Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1324 del 18/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10780/15 R.G., proposto da:

F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Tiziano Lucchese con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco d’Ayala Valva.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n 1621/15/14 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 20 ottobre 2014, non notificata.

e sul ricorso iscritto al n. 28255/15 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis

– ricorrente principale –

contro

F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Tiziano Lucchese con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco d’Ayala Valva.

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 765/15/15 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 4 maggio 2015, non notificata.

e sul ricorso iscritto al n. 222/16 R.G., proposto da:

F.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv.to Tiziano Lucchese con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv.to Francesco d’Ayala Valva.

– ricorrente principale –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 852/15/15 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata in data 18 maggio 2015, non notificata.

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella nella camera di consiglio del 10 novembre 2021;

viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Dott. Locatelli Giuseppe, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8 bis, con. conv. con mod. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, con le quali ha chiesto: il rigetto del ricorso R.G.N. 10780/15; per il ricorso R.G.N. 28255/15 l’accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso principale e la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale; per il ricorso R.G.N. 222/16, il rigetto sia del ricorso principale del contribuente che di quello incidentale dell’Agenzia delle entrate

FATTI DI CAUSA

1. La vicenda che origina i tre ricorsi all’esame nasce dalle informazioni tratte dalla cd. lista P. (lista che prende il nome dall’avvocato e notaio svizzero, P.F., tratto in arresto, il ***** all’areoporto di *****, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare per fatti di riciclaggio, con sequestro di un personal computer con archiviati centinaia di nominativi relativi a clientela assistita dal professionista o dal suo studio), tramite la quale l’Agenzia delle entrate appurò che, per effetto di rapporti di mandato e di consulenza con i propri clienti, l’avvocato P. aveva promosso, anche tramite una società svizzera ad egli riconducibile, la costituzione di trust e fondazioni nel Lichtenstein o in altri Paesi stranieri, ovvero l’interposizione di società veicolo, con l’intento di consentire la permanenza all’estero di capitali italiani scudati, promuovendo, quindi, finanziamenti e ristrutturazioni societarie per il rientro in Italia di capitali detenuti all’estero.

1.1. Il nome di F.G. era stato ritrovato nella lista e, pertanto, gli vennero notificati atti impositivi in materia di imposte dirette e Iva e relative sanzioni per diverse annualità (2002, 2003 e 2004 e 2006) il che ha originato i ricorsi del contribuente avverso tali atti contestandosi la riconducibilità al contribuente delle disponibilità all’estero di danaro nonché il nesso di collegamento tra i depositi esteri attribuiti al F. e il suo coinvolgimento nelle società veicolo.

2. In particolare, per quanto riguarda la causa R.G.N. 10780/15, F.G. impugnò, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento relativi alle annualità 2002, 2003 e 2004 che, previa riunione, venivano accolti dalla CTP di Verona la quale affermò la decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo nonché la carenza di prova degli elementi fondanti le pretese erariali. L’Agenzia delle entrate propose appello, che veniva accolto con la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, n. 1621/15/14 del 20 ottobre 2014, impugnata in cassazione dal F. con undici motivi di ricorso. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

3. Per l’anno di imposta 2006 l’agenzia dell’entrate emetteva altro avviso di accertamento nei confronti del F. con il quale contestava sia l’esistenza di disponibilità del contribuente in paesi a fiscalità privilegiata, sia la sua partecipazione nella società Sopel s.r.l. e la percezione di utili a nero. F.G. proponeva ricorso avverso tale avviso che veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che veniva rigettato con la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, n. 765/15/15 del 4 maggio 2015, impugnata in cassazione dall’amministrazione finanziaria con quattro motivi di ricorso (R.G.N. 28255/15). F.G. ha resistito al ricorso dell’Amministrazione finanziaria ed ha proposto tre motivi di ricorso incidentale.

4. Il giudizio R.G.N. 222/2016 è originato dal ricorso in cassazione di F.G. e dal ricorso successivo dell’Agenzia delle entrate, entrambi portati alla notifica in data 18 dicembre 2015. In tale giudizio, l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso al ricorso (principale) proposto dal F., mentre quest’ultimo non ha presentato controricorso al ricorso (successivo) dell’Amministrazione erariale. La controversia origina dall’impugnazione degli atti di irrogazione di sanzioni riguardanti gli anni 2002, 2003, 2004, 2006 (D.L. n. 167 del 1990, art. 5, commi 4 e 5), per aver il contribuente omesso di indicare nel quadro RW delle dichiarazioni dei redditi di tali anni l’importo delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, nonché l’ammontare delle transazioni di natura finanziaria estero su estero. Avverso tali atti, F.G. propose distinti ricorsi, che venivano riuniti ed accolti dalla CTP di Verona. L’Agenzia delle entrate interpose appello, che veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, con sentenza n. 852/15 del 18 maggio 2015. Tale sentenza è stata impugnata da ambo le parti per i capi di rispettiva soccombenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che tra i giudizi all’esame v’e’ nesso di connessione, in quanto riguardanti gli accertamenti relativi agli anni di imposta 2002, 2003, 2004 (R.G.N. 10780/15), 2006 (R.G.N. 28255/15) ed i conseguenziali atti irrogativi di sanzioni (R.G.N. 222/16), nesso che è regolato dalle disposizioni di cui all’art. 295 c.p.c. (sospensione obbligatoria, laddove il giudizio pregiudicante sia stato definito con sentenza passata in giudicato) ovvero dall’art. 337 c.p.c., comma 2 (sospensione facoltativa) che, in base agli esiti della giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. U, 29/07/2021, n. 21763; Sez. U, 19/06/2012, n. 10027) è applicabile senza limiti nel contenzioso tributario (v., Sez. 5, 17/07/2014, n. 16329; Sez. 6-5, 05/09/2016, n. 17613; Sez. 6-5, 06/10/2017, n. 23840).

