse avvalersi del disposto dell’art. 1341 c.c., non essendo un contraente debole, giacché ai fini dell’applicazione della disciplina prevista dalla norma indicata non è affatto richiesto che l’aderente sia un contraente debole.

1.5. Inoltre, non avrebbe attribuito rilievo al fatto che, ai sensi dell’art. 185 Codice delle assicurazioni, l’obbligo informativo avrebbe dovuto essere assolto anche nei confronti dell’assicurato, venendo in considerazione un contratto in cui vi era dissociazione tra contraente e assicurato.

1.7. Ne’ sarebbe stato accertato l’adempimento da parte delle compagnie assicuratrici dell’obbligo di cui all’art. 166 Codice delle assicurazioni che, conformemente alle norme comunitarie sulla trasparenza delle condizioni di assicurazione, data la marcata tecnicità della materia assicurativa, impone la marcatura delle clausole della polizza assicurativa, per soddisfare la necessità di richiamare l’attenzione sul loro contenuto, sì da renderle efficaci nei confronti dell’altro contraente.

1.8. Ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata è quella di avere esonerato le compagnie assicuratrici dall’onere di provare che l’evento dannoso per cui è causa non rientrava nel rischio oggetto della copertura assicurativa in base alla clausola limitativa della responsabilità che era stata negoziata da Telecom Italia.

1.9. Il motivo non merita accoglimento, in tutte le sue articolazioni, per le ragioni di seguito indicate.

1.10. Va rilevato che la Corte territoriale (pagina 6 della sentenza) ha affermato che l’appellante, sul quale incombeva l’onere di provare la standardizzazione del contratto (cfr. amplius infra p. 2.6), “non ha offerto alcuna tempestiva deduzione né offerta di prova; prova che – diversamente da quanto sostenuto dall’appellante medesimo – non emerge inequivocabilmente ex actis (…)”. Dalla valutazione delle prove tempestivamente prodotte dal ricorrente la Corte territoriale ha, dunque, tratto una conclusione diversa da quella da quest’ultimo auspicata e cioè che da esse non emergesse inequivocabilmente la mancanza di una trattazione a monte della stipulazione della polizza per cui è causa.

Il riferimento alla tempestività delle deduzioni e delle offerte di prova parrebbe indicare che la Corte territoriale abbia ritenuto intempestiva proprio la deduzione degli elementi indiziari fatta con la conclusionale.

Il ricorrente, però, non si misura con tale statuizione, nel senso che non contesta in alcun modo la tempestività della deduzione probatoria offerta con la conclusionale in appello – ad esempio, invocando che si trattava di rilevazione di fatti già esistenti in atti, perché relativi al contenuto della polizza, e concernenti una questione rilevabile d’ufficio, ai sensi di Cass. Sez. Un., n. 26242 del 2014. Sotto tale profilo, pertanto, la censura è inammissibile.

1.11. Quand’anche si ritenesse il riferimento alla tempestività di mero stile, cioè non specificamente riferito dalla sentenza alla tardiva deduzione degli elementi indiziari fatta con la conclusionale, la censura risulterebbe parimenti inammissibile.

La violazione dell’art. 2729 c.c., di cui al p. 1.1., è prospettata senza che ne ricorrano i presupposti, siccome individuati dalla giurisprudenza di questa Corte. Il ricorrente avrebbe dovuto denunciare che il giudice di merito aveva fondato la presunzione su circostanze non gravi, né precise e concordanti; dovendosi ricordare che la gravità si rifà a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis, che facciano ritenere probabile che dato un fatto noto A si sia verificato il fatto ignoto B, la precisione è indice della probabilità che la conoscenza del fatto noto A indirizzi verso il fatto ignoto B e non anche verso un altro, o altri fatti, la concordanza indica che alla conoscenza del fatto ignoto si è giunti in modo concordante con altri elementi probatori (Cass., Sez. Un., 24/01/2018, n. 1785, alla cui motivazione nei paragrafi 4 e ss. Si rinvia).

