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Donazioni della madre alla figlia convivente sono soggette a collazione?

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.18814 del 04/07/2023

Le donazioni effettuate in vita dalla madre alla figlia durante la convivenza sono soggette a collazione?

La questione è stata recentemente affrontata dalla Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 18814 del 4 luglio 2023.

La. Suprema Corte ha precisato che per presumere l'esistenza di multiple donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, è necessario tenere conto di diversi fattori.

Tra questi, la differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa. Occorre considerare altresì “in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità”.

Nel caso di specie, il tribunale di Teramo, accogliendo la domanda di due fratelli, ha accertato la lesione della quota di legittima spettante agli attori in ordine all'eredità della madre, a causa delle donazioni fatte in vita alla figlia, che conviveva con lei per un lungo periodo fino alla sua morte. La Corte d’appello di L'Aquila ha confermato la decisione, che è stata successivamente esaminata dalla Cassazione.

Per la Suprema Corte, nel caso di asserita lesione della quota di legittima e ai fini dell'obbligo di collazione, rilevano le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius. E ricordiamo che, a norma dell'art. 742 c.c., alcune elargizioni non sono comunque soggette a collazione, tra queste, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, né le liberalità d'uso.

Il presupposto dell'obbligo di collazione è che il coerede abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal "de cuius", direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest'ultimo.

Importante sottolineare che non sono soggette a collazione né alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente. Ciò si applica, nel caso specifico, alle elargizioni fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni, a patto che non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, cioè con la consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.

Sono invece soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte da un genitore ad un figlio, poiché non opera l'eccezione delineata per il coniuge dall'art. 738 c.c.

La Cassazione ha rilevato due vizi nella sentenza della Corte d'appello di L'Aquila:

  1. Mancano nel ragionamento presuntivo utilizzato nella sentenza impugnata i requisiti della "gravità" e della "concordanza" di cui all'art. 2729 c.c., riferiti al grado di probabilità e di coerenza della sussistenza del fatto ignoto della donazione effettuata dalla madre alla figlia. La convivenza per ventiquattro anni tra l'anziana madre e la figlia rende altrettanto normale ipotizzare anche l'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale.
  2. Per ravvisare un "complesso di donazioni" quale base causale delle continue elargizioni patrimoniali fatte dalla madre alla figlia, i giudici del merito avrebbero dovuto accertare l'esclusivo spirito di liberalità che avesse assistito ogni dazione di denaro dalla madre alla figlia convivente.

Per questi motivi la Suprema Corte cassa la sentenza, rinviando la causa alla Corte d'appello, in diversa composizione.

Successioni, convivenza di madre e figlia, donazioni plurime di denaro, obbligazioni nascenti dalla convivenza, distinzione

Al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità.

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Cassazione civile sez. II, Ordinanza 04/07/2023 (ud. 30/05/2023) n. 18814

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. T.G. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 1990/2017 della Corte d'appello di L'Aquila, pubblicata il 6 novembre 2017.

Resistono con controricorso GA. ed T.A..

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del D.Lgs. n. 149 del 2022.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

2. Il Tribunale di Teramo, accogliendo la domanda di GA. ed T.A., con sentenza del 14 ottobre 2011 accertò la lesione della quota di legittima spettante agli attori in ordine all'eredità della madre G.L., per effetto delle donazioni fatte in vita dalla de cuius alla figlia T.G., con lei convivente dal febbraio 1981 sino alla morte della G., avvenuta il (Omissis). La convenuta T.G. fu perciò condannata a pagare ai fratelli la somma di Euro 24.343,64.

La Corte di L'Aquila ha poi respinto l'appello proposto da T.G. in data 22 marzo 2012, ritenendo attendibili le conclusioni cui era pervenuto il CTU nominato in primo grado quanto alla ricostruzione dei redditi pensionistici percepiti da G.L. dal 1981 al 2005 (Euro 258.729,59 + Euro 27.981,90, pari a circa Euro 1.000,00 mensili). Con tali redditi la de cuius avrebbe "partecipato alle spese della figlia con la quale conviveva per il vitto e le medicine". Ricostruite poi le condizioni di vita di G.L., la Corte di L'Aquila ha desunto dalla mancata risposta all'interrogatorio formale che la madre coadiuvasse la figlia G. nelle attività domestiche e le "donasse periodicamente denaro" ed ha condiviso la presunzione raggiunta dal Tribunale, secondo cui G.L. spendeva per il suo mantenimento e la cura della sua persona il 60% dei redditi percepiti, risparmiando il residuo 40%. Questa percentuale di risparmio portava ad un capitale di Euro 114.659,40, soldi "che devono ritenersi incassati" da T.G., mentre a GA. ed T.A. risultavano dati "solo Euro 1.136,22 ciascuno" (mancando prova di donazioni di maggior importo). Esclusa la riconducibilità della complessiva somma di Euro 114.659,40 a donazione remuneratoria o ad obbligazione naturale, la Corte d'appello ha considerato che la stessa avesse dato luogo ad un "complesso di donazioni lesive della quota di riserva".