1.1. Preliminarmente, va, altresì, considerato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, è applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale (cfr., Sez. U, 13/09/2005, n. 18125).Nella specie, in ossequio a tali principi, va disposta la riunione dei procedimenti in oggetto.

1.2. Considerato, dunque, che la riunione garantisce la contestualità e la coerenza delle decisioni, nel caso in esame non si pone più questione di sospensione obbligatoria (art. 295 c.p.c.) o facoltativa (art. 337 c.p.c., comma 2), con la conseguenza che gli esiti riguardanti l’impugnazione delle sentenze della CTR del Veneto, aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento, incidono inevitabilmente sulle sentenze derivate relative alle sanzioni (una volta travolte le sentenze sugli avvisi, cadono comunque anche le sentenze derivate sulle sanzioni).

1.3. Sempre in via preliminare, con riguardo al procedimento R.G.N. 222/16, va dato atto della conversione del ricorso principale successivo proposto dall’Agenzia delle entrate, in ricorso incidentale (Sez. U, 25/06/2002, n. 9232). Ed invero, per il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione (che, nel caso di specie, riguarda il ricorso principale del contribuente) benché tutte le altre impugnazioni dovrebbero essere proposte in via incidentale nello stesso processo e, perciò, con l’atto contenente il controricorso, tale ultima modalità non è essenziale, di tal che il ricorso successivo al primo si converte in ricorso incidentale indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante (cfr., altresì, Sez. 2, 14/01/2020, n. 448).

2. Venendo all’esame del ricorso del contribuente recante il numero di ruolo generale 10870/15, esso risulta infondato per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Tutti e tre i ricorsi all’esame traggono origine da avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente F.G., persona fisica, con cui venivano recuperati a tassazione IRPEF, per anni d’imposta precedenti al 2009 (2002, 2003, 2004), redditi detenuti all’estero e non indicati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, applicandosi la presunzione prevista dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, e dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44 e ss., e, per le sanzioni, le disposizioni di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 5, commi 4 e 5, con in L. 04 agosto 1990, n. 227. Gli avvisi di accertamento in questione originano tutti dalle informazioni rinvenute nella cd. Lista P., accertandosi, per l’anno 2002, redditi non dichiarati per Euro 1.426.399, 14 di cui 1.415 987,56 quale disponibilità finanziaria detenuta all’estero ed Euro 10.402,60 quali redditi di capitale; per il periodo d’imposta 2003, venivano accertati redditi non dichiarati per complessivi Euro 485.876,98 di cui Euro 414.205,56 quali disponibilità finanziarie detenute all’estero ed Euro 71.671,42, quali redditi di capitale e, infine, per il periodo di imposta 2004 redditi non dichiarati per complessivi Euro 221.207,67 di cui Euro 145.289,68 quale utili extra bilancio sottratti all’imposizione italiana ed Euro 75.917,99 quale redditi di capitale maturati nell’anno 2004. Avendo la CTR, con la sentenza n. 1621/15/14, accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo fondato l’accertamento fiscale, il contribuente ha chiesto la cassazione di tale sentenza per i seguenti motivi.

2.2. Col primo motivo di ricorso la difesa del contribuente deduce la violazione di legge (artt. 112 cod. proc. civ, 6 D.Lgs. n. 31 dicembre 1991, n. 546), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la CTR pronunziato sulla domanda di dichiarazione di nullità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione.

2.3. Tale mezzo è inammissibile in quanto il ricorrente è venuto meno al suo onere di allegazione specifica, di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, in base al quale avrebbe dovuto localizzare le difese dei gradi di merito ove la relativa eccezione sarebbe stata proposta. Inoltre, il tenore della decisione adottata – di accoglimento dell’appello dell’Ufficio e rigetto del ricorso originario del contribuente – implica una statuizione implicita di rigetto dell’eccezione attinente alla nullità dell’avviso di accertamento formulata dal ricorrente (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 06 dicembre 2017, n. 29191), con evidente ulteriore inammissibilità della censura.