Una censura di contenuto diverso e/o altrimenti argomentata, come in questo caso, si risolve in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una alternativa ricostruzione della stessa quaestio che colloca la censura su un terreno che non è quello dell’error iuris.

Il ragionamento inferenziale operato dalla Corte territoriale, che ha fatto leva sul contenuto specifico di alcune clausole, resiste, infatti, alla critica del ricorrente, il quale oppone alle circostanze indiziarie su cui la sentenza ha fondato il ragionamento presuntivo altre circostanze che, a suo dire, non sarebbero state esaminate e che, comunque, sulla scorta di un suo diverso, personale apprezzamento porterebbero ad escludere l’avvenuta negoziazione della polizza assicurativa.

Va osservato che il ricorrente non ha argomentato in alcun modo circa la ragione per la quale le circostanze asseritamente non esaminate dalla Corte territoriale avrebbero dovuto portare ad una conclusione opposta rispetto a quella assunta. Va osservato che quand’anche esse fossero idonee a dimostrare la predisposizione da parte di uno dei contraenti del contenuto contrattuale, ciò non sarebbe stato sufficiente ad escluderne l’avvenuta negoziazione, giacché per applicare la disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., invocata dal ricorrente, sarebbe stato necessario dimostrare che la conclusione del contratto da parte di Telecom era avvenuta senza che detta società avesse avuto alcuna possibilità di incidere sul regolamento contrattale, avendo avuto solo la scelta del se stipularlo o meno. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mera attività di formulazione del regolamento contrattuale è da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, non potendo considerarsi unilateralmente predisposte non solo le condizioni contrattuali assunte a seguito e per effetto di trattative svoltesi tra le parti, ma anche quelle clausole contrattuali predisposte da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad una singola, specifica vicenda negoziale ed a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto (Cass. 23/05/2006, n. 12153; Cass. 10/07/2013, n. 17073; Cass. 28/02/2019, n. 5971; Cass. 28/09/2020, n. 20461).

1.12. Il che travolge anche il tentativo di negare che quello intercorso tra le coassicuratrici e Telecom Italia fosse un contratto per adesione in ragione del fatto che non era stato dimostrato che tutte le clausole, e non solo quelle H14 e 315, fossero state oggetto di trattativa individuale.

1.13. Anche l’ulteriore sforzo di confutare il ragionamento della Corte territoriale, affermando che le clausole H14 e 315 non forniscono alcuna reale dimostrazione che le clausole generali non debbano ritenersi predisposte dalle coassicuratrici non va a segno, perché, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, “per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva”, essendo, invece, “sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'”id quod plerumque accidit” (ex plurimis cfr. Cass. 26/07/2021, n. 21403).

1.14. Quanto alla censura di cui al p. 1.3., non risulta che la Corte territoriale abbia escluso l’applicabilità degli artt. 1341 e 1342 c.c., al contratto di assicurazione per cui è causa per avere negato che Telecom avesse i caratteri del contraente debole, essendosi limitata a ritenere difficilmente sostenibile, anche alla luce delle qualità soggettive e oggettive di Telecom Italia che essa non avesse potuto negoziare il contenuto della polizza (pagina 6 della sentenza). Tanto basta a far ritenere inammissibile la censura, perché per denunciare un vizio della sentenza è necessario quanto meno individuarlo e fornirne la rappresentazione (Cass. 16/04/2021, n. 10128).

1.15. Le censure riferite ai p.p. 1.4 e 1.5 prestano il fianco ad un rilievo di novità delle questioni prospettate, stante che la sentenza impugnata nulla dice a riguardo. Va osservato, peraltro, che dal p. IV) del ricorso, pagine 12 e ss., destinato ad illustrare l’appello proposto avverso la decisione di prime cure, non emerge che dell’accertamento della violazione dell’obbligo di cui all’art. 185 Codice delle assicurazioni fosse stato investito il giudice d’appello; e la asserita violazione dell’art. 166 Codice assicurazioni risulta dedotta in appello sotto un profilo diverso, cioè solo allo scopo di dimostrare che le coassicuratrici avevano violato l’obbligo di redigere il contratto di assicurazione in modo chiaro e non già allo scopo di far rilevare che il contratto stipulato non era stato oggetto di trattativa. Deve, quindi, applicarsi il consolidato orientamento di questa Corte e ritenere le censure inammissibili, perché i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 02/11/2018, n. 28060).