3. E' infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di procura speciale, sollevata dai controricorrenti, avendo riguardo anche alla denominazione di "delega" data all'atto. Il requisito della specialità della procura, richiesto dall'art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all'atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall'art. 1367 c.c. e dall'art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all'atto di produrre i suoi effetti (Cass. Sez. Unite n. 36057 del 2022).

4. Il primo motivo del ricorso di T.G. denuncia la violazione degli artt. 2729,737,751 e 769 e ss. c.c. La ricorrente censura la sentenza di secondo grado per avere ritenuto donazione di denaro meritevole di collazione l'apporto che la defunta madre avrebbe conferito alla figlia convivente, ingiustamente considerando lesivo un importo ridotto e diluito nel tempo (24 anni) di 400 Euro mensili; e ciò attraverso l'utilizzazione di presunzioni relative alla buona salute della de cuius, alla sobrietà delle condizioni di vita della medesima, e quindi alle ridotte esigenze di vita che le avrebbero consentito di vivere con il 60% di quanto incassato, presumendo che il residuo 40% sia stato donato alla figlia convivente.

Il secondo motivo del ricorso di T.G. denuncia la violazione degli artt. 769 e ss., 737 e 2729 c.c., censurando la sentenza di secondo grado per avere omesso l'esame circa un fatto decisivo per il giudizio, relativo alla convivenza fra la de cuius e la ricorrente, tale da impedire ontologicamente la configurabilità di una donazione, atteso che gli apporti dei conviventi, lungi dal costituire donazioni, si concretano in conferimenti vicendevoli. Si ribadisce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto la configurabilità di donazioni e perciò applicabile l'obbligo di collazione.

5. I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

5.1. In caso di asserita lesione della quota di legittima, ed ai fini dell'obbligo di collazione tra i soggetti indicati dall'art. 737 c.c., come in caso di esercizio dell'azione di riduzione verso il coerede donatario, rilevano le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius.

A norma dell'art. 742 c.c., non sono comunque soggette a collazione, tra le altre, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, né le liberalità d'uso.

Il presupposto dell'obbligo di collazione e', dunque, che il coerede ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal "de cuius", direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest'ultimo.

5.2. Non sono soggette, peraltro, a collazione né alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente (nella specie, si assume, fatte dalla madre, morta a 98 anni, in favore della figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni), ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalità, e cioè con la consapevole determinazione dell'arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza.

Sono, viceversa, soggette a collazione le donazioni di modico valore fatte da un genitore ad un figlio, non operando al riguardo l'eccezione delineata per il coniuge dall'art. 738 c.c. (Cass. n. 2700 del 2019).

5.3. La Corte d'appello di L'Aquila ha considerato questi fatti noti, storicamente provati: 1) G.L. aveva percepito dal 1981 al 2005 redditi pari ad Euro 258.729,59 + Euro 27.981,90, pari a circa Euro 1.000,00 mensili; 2) con tali redditi la de cuius aveva partecipato alle spese della figlia convivente T.G.; 3) le condizioni di vita di G.L. erano state estremamente modeste; 4) la madre coadiuvava la figlia G. nelle attività domestiche e le donava periodicamente denaro. Da questi fatti noti i giudici del merito sono risaliti a questi fatti ignoti: 1) G.L. spendeva per il suo mantenimento e la cura della sua persona il 60% dei redditi percepiti, risparmiando il residuo 40%, per un capitale di Euro 114.659,40; 2) l'importo di Euro 114.659,40 deve ritenersi "incassato" da T.G., avendo dato luogo ad un "complesso di donazioni lesive della quota di riserva".

5.4. In tal senso, mancano nel ragionamento presuntivo adoperato nella sentenza impugnata i requisiti della "gravità" e della "concordanza" di cui all'art. 2729 c.c. (cfr. Cass. n. 19485 del 2017; n. 9054 del 2022; Cass. Sez. Unite n. 8053 del 2014), riferiti al grado di probabilità e di coerenza della sussistenza del fatto ignoto della donazione di tale somma (pari a Euro 400,00 mensili) fatta da G.L. in favore di T.G., giacché la convivenza per ventiquattro anni fra l'anziana madre e la figlia rende altrettanto normale ipotizzare pure l'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale.

5.5. Inoltre, per ravvisare un "complesso di donazioni" quale base causale delle continuative elargizioni patrimoniali fatte dalla de cuius alla figlia, tratte presuntivamente dall'importo lordo dei redditi percepiti decurtato dell'importo forfetizzato stimato congruo per le esigenze di vita di G.L., i giudici del merito avrebbero dovuto altresì accertare l'esclusivo spirito di liberalità che avesse assistito ogni dazione di denaro dalla madre alla figlia convivente (si vedano Cass. n. 4682 del 2018; Cass. n. 26983 del 2008; Cass. n. 468 del 2010; Cass. n. 809 del 2014).

6. Può pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto:

al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all'obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa, occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall'adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità.

7. Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2023.

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