3. Col secondo motivo di ricorso, denuncia la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 214 e 215 c.p.c.) per aver i giudici di appello, senza considerare il contenuto dei ricorsi, ritenuto la genericità del disconoscimento della sottoscrizione dei documenti estrapolati dalla Lista P. e sui quali l’Ufficio aveva ipotizzato l’emersione di disponibilità di denaro in paesi a fiscalità privilegiata. L’inammissibilità del motivo si trae agevolmente dalle argomentazioni svolte dalla CTR, che, pronunciandosi sul disconoscimento dei documenti a firma del F., ha così statuito: “Osserva la Commissione, tuttavia, che la generica affermazione di non aver mai sottoscritto i documenti allegati agli atti dell’Ufficio ovvero il fatto che gli stessi non siano stati prodotti in originale ma solo in fotocopia non può assumere il valore di disconoscimento formale dei documenti stessi, né di disconoscimento della corrispondenza delle fotocopie agli originali. Come affermato più volte dalla Cassazione, il disconoscimento dei documenti, ancorché non richiede l’uso di formule sacramentali, deve però indicare con chiarezza l’oggetto della contestazione (Cass. 7 agosto 2003 n. 11911; Cass. 17 maggio 2007 n. 11460). Affermare, come avvenuto nella specie, nel ricorso di primo grado “nessuno originale risulta acquisito. Nessun documento risulta mai sottoscritto dal contribuente (pagina 7 ed 8 dei tre ricorsi in primo grado)” ad avviso meditato della Commissione non può costituire quel minimum idoneo a ritenere che vi sia stato il disconoscimento della scrittura privata attribuita dall’ufficio al F.. Ovviamente ciò può valere per le scritture che appaiono sottoscritte dal F. posto che effettivamente diversi documenti, asseritamente estratti dal computer del P., non sono affatto sottoscritti dal F.”.

3.1. La statuizione impugnata ha risolto la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il disconoscimento di una scrittura privata ai sensi dell’art. 214 c.p.c., pur non richiedendo formule sacramentali o vincolate, deve comunque rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza, con la conseguenza che colui il quale deve negare l’autenticità della propria sottoscrizione è tenuto a specificare, ove più siano i documenti prodotti, se siffatta negazione si riferisca a tutti o ad alcuni soltanto di essi (oltre alle pronunce richiamate nella sentenza di appello, v. Sez. 3, 21/11/2011, n. 24456; Sez. 1, 02/08/2016, n. 16057; Sez. 2, 22/01/2018, n. 1537); a fronte di tale corretta statuizione, l’esame della censura non offre elementi per mutare orientamento, così rendendo inammissibile il motivo di ricorso, ex art. 360 bis c.p.c., n. 1). Peraltro, la relativa valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità.

3.2. Deve essere osservato, altresì, che poiché i documenti estrapolati dal personal computer dell’avv.to P. sono copie fotostatiche degli originali, il disconoscimento, ex art. 2719 c.c., della conformità tra la scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata prevista dall’art. 215 c.p.c., comma 1, n. 2, in quanto mentre quest’ultimo, in mancanza di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c., non impedisce al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova comprese le presunzioni (cfr. Sez. 5, 08/06/2018, n. 14950; conf., Sez. 6-3, 11/10/2017, n. 23902).

4. Il terzo motivo, con il quale si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio riguardanti gli elementi in base ai quali ritenere operante il disconoscimento della sottoscrizione delle scritture alle quali è stato attribuito valore indiziante, sufficiente a provare il trasferimento di disponibilità finanziarie in paesi a fiscalità privilegiata di redditi sottratti alla tassazione nazionale, è inammissibile, in quanto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, riguarda il vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni.

5. Il quarto motivo di ricorso con il quale si denuncia, nuovamente, la violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., sia pur sotto il diverso paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è anch’esso inammissibile non sussistendo alcun error in procedendo, per le stesse ragioni indicate sub p. 3.1. e sub p. 3.2.

6. Col quinto mezzo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c., assumendo che poiché tutta la documentazione posta a fondamento dell’indagine finanziaria è stata prodotta in fotocopia (estratti di files) il giudice di appello avrebbe dovuto comunque considerare gli effetti del disconoscimento previsto per la conformità della copia al suo originale.

6.1. Il mezzo infondato.

6.2. La CTR dopo aver escluso gli effetti del disconoscimento della sottoscrizione ai documenti provenienti dal F. (v. passo della motivazione riportato al p. 3), ha attribuito valore indiziante “forte” alle complessive acquisizioni documentali provento del sequestro operato nei confronti dell’avvocato P., comprendenti anche i documenti non provenienti dal ricorrente, per i quali non si pone un problema di disconoscimento della sottoscrizione ma di idoneità probatoria (“(…) effettivamente diversi documenti asseritamente estratti dal computer del P. non sono affatto sottoscritti dal F.. Ma ciò sposta il problema sul piano più propriamente probatorio ovvero sull’idoneità delle prove complessivamente portate dall’Ufficio a sostenere l’impianto accertativo”). Limitatamente ai documenti sottoscritti dal contribuente, non essendo intervenuto formale disconoscimento della sottoscrizione, il giudice di appello, come già sopra detto (v. p. 3.1. e p.3.2), ha correttamente applicato l’art. 2719 c.c. che, per giurisprudenza pacifica, consente al giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova comprese le presunzioni (ex plurimis, v. Sez. 3, 21/11/2011, n. 24456 e Sez. 5, 08/06/2018, n. 14950).

7. Per il sesto mezzo (con il quale si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, riguardanti gli elementi in base ai quali ritenere operante il disconoscimento della conformità delle copie fotostatiche agli originali), valgono le stesse ragioni di inammissibilità enunciate per il terzo mezzo (v. p. 4).