1.16. In ordine all’ultima censura su cui si basa il primo motivo di ricorso, mette conto ribadire che la predisposizione da parte di uno dei contraenti di condizioni generali di contratto è fatto costitutivo della pretesa di chi ha interesse a far valere l’inefficacia di una clausola ritenuta vessatoria, in mancanza di specifica approvazione per iscritto, sicché il ricorrente ha l’onere di provare la ricorrenza di quella particolare fattispecie contrattuale, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice per far valere, in mancanza dei presupposti, l’inefficacia di quella clausola (cfr. Cass. 30/09/2005, n. 19212 e successive applicazioni, in particolare, la recente Cass. 25/05/2021, n. 14363). Alla sentenza impugnata non può essere, dunque, rimproverato di essere incorsa in errore per aver ritenuto che sull’appellante, odierno ricorrente, incombesse l’onere di provare, ex art. 2697 c.c., che il contratto fosse stato unilateralmente predisposto.

2. Con il secondo motivo il ricorrente inputa alla sentenza impugnata la violazione del disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, là dove la sentenza afferma che una società di capitali non potrebbe avvalersi del disposto dell’art. 1341 c.c.; che tutte le clausole della polizza sarebbero state oggetto di negoziazione specifica tra le parti contraenti, come emerso da due indizi colti nelle clausole sub H14 e J5 della polizza.

La censura riguarda profili già oggetto del motivo precedente, prospettati, in questo caso, sotto l’aspetto motivazionale: la sentenza impugnata sarebbe meramente assertiva quanto all’idoneità delle clausole H14 e 35 di dimostrare l’avvenuta trattativa sul contenuto del contratto e non avrebbe spiegato perché non erano state prese in considerazione le prove documentali indicate alle pagine 16 e ss. della conclusionale in appello.

Il motivo è inammissibile, perché il vizio motivazionale dedotto è la breccia attraverso cui il ricorrente tenta di ottenere una inammissibile rivalutazione delle questioni fattuali e quindi un diverso esito della decisione.

Oltre a rinviare a quanto già argomentato in ordine all’assenza di decisività dei fatti asseritamente omessi, va ribadito che non può ammettersi una censura che investa la motivazione della sentenza impugnata, traendo argomenti dal confronto tra la motivazione e le risultanze processuali. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).

3.. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la “Violazione ed errata applicazione degli artt. 1321,1888 e 1917,1362 e 1363 c.c., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La censura riguarda la questione relativa alla delimitazione oggettiva del rischio, alla luce della nozione rilevabile dagli artt. 1321-1888 e 1917 c.c., anche con l’ausilio degli strumenti interpretativi (artt. 1362 e 1363), tenuto conto del principio più volte ribadito da questa Corte, secondo cui quando in una polizza una clausola generale precisa l’oggetto della copertura assicurativa, una successiva clausola della stessa polizza, quale che sia la rubrica che la contiene, che limiti la garanzia rispetto alla più ampia portata della clausola generale (deputata a stabilire l’oggetto della copertura) costituisce una limitazione della responsabilità della Compagnia e non del rischio, donde la necessità della specifica approvazione del contraente-assicurato ex art. 1341 c.c., commi 1 e 2.

In particolare, secondo la prospettazione del ricorrente, sarebbe errata la statuizione con cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la clausola di cui al punto R, qualificando il concetto di illecito, definisse l’oggetto del contratto, perché, come già rilevato, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto che alla definizione degli atti rientranti nella nozione di illecito era aggiunta la previsione che il comportamento integrante l’illecito sarebbe rientrato nella copertura assicurativa soltanto se l’autore avesse agito per conto o nell’interesse della società, assumendo, quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza gravata, la funzione di limitare la responsabilità delle compagnie, tenute altrimenti coprire il rischio più ampio, alla ricorrenza di illeciti commessi nell’interesse e per conto del contraente.

Il motivo non può trovare accoglimento.

La pretesa del ricorrente è volta ad ottenere una diversa interpretazione del contenuto della clausola R del contratto, allo scopo di farla rientrare tra quelle vessatorie e come tale necessitante di specifica approvazione per iscritto, mancando la quale, della clausola avrebbe dovuto affermarsi la inefficacia.

Al netto dell’assorbimento della questione, derivante dall’esclusione della natura di contratto per adesione contenuto nella sentenza impugnata e non efficacemente confutato dal ricorrente, va precisato quali sono i limiti di deducibilità in sede di legittimità di questioni che attengono all’interpretazione di una clausola contrattuale. E’ consolidato l’indirizzo secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato. E’ vero che il ricorrente deduce che il giudice ha violato l’interpretazione sistematica, avendo omesso di porre in relazione la clausola R, inserita nel capitolo intitolato “definizioni”, con il contenuto del punto I della polizza, relativa agli accordi di assicurazione, ed avendo attribuito valore precettivo ad una clausola di carattere meramente definitorio, ma a parte la evidente contraddizione del suo argomentare – giacché se la clausola R non avesse valore precettivo non potrebbe essere utilizzata non solo per definire l’oggetto del contratto, ma neppure per limitare la responsabilità dell’assicuratore – l’ubi consistam della censura si risolve nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. Erra, nondimeno, il ricorrente, pensando che, dovendovi essere un’unica interpretazione possibile, quella illustrata dal ricorso sia la migliore e che egli abbia quindi ragione, per ciò solo, di dolersi di quella alternativa formulata dal giudice a quo (cfr. Cass. 02/05/2006; Cass. 16/02/2007, n. 3644; Cass. 22/02/2007, n. 4178). La censura che può muoversi alla sentenza impugnata – si ribadisce – non può riguardare l’esito della interpretazione, poiché quella proposta dal giudice di merito non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce “Violazione ed errata applicazione del disposto dell’art. 1891 c.c., nonché del disposto degli artt. 1362 e 1363,1367 e 1370 c.c., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte territoriale ha rilevato la sussistenza di un duplice collegamento della copertura assicurativa, per un verso, con l’interesse del contraente la polizza per conto altrui, ex art. 1891 c.c., per l’altro, con il ruolo assunto dall’assicurato nell’ambito della organizzazione della contraente, per cui la clausola di cui al punto R implicherebbe un’attività posta in essere in stretto collegamento con lo svolgimento delle funzioni attribuite all’amministratore, assicurato, nell’ambito della società contraente.

4.1. Gli errores iuris attribuiti alla sentenza gravata sono quello di non aver tenuto conto che, a differenza del contratto a favore di terzo, il contratto per conto altrui attribuisce al terzo il ruolo di parte sostanziale del contratto e non prevede che la validità del contratto sia subordinata alla ricorrenza di un interesse del contraente e quello di aver violato gli artt. 1362,1363 e 1370 c.c., per aver ritenuto che la clausola R circoscrivesse la copertura assicurativa alle sole condotte poste in essere in esecuzione di un mandato della società o nell’interesse di questa; per il ricorrente, l’espressione ambigua “nell’interesse o per conto” avrebbe potuto riferirsi tanto ad un interesse concreto della società quanto all’elemento psicologico del comportamento illecito dell’assicurato, “nel senso che l’autore dello stesso sia mosso dal convincimento che quello che pensa e riferisce al suo interlocutore sia conforme all’interesse concreto della società, se i successivi sviluppi di tale comportamento fossero, in qualche modo, negativi per la società contraente”. La Corte territoriale avrebbe, invece, erroneamente fatto leva sul suo tenore letterale, “senza alcun argomento valutativo (…), contributo motivazionale (…) indicare sulla base di quali elementi fondasse l’illimitata portata del termine “interesse della società””. Ne’ avrebbe posto in relazione l’espressione “nell’interesse” con il comportamento dell’assicurato.