8. Col settimo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge (D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 41 bis, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 6 e 9, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.), adducendo una serie di elementi di fatto (es. assenza e/o mancata sottoscrizione delle dichiarazioni di emersione, assenza del relativo pagamento) che, a dire del ricorrente, evidenziano l’errore della CTR a ritenere effettivo il trasferimento, da parte del contribuente, di disponibilità finanziarie all’estero, con sottrazione alla tassazione nazionale.

8.1. Tale mezzo è inammissibile in quanto sfugge completamente dal parametro di censura evocato non rinvenendosi, nella pur lunga esposizione del motivo, alcuna deduzione riguardante il vizio di sussunzione, ma soltanto varie e scollegate censure di merito completamente decentrate rispetto al paradigma evocato di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ principio pacifico di questa Corte che il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è invece possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., Sez. 5, 20/03/2009, n. 6813).

9. Per l’ottavo mezzo (con il quale si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, riguardanti gli elementi in base ai quali ritenere inattendibile e non utilizzabile la documentazione rinveniente dalla cd. Lista P.), valgono le stesse ragioni di inammissibilità enunciate per il terzo e per il sesto motivo di ricorso (v. p. 4 e p. 7).

10. Col nono motivo di ricorso, si denuncia nuovamente la violazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41 bis, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c.), aggredendosi la decisione di appello per la ritenuta sussistenza di utili extra bilancio distribuiti al F. dalle società Sopel s.r.l. e Fotochemische Werke s.r.l., senza l’emissione di avvisi di accertamento nei confronti di queste ultime e, quindi, in carenza dell’accertamento presupposto. Come per il settimo motivo di ricorso, anche con tale censura il ricorrente non centra il vizio di sussunzione, deducendo varie e scollegate censure di merito estranee al paradigma evocato di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

10.1. Vanno qui ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale D.L. 1 luglio 2009, n. 78, ex art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Sez. 5, 14/11/2019, nn. 29632-29633; Sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Sez. 6, 12/02/2018, n. 3276; Sez. 5, 22 dicembre 2017, n. 30803, da ultimo, cfr. Sez. 6, 27/05/2021, n. 14834).

11. Il decimo motivo segue la stessa sorte dei motivi terzo, sesto e ottavo (v. p. 4, p. 7 e p. 9).

12. L’undicesimo motivo risulta anch’esso inammissibile alla stregua delle considerazioni fatte per i motivi nono e settimo (v. p. 10 e p. 8).

13. F.G. impugnò anche l’avviso di accertamento riguardante l’annualità 2006, anch’esso derivante dalle informazioni assunte dalla lista P.; dopo il parziale accoglimento del ricorso da parte della CTP di Verona, l’Agenzia delle entrate propose appello che veniva rigettato con la sentenza della CTR Veneto, sezione distaccata di Verona, n. 765/15/15 del 4 maggio 2015. Con il ricorso in cassazione recante il numero di ruolo generale 28255/15 l’Amministrazione finanziaria ha impugnato, con quattro motivi, tale sentenza; F.G. ha resistito con controricorso ed ha proposto tre motivi di ricorso incidentale.

13.1. Col primo motivo di ricorso principale si denuncia la violazione di legge (artt. 2727 e 2729 c.c. e D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6 conv. con modificazioni dalla L. 04 agosto 1990, n. 227) per aver i giudici di appello annullato la ripresa a tassazione dei frutti derivanti dalle disponibilità di denaro costituite in anni precedenti a quello di accertamento (2006) per mancanza di prova, da parte dell’Ufficio, che le somme detenute all’estero si fossero mantenute nel 2006.

13.2. Il mezzo è fondato.

13.3. In relazione alle attività di natura finanziaria, il D.L. n. 167 del 1990, art. 6, conv. con mod. in L. 227 del 1990, (denominato “Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”) stabilisce che “gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo d’imposta”.

13.4. Quindi, quando il contribuente non espone sul quadro RW del modello “Redditi” un’attività finanziaria detenuta all’estero che avrebbe dovuto dichiarare (il quadro RW del modello “Redditi” deve essere compilato “per indicare la consistenza delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero nel periodo d’imposta di riferimento”, così, circolare n. 38/2013 dell’Agenzia delle Entrate), scatta la presunzione di fruttuosità della stessa, salvo prova contraria da parte del contribuente.

13.5. Il ragionamento della CTR – che ha escluso la fruttuosità del denaro detenuto all’estero e non dichiarato dal F. nel quadro RW, per mancata dimostrazione del mantenimento della fruttuosità per l’anno in contestazione – oltre a stravolgere i principi in materia di prova presuntiva, sembra stravolgere la stessa ratio della disposizione in parola.

13.6. Ed invero, l’operatività della presunzione comporta che la disponibilità valutaria o di denaro sia collegata alla naturale fecondità di tali beni (gli interessi sono frutti naturali del denaro) e che tale fruttuosità esiste (si presume esistente) fino al momento in cui si dimostri il contrario (presunzione relativa), ovvero che quella data disponibilità finanziaria non produce frutti. Tanto, anche in applicazione del principio di vicinanza della prova essendo oltremodo agevole per il ricorrente accedere alla documentazione attestante l’avvenuta dismissione delle disponibilità finanziarie costituite in precedenza (nella specie dismissione avvenuta nell’anno 2006 rispetto ad attività finanziarie costituite nel 2002).