4.2. Il ricorrente contesta, per finire, che le transazioni con la Consob e con Telecom avessero contenuto confessorio o di accertamento della sua responsabilità, perché erano state poste in essere al solo scopo di evitare il protrarsi della lite, e aggiunge che il procedimento penale a suo carico, in quanto ancora in corso, non avrebbe potuto essere utilizzato dalla Corte territoriale per sostenere che egli non avesse agito nell’interesse di Telecom.

4.3. Quanto alla censura relativa all’interpretazione della clausola, l’impostazione dell’apparato argomentativo del ricorrente presenta gli stessi caratteri già evidenziati scrutinando il motivo precedente. Ancora una volta, le censure attingono, infatti, l’esito dell’attività interpretativa (Cass. 28/11/2017, n. 28319), ma non contengono la rappresentazione di elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22/06/2017, n. 15471), con la specificazione dei canoni che in concreto si assumono violati, ed in particolare, con l’indicazione del punto e del modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato.

4.4. A prescindere dal fatto che la previsione di cui alla lett. R fosse ambigua, come opinato dal ricorrente, ovvero letteralmente inequivoca, come affermato dal giudice a quo, occorre muovere da un dato di fatto: la sentenza impugnata ha ritenuto che l’illecito, oggetto di copertura assicurativa, fosse solo quello compiuto per conto e nell’interesse della società e quindi nell’esercizio di un’attività inscindibilmente correlata alla funzione rivestita dall’assicurato all’interno della compagine societaria. In altri termini, la Corte territoriale ha escluso gli illeciti legati da un nesso di occasionalità necessaria con la società – infatti ha ritenuto che la divulgazione di informazioni privilegiate non poteva che provenire da un soggetto che in ragione della sua funzione all’interno della società ne fosse in possesso – per ritenere compresi solo quelli posti in essere nell’esercizio delle funzioni attribuite all’assicurato dalla società, nel senso che il fatto illecito per essere oggetto di copertura assicurativa avrebbe dovuto rivelarsi necessario per espletamento di attività che la società aveva il potere di esigere dall’amministratore, il cui rapporto con la società – non va sottaciuto – è ritenuto tutti gli effetti riconducibile al tipo contrattuale del mandato, seppur con le precisazioni, le modifiche e le deroghe dovute alla peculiare fattispecie (cfr., in tal senso, Cass. 03/10/2018, n. 24139).

4.5. Sotto il profilo dell’illecito compiuto “nell’interesse”, il ricorrente pretende di introdurre una distinzione nella regolamentazione del contratto per conto di chi spetta rispetto al contratto a favore di terzo, al fine di farne derivare la ricorrenza di un suo personale interesse, in quanto parte del contratto, a discapito dell’interesse di Telecom, ritenuto irrilevante per questa tipologia di contratto, al punto da poter persino mancare. Deve rilevarsi, però, che egli muove da una premessa in iure erronea, e cioè che nel contratto di assicurazione per conto di chi spetta possa far difetto un interesse del contraente alla stipulazione del contratto e che esso sia stipulato nell’interesse esclusivo del terzo assicurato, parte in senso sostanziale del contratto. La giurisprudenza di questa Corte ritiene, invece, che l’assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta “si configura, sul piano morfologico, quale vicenda negoziale sui generis di contratto a favore di terzo (…), sicché ad essa si applicano tanto le norme proprie dell’istituto ex artt. 1411 c.c. e segg., quanto quelle del contratto di assicurazione nella parte in cui derogano ai principi generali dettati dalla legge per il contratto a favore di terzo. Ne consegue che, con specifico riferimento al requisito dell'”in-teresse” questo risulta, nell’assicurazione ex art. 1891, di duplice natura e di diverso contenuto, dovendo esso venir valutato, ai fini della validità del contratto, sia con riguardo alla posizione dell’assicurato-terzo, a norma dell’art. 1904 c.c., sia con riferimento alla posizione dello stipulante, a norma dell’art. 1411 c.c.: sotto il primo profilo, l’interesse assicurativo sottende, nella sostanza, una relazione, economica tra un soggetto e un bene esposto a rischio in rapporto ad un evento futuro potenzialmente dannoso (dovendo, per l’effetto, risultarne una posizione soggettiva giuridicamente qualificata e non un interesse di mero fatto); sotto il secondo aspetto, ferma l’operatività del principio generale dell’art. 1411 c.c., l’interesse in discorso non deve giocoforza assumere caratteri di giuridicità, potendo, per converso, risolversi in una situazione soggettiva di mero fatto, morale o di immagine”(Cass. 20/08/1997, n. 7769; Cass. 04/05/2005, n. 9284; Cass. 05/06/2007, n. 13058; Cass. 13/12/2007, n. 26253).