13.7. E’ evidente, dunque, che la prova contraria incombe sul contribuente il quale, con la controprova, può evitare la ripresa a tassazione dei frutti pecuniari di cui all’art. 6 D.L. cit.

13.8. Inoltre, la CTR, nell’affermare un non meglio precisato onere (che erroneamente pone a carico dell’Ufficio) di provare il mantenimento della fruttuosità, non coglie la ratio della disposizione, che, per consentire la rilevazione, ai fini fiscali, “di taluni trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori”, rispetto ad attività finanziarie che di natura sono tendenzialmente fluide, ha stabilito la presunzione, a favore dell’Ufficio, della fruttuosità delle disponibilità.

13.9. In tal senso, come pure considerato dal sostituto procuratore generale nelle sue conclusioni scritte, il trasferimento di capitali all’estero non si esaurisce in una condotta istantanea ma determina effetti permanenti costituiti dal persistere della disponibilità all’estero delle attività occultate, con la conseguenza che la presunzione prevista dalla norma in parola riguarda sia la redditività dei capitali esportati e nascosti al fisco, sia la presunzione di mantenimento della disponibilità finanziaria per gli anni successivi e prossimi all’anno di costituzione della disponibilità estera non dichiarata.

14. Con il secondo motivo di ricorso l’amministrazione erariale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la nullità della sentenza per inosservanza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la CTR caduta in insanabile contraddizione nella parte in cui, da un lato, ha ritenuto che i titoli del Fondo *****, fittiziamente scudati, in realtà erano inesistenti e che l’operazione era finalizzata a smascherare la disponibilità effettiva all’estero della corrispondente liquidità di Euro 1.005.200,00 e, dall’altro, ha ritenuto inapplicabile la redditività del 6% dei titoli in oggetto (v. sentenza impugnata pagg. 4-7). Col terzo motivo ribadisce la nullità della sentenza impugnata per error in procedendo ed in particolare per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, con riferimento all’operazione fittizia di scudo fiscale sulle attività finanziarie detenute all’estero e, quindi, sulla ripresa a tassazione per la redditività del 6% dei titoli detenuti all’estero e falsamente scudati. Col quarto motivo, denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2728,2729 c.c., della L. 167 del 1990, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la CTR pur riconoscendo la fittizia operazione di scudo di fiscale (perché tesa a smascherare la disponibilità effettiva all’estero della corrispondente liquidità di Euro 1.005.200,00), non ha applicato la redditività del 6% dei titoli in oggetto.

14.1. Tali motivi si esaminano congiuntamente per connessione di censure.

14.2. Considerata l’esistenza di una motivazione senz’altro adeguata, riguardante la fittizietà dell’operazione di scudo siccome tesa a nascondere la disponibilità del F. all’estero di Euro 1.005.200,00, nonché riguardante l’inapplicabilità del tasso di redditività dei titoli in oggetto (v. pagg. da 4 a 7), prive di pregio sono le censure riguardanti la motivazione parvente.

14.3. Viceversa, il ragionamento della CTR appare inficiato da errore di diritto nella parte in cui attribuisce alla disponibilità finanziaria estera, certamente esistente, una redditività nulla e non invece nella percentuale di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 6 (6%). In proposito va considerato che benché il giudizio con il quale il giudice di appello ha ritenuto che “i titoli rappresentassero solo uno strumento per dare apparenza e regolarità e che il successivo affidamento al Trust in realtà nascondesse soltanto un operazione di carattere cartolare” è un giudizio di merito, insindacabile in questa sede, è pur vero che, in base a tale giudizio, la CTR avrebbe dovuto conseguentemente applicare il tasso di reddività previsto dalla legge.

15. Il ricorso incidentale di F.G. è inammissibile.

15.1. Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39, 40 e 41 bis, artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è inammissibile in quanto deduce censure di merito incompatibili con la violazione di legge denunciata, nonché con esiti della giurisprudenza di questa Corte in materia di prova presuntiva dell’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”.

15.2. Va sul punto considerato che la questione riguardante i limiti di operatività delle presunzioni per il monitoraggio fiscale ha trovato oramai composizione nell’indirizzo monofilattico della giurisprudenza di questa Corte che, sulla scia di quanto già affermato in merito alla lista “Falciani” (v. le ordinanze “gemelle” del 28/04/2015 nn. 8605 e 86066, nonché l’ordinanza n. 9670 del 13/05/2015 e le sentenze del 19/08/2015 nn. 16950 e 16951, quest’ultime tre non massimate; per la lista P. cfr. sentenza del 26/08/2015 n. 17183, anch’essa non massimata), ha approfondito, rivisitato e calibrato la materia in base alla peculiarità delle tre liste ( P., F. e V.), formulando principi di diritto di carattere generale, estensibili a ciascuna di esse (cfr., ex multis, Sez. 5, 19 dicembre 2019, n. 33893; Sez. 5, 05 dicembre 2019, n. 31779). In particolare, è stato chiarito – con orientamento qui condiviso – che “la presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha natura procedimentale ma sostanziale – sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione – con la conseguenza che essa non ha efficacia retroattiva. Viceversa, hanno natura procedimentale e non sostanziale e soggiacciono perciò al principio “tempus regit actum”, le previsioni di cui al medesimo art. 12, commi 2-bis e 2-ter, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla suddetta presunzione e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero, sicché esse si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2" (così, Sez. 5, 14/11/2019, n. 29632; id. Sez. 5, 29/11/2019, n. 31243).

15.3. In conclusione, in base agli esiti della giurisprudenza di questa Corte, va ribadito il principio secondo cui la prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale D.L. n. 78 del 2009, ex art. 12, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, ma anche per mezzo di un’unica presunzione semplice, purché grave e precisa. Gli elementi di prova in tema di presunzioni semplici non devono, pertanto, essere necessariamente molteplici, in quanto il giudice può fondare il suo convincimento anche su un solo elemento, purché, per l’appunto, sia grave e preciso (e, quindi, dotato di elevata valenza indiziaria fortemente probabilistica) e tanto proprio in relazione al requisito della concordanza che assume rilievo solamente in presenza di più elementi presuntivi (ex multis, Sez. 5, 14/11/2019, nn. 29632-29633; Sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Sez. 6, 12/02/2018, n. 3276; Sez. 5, 22 dicembre 2017, n. 30803, da ultimo, cfr. Sez. 6, 27/05/2021, n. 14834).

15.4. In più, quanto al profilo di censura riguardante la rilevanza nel processo tributario della sentenza penale (nel caso sentenza del Tribunale di Verona n. 2657/10), esso non supera il vaglio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 1, non offrendo argomenti atti a superare il pacifico indirizzo di questa Corte secondo cui il giudice tributario non può limitarsi a recepire acriticamente le conclusioni di una sentenza penale, ancorché definitiva e di assoluzione in materia di reati fiscali, ma è tenuto ad esercitare concretamente il proprio potere di valutazione, procedendo ad un autonomo apprezzamento del contenuto della decisione e confrontandolo con gli elementi di prova acquisiti al giudizio (v. Sez. 6-5, 24/11/2017, n. 28174).

16. Il secondo motivo di ricorso incidentale (violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 112c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), è inammissibile per più ordini di considerazioni. In primo luogo, non rispetta i requisiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), in quanto l’esposizione dei profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento della doglianza, risulta fumosa, incerta, non intellegibile ai fini di consentire il controllo di legittimità sul vizio dedotto. E’ principio consolidato di questa Corte che il ricorso debba essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice”, anche con specifica localizzazione delle allegazioni difensive dei precedenti gradi, sì da rendere intellegibili le questioni giuridiche prospettate, nonché di individuare, in relazione a tali profili, le ragioni critiche nell’ambito dei vizi previsti dall’art. 360, c.p.c., sicché quando il ricorso è carente di tale contenuto minimo, esso non supera la soglia di ammissibilità (cfr. Sez. 5, 30/04/2020, n. 8425).

16.1. In secondo luogo, la censura del ricorrente secondo cui gli elementi, i dati e le notizie poste a sostegno della sentenza penale di assoluzione, se presi in esame, avrebbero determinato una decisione favorevole al contribuente (v. ricorso pag. 5, secondo capoverso) costituisce una censura del merito della decisione, che esula dai poteri di controllo del giudice di legittimità e rende il ricorso inammissibile. Inoltre, la dedotta extrapetizione è inammissibile, in quanto volta a censurare un mero argomento utilizzato dalla CTR, e desumibile dagli atti, ai fini del ragionamento sulla congruità della motivazione in ordine all’eccezione di invalidità dell’accertamento.

16.2. Infine, non ricorrono affatto quelle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (ex plurimis, Cass. 09/07/2020 n. 14633, in motivazione).

17. Anche il terzo motivo di ricorso incidentale (violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39, 40, 41 bis, nonché degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è inammissibile in quanto non centra il vizio di sussunzione denunciato, deducendo varie e scollegate censure di merito estranee al paradigma evocato di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.

18. Passando all’esame del ricorso recante il numero di ruolo generale 222/2016, avente ad oggetto gli atti di irrogazione delle sanzioni relative agli anni 2002, 2003, 2004 e 2006, va premesso che è principio assolutamente pacifico che stante il rapporto di interdipendenza tra l’avviso di accertamento (atto pregiudicante) e l’atto di irrogazione delle sanzioni (atto pregiudicato), va cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata, in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale, dovendosi, in tale ipotesi, sospendere il processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c., atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive (da Sez. 5, 07/08/2015, n. 16615 a Sez. 6-5, 13/01/2021, n. 331).

18.1. Il ricorso principale di F.G. è infondato e deve essere rigettato.

18.2. Il primo motivo, con il quale si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, 12, art. 2 ter, conv. in L. con mod. 03 agosto 2009, n. 102, per non aver la CTR considerato la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di irrogare le sanzioni, è infondato essendo principio pacifico che termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, conv., con modif., in L. 04 agosto 2006, n. 248, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza (cfr., Sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620) e non con l’accertamento della sussistenza di reato denunciata (nel caso in esame, la denuncia risulta effettuata ai sensi del D.Lgs. n. 02 aprile 2002, n. 74, art. 3, v. pag. 6 controricorso dell’Agenzia delle entrate). Va, altresì, considerata la natura procedimentale del termine in questione. Ed invero, già con la sentenza n. 247 del 20 luglio 2011 della Corte Costituzionale è stato affermato, limitatamente alla L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 3 (secondo cui “I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”) che i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di “eventi peculiari ed eccezionali” ma che, al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione (v., in motivazione, sub p. 5.1.2.). Attualmente le previsioni di cui al medesimo art. 12, commi 2-bis e 2-ter, raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla presunzione di evasione di cui all’art. 12 cit., comma 2, e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l’omessa denuncia delle disponibilità finanziarie detenute all’estero; tali norme, in quanto disposizioni di carattere procedimentale, si applicano anche per i periodi d’imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1 luglio 2009), quando venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato e ciò indipendentemente dalla applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2 (così, Sez. 5, 14/11/2019 n. 29632; id.. Sez. 65, 28/11/2018 n. 30742).