4.6. La critica mossa alla sentenza impugnata per avere erroneamente dedotto dagli atti di transazione e dal procedimento penale a suo carico che egli avesse agito in contrasto con gli interessi della contraente involge accertamenti di fatto, rimessi in via esclusiva al giudice di merito, pur dovendosi precisare (cfr. anche infra) che alla Corte territoriale non può imputarsi di avere attribuito valore confessorio o di accertamento della sua responsabilità rispetto ai fatti che gli erano stati contestati, non emergendo affatto ciò dalla sentenza impugnata.

5. Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta “Violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 360 c.p.c., n. 5”.

Il motivo contiene un duplice profilo di censura: i) il primo riguarda l’omesso esame dei documenti 13 e 14, prodotti in prime cure: vale a dire due atti di transazione con Telecom e con Consob, dai quali non emergerebbe alcuna ammissione di responsabilità, in contrasto con la conclusione della Corte d’Appello, secondo cui i due atti di transazione proverebbero l’agire consapevole contro gli interessi di Telecom; ii) il secondo concerne il difetto motivazionale riguardo alla valutazione dei predetti due documenti.

5.1. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni: i) la Corte territoriale non ha mai attribuito valore confessorio alle transazioni intercorse con Telecom, avendole prese in considerazione solo per supportare il giudizio di infondatezza del motivo di appello che denunciava la violazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., prendendo in esame il comportamento di Telecom “successivo al contratto e alla vicenda in esame” e ritenendolo “del tutto conforme al contenuto della clausola imposto dal suo tenore letterale avendo Telecom Italia S.p.a. sì rinunziato alla costituzione di parte civile nel procedimento penale instaurato a carico del suo amministratore ma solo in seguito ad una transazione in forza della quale l’appellante ha accettato di risarcire la società medesima”; ii) la preclusione processuale di cui all’art. 348 ter c.p.c., posta a carico di chi, quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure, deduca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; iii) il mancato soddisfacimento degli oneri di allegazione che la giurisprudenza richiede ove si denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: rilevanza del dato testuale o ex-tratestuale, decisività del fatto omesso (cfr. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053); iv) l’inutilizzabilità della censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per lamentare l’omesso esame degli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014, cit.); v) l’inammissibilità di una censura riguardante la motivazione di una sentenza che per essere argomentata necessiti del confronto tra la motivazione ed elementi ad essa estranei (Cass., Sez. Un., n. 8053/2014, cit.).

5.2. La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è stata edotta senza che ne ricorressero i presupposti. Infatti, perché si configuri la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario che venga denunciato che il giudice abbia giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.). La violazione dell’art. 116 c.p.c., è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria; b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi) (per tutte cfr. Cass. 10/06/2016, n. 11892).

6. Il ricorso va rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

8. Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 14.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022

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