18.3. Il secondo motivo di ricorso principale – con il quale si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente della sentenza impugnata circa la idoneità della motivazione dell’atto irrogativo delle sanzioni – è infondato, proprio in considerazione delle argomentazioni spese dalla CTR sul punto (v. pagina 5 della gravata sentenza) che escludono quelle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (ex plurimis, Cass. 09/07/2020 n. 14633, in motivazione).

18.4. Il terzo motivo – con il quale si denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 112 e 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – risulta inammissibile non solo per le considerazioni svolte al precedente paragrafo (p.18.3.), ma anche in base all’indirizzo di questa Corte, al quale il Collegio intende aderire, in assenza di ragioni ostative, secondo cui: “il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il “petitum” (nella specie l’annullamento dell’avviso di accertamento) e la “causa petendi” (nella specie il difetto di motivazione) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Cass. 04/02/2016, n. 2209)” (così, Cass. 11/05/2018, n. 11498). Inoltre è principio consolidato che “Nel procedimento tributario, allorché il medesimo organo giudicante si trovi a pronunciare contestualmente più decisioni in rapporto di consequenzialità necessaria, ed in particolare di pregiudizialità reciproca – come nel caso della controversia concernente l’obbligazione tributaria per reddito da capitale derivante da fondi all’estero non dichiarati e della controversia concernente le sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di dichiarazione, in relazione ai suddetti fondi la motivazione utilizzata può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza assunta simultaneamente, purché la motivazione stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento, occorrendo, invece, che vengano riprodotti i contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa – anche se connessa – causa “sub iudice”, in modo da consentire, poi, anche la verifica della compatibilità logico-giuridica dell’innesto motivazionale” (cfr. Sez. U, 04/06/2008, n. 14184).

18.5. Il quarto motivo, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la CTR riunito e/o sospeso il giudizio pregiudicato, è infondato in quanto il deposito in data 20/10/2014 della sentenza relativa agli accertamenti 2002-2003-2004 (v. ricorso R.G.N. 10780/15), rendeva impossibile la riunione della causa di appello relativa alle sanzioni che risulta essere stata discussa all’udienza del 23/02/2015 (v. frontespizio della sentenza n. 852/15/15 oggetto di impugnazione del presente ricorso).

19. Con il primo motivo di ricorso incidentale (successivo) l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la CTR sospeso il giudizio sulle sanzioni in attesa della definizione dei giudizi pregiudicanti riguardanti gli avvisi di accertamento.

19.1. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia la nullità della sentenza gravata (n. 852/15/15) per insanabile contraddittorietà, là dove ha ridotto le sanzioni riguardanti gli anni di imposta 2002, 2003 e 2004 nonostante i giudizi relativi agli atti impositivi di tali annualità avessero integralmente confermato la legittimità degli atti impositivi, nonché là dove, per l’anno 2006, ha rideterminando le sanzioni facendo riferimento alla sentenza n. 765/15/2015 della CTR del Veneto che, invece, aveva avuto esito sfavorevole per l’Ufficio.

20.1. Tali motivi, che si esaminano congiuntamente per connessione di censure, vanno accolti limitatamente all’annualità 2006 per le ragioni di seguito esposte.

20.2. Per quanto riguarda le annualità 2002-2003-2004, non sussiste la dedotta violazione dell’art. 295 c.p.c. per le stesse considerazioni esposte sub p. 18.5 alle quali si rinvia. Ne’ ricorre l'”insanabile” contraddittorietà della motivazione, posto che la CTR dopo aver correttamente affermato che il giudizio relativo alle sanzioni va definito in coerenza con l’esito dei giudizi relativi agli atti impositivi, ha dato conto, con adeguata motivazione, della riduzione delle sanzioni sul presupposto che “le sanzioni irrogabili in base agli avvisi impugnati in questo procedimento (salvo l’applicazione del cumulo) sono calcolabili, applicando le misure previste dalle norme invocate negli atti stessi sui seguenti importi (seguendo la ricostruzione predisposta dall’Ufficio con memoria del 12/02/2015)”, determinando, così, gli importi dovuti secondo il prospetto dell’Ufficio per tutti gli anni in contestazione. Ergo non ha escluso l’applicazione delle sanzioni, ma si è limitata ad applicare l’istituto della continuazione.

20.3. Viceversa, per l’annualità 2006, la CTR è incorsa in violazione di legge là dove ha applicato le sanzioni per tale annualità attendere la definizione del giudizio pregiudicante afferente all’avviso di accertamento per l’anno 2006. Ed invero, una volta constato il nesso di connessione tra i due giudizi (quello sull’accertamento per l’anno d’imposta 2006 concluso con sentenza n. 765/15/2015 e le consequenziali sanzioni oggetto dell’odierno ricorso incidentale), i giudici di appello avrebbero dovuto regolare tale connessione in base all’art. 295 c.p.c. ovvero in base all’art. 337 c.p.c. (Sez. U, 29/07/2021, n. 21763; Sez. U, 19/06/2012 n. 10027), applicabile senza limiti nel contenzioso tributario (Sez. 5, 17/07/2014, n. 16239; Sez. 6-5, 05/09/2016, n. 17163; Sez. 6 – 5, 06/10/2017, n. 23480); tale sospensione era senz’altro praticabile in quanto la sentenza di appello n. 765/15/2015 che ha deciso sull’avviso di accertamento riguardante l’annualità 2006 è stata depositata il 4 maggio 2015 (v. sentenza impugnata con il ricorso R.G.N. 28255/15), mentre l’udienza di discussione relativa al giudizio sulle sanzioni (R.G.N. 222/2016) risulta fissata al 23/02/2015 (v. sentenza della CTR n. 852/15/15).

20.4. In ogni caso, considerato che il ricorso recante il numero di ruolo generale 28555/15 avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza n. 765/15/2015 è stato accolto con riguardo alla presunzione legale di redditività dei capitali esportati e nascosti al fisco che di mantenimento di quella disponibilità per gli anni successivi (v., supra, da p. 13.1 a p. 13.9), nella specie non si pone più una questione di sospensione obbligatoria (295 c.p.c.) o facoltativa (337 c.p.c.), in quanto una volta caducata la sentenza sull’avviso viene caducata anche la sentenza riguardante le sanzioni, laddove la riunione tra tali due procedimenti garantisce la contestualità e la coerenza tra le decisioni.

20.5. Con il terzo motivo – così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1” – l’Agenzia delle entrate ripropone, limitatamente all’annualità 2006, la questione della fruttuosità delle disponibilità finanziarie detenute in anni precedenti al 2006 (v. supra, da p. 13.1 a p. 13.9). Tale motivo risulta assorbito dall’accoglimento del secondo mezzo, limitatamente alla annualità 2006 (v. p. 20.4).

20.6. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, l’Amministrazione finanziaria denuncia la nullità della sentenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, per motivazione illogica e contraddittoria nella parte in cui, nel recepire la ricostruzione della vicenda fatta dalla sentenza n. 765/15/15/ per l’anno 2006 (v. pag. 10), si è contraddetta perché ha sostanzialmente affermato che mancava la prova del mantenimento della disponibilità finanziaria al 2006 pur riconoscendosi, per lo stesso anno, la proprietà della Farm in capo al F. (v. sentenza n. 765/15/15, secondo cpv. di pag. 10: “ovviamente il fatto che nel 2004 e nel 2007 vi sono elementi per collegare il F. alla Farm rappresenta prova che nel 2006 la Farm facesse capo al F.”). La sussistenza di una motivazione coerente con le premesse logiche da cui si muove (motivazione per relationem) esclude il vizio di nullità denunciato; in ogni caso, non risulta contraddittoria solo a voler considerare che un conto è la disponibilità finanziaria ed un altro e la riconducibilità della società Farm al contribuente.

20.7. Il quinto motivo di ricorso incidentale (“Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”) è infondato per le stesse considerazioni, illustrate al p. 18.4., che hanno portato al rigetto del terzo motivo di ricorso principale del F..

20.8. Il sesto motivo (“Violazione degli artt. 2697,2727,2728,2729 c.c., della L. 187 del 1990, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) è inammissibile, in quanto censura questioni che attengono all’atto di accertamento e non all’irrogazione delle sanzioni che la CTR ha confermato “per relationem” in base alle decisioni concernenti l’impugnazione degli avvisi accertamenti.

21. Conclusivamente, riuniti i ricorsi di cui in epigrafe, rigetta, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale del contribuente R.G.N. 10780/15 che condanna alle spese di lite del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 13.000,00.

21.1. Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale R.G.N. 28255/15 dell’Agenzia delle entrate e dichiara inammissibile il correlato ricorso incidentale del contribuente. Rigetta il ricorso principale R.G.N. 222/16 del contribuente ed accoglie nei termini di cui in motivazione il correlato ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate.

21.2. Cassa le sentenze della CTR del Veneto n. 765/15/15 e 852/15/15 riguardo ai motivi accolti e rinvia alla CTR -Veneto, sez. distaccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità R.G.N. N. 28255/15 e 222/16.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; rigetta, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale del contribuente R.G.N. 10780/15 che condanna alle spese di lite del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 13.000,00. Accoglie, nei termini di cui in motivazione, il ricorso principale R.G.N. 28255/15 dell’Agenzia delle entrate e dichiara inammissibile il correlato ricorso incidentale del contribuente. Rigetta il ricorso principale R.G.N. 222/16 del contribuente ed accoglie, nei termini di cui in motivazione, il correlato ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate. Cassa le sentenze della CTR del Veneto n. 765/15/15 e 852/15/15 riguardo ai motivi accolti e rinvia alla CTR -Veneto, sez. distaccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese dei giudizi di legittimità R.G.NN. 28255/15 e 222/16.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i due ricorsi principali e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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