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Ricorso per cassazione privo di firma digitale, la decisione delle Sezioni Unite

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.6477 del 12/03/2024

Il ricorso per Cassazione presentato telematicamente senza firma digitale è ammissibile, purché accompagnato da un’attestazione di conformità analogica sottoscritta che ne attesti inequivocabilmente la paternità.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 6477 del 12 marzo 2024.

Questo principio è emerso dalla necessità di risolvere un caso specifico in cui un ricorso per cassazione, redatto digitalmente e notificato tramite PEC senza la firma digitale dell’avvocato dello Stato, era stato depositato in forma analogica con l'attestazione di conformità, nonostante ciò contravvenisse all'art. 3-bis della L. 53/94.

Il dibattito giuridico si è concentrato sulla validità della successiva asseverazione ex art. 9 della L. 53/94 sulla copia analogica, considerata insufficiente per attribuire al ricorso un'autorevolezza certa in assenza di firma digitale. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno superato tale obiezione riconoscendo l'efficacia dell'attestazione di conformità e della notifica tramite PEC come elementi sufficienti per determinare la paternità dell'atto, anche in assenza della firma digitale sull'originale del documento informatico.

Questo orientamento della Corte evidenzia un'apertura verso la possibilità di sanare i ricorsi digitali non firmati, presentati in sede di notifica, qualora siano accompagnati da specifiche attestazioni di conformità. La decisione prende atto dell'evoluzione tecnologica e dell'adozione del processo telematico, confermando che l’essenziale è garantire l'attribuzione certa della paternità dell'atto più che l'adesione a formalismi procedurali rigidi.

La sentenza incide profondamente sulla prassi processuale, suggerendo una maggiore flessibilità nell'accettazione dei ricorsi telematici e una potenziale riduzione delle cause di inammissibilità legate alla mancata o errata firma digitale, a favore di una maggiore efficienza e accessibilità della giustizia.

Ricorso in forma di documento informatico, notifica a mezzo PEC, sottoscrizione digitale dell’atto notificato in originale telematico, necessità, conseguenze

Alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (a cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali), il ricorso per cassazione, predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, dev’essere ritualmente sottoscritto con firma digitale a pena di nullità dell’atto stesso, a meno che, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, non sia comunque possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la sua certa paternità.

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Cassazione civile, sez. un., sentenza 12/03/2024 (ud. 16/01/2024) n. 6477

FATTI DI CAUSA


1. - Con ricorso affidato a due motivi, l'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) del Lazio, sezione staccata di Latina, resa pubblica in data 25 giugno 2019, che, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone del 7 novembre 2017, accoglieva l'appello della Unicar Srl e annullava, di conseguenza, l'avviso di accertamento emesso nei confronti di detta società con il quale, per l'anno di imposta 2013, era contestata la detrazione di I.V.A. per l'acquisto di n. 12 autovetture usate, giacché attinente ad operazioni soggettivamente inesistenti in ragione dell'interposizione fittizia della società "cartiera" Blue Eagle di Co. M. & C. Sas

2. - La C.T.R. del Lazio, con la sentenza impugnata in questa sede, accoglieva l'appello del contribuente reputando che il comportamento da esso tenuto non dimostrasse "la sua consapevolezza nella partecipazione ad un meccanismo di frode", non essendo egli "nella possibilità di sapere o di dover sapere" e ciò in forza di una pluralità di elementi, ossia: l'acquisto di veicoli che, al momento della consegna, sono soggetti a registrazione; il mancato coinvolgimento (desumibile dalle "intercettazioni telefoniche") del legale rappresentante della Unicar Srl "nel meccanismo criminoso"; il numero esiguo di autoveicoli acquistati, "pari ad una irrisoria percentuale del totale"; l'incidenza sull'acquisto "ad un prezzo inferiore" delle "politiche aziendali, che mirano ad ottenere un maggior profitto".

2. - L'Agenzia delle Entrate, con il primo motivo di ricorso, ha denunciato, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 19 e 21 del D.P.R. n. 633/1972, per aver la C.T.R. utilizzato a sostegno della decisione argomentazioni "fuorvianti e ultronee", nonché prove "inesistenti, inconsistenti, ininfluenti, non allegate dalle parti", così da invertire lo stesso onere probatorio incombente su di esse, gravando sul contribuente la dimostrazione della propria buona fede, una volta provata dall'amministrazione (come nella specie) "la natura di cartiera della società a monte" dell'operazione in frode.

Con il secondo motivo è, quindi, censurata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 19 e 21, comma settimo, del D.P.R. n. 633/1972, per aver la C.T.R. infranto i principi dettati dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale sull'onere di "diligenza esigibile da un operatore accorto", in assenza di dimostrazione, da parte della Unicar Srl, impresa con "esperienza pluriennale maturata nel settore del commercio degli autoveicoli", di essersi comportata, nella vicenda, in conformità a detto parametro.

3. - Ha resistito con controricorso l'intimata Unicar Srl, la quale, oltre ad argomentare sull'infondatezza dell'impugnazione, ne ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità per "inesistenza" del ricorso, redatto in originale informatico, in quanto privo di sottoscrizione digitale del difensore.

4. - La trattazione del ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza della Sezione Tributaria con ordinanza interlocutoria n. 13879 del 2022 adottata, ai sensi del terzo comma dell'art. 380-bis c.p.c. (ratione temporis vigente), dalla Sezione Sesta Tributaria, dinanzi alla quale la controricorrente aveva depositato memoria, insistendo nell'anzidetta eccezione preliminare.

5. - All'esito dell'udienza pubblica, preceduta dal deposito delle conclusioni scritte del pubblico ministero (nel senso dell'accoglimento del ricorso) e delle memorie di entrambe le parti, la Sezione Tributaria, con ordinanza interlocutoria n. 16454 del 2023, reputando sussistente una questione di massima di particolare importanza in ordine al vizio ravvisabile nel ricorso per cassazione nativo digitale privo della firma digitale del difensore (nella specie, dell'avvocato dello Stato il cui nominativo è indicato in calce al ricorso stesso), ha trasmesso gli atti al Primo Presidente ai sensi dell'art. 374 c.p.c., il quale ha assegnato la causa a queste Sezioni Unite.

6. - La Unicar Srl ha depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Queste Sezioni Unite, su sollecitazione della Sezione Tributaria, sono chiamate a pronunciarsi sulla questione di diritto, di massima di particolare importanza, che attiene ad un requisito di forma del ricorso per cassazione redatto in originale informatico, ossia, se mancando la sottoscrizione con firma digitale del difensore (come nel caso in esame, quale circostanza incontestata dalla stessa difesa erariale dell'Agenzia delle Entrate), un tale vizio sia da ricondursi alla categoria dell'inesistenza, in applicazione del principio generale desumibile dall'art. 161, secondo comma, c.p.c., ovvero a quella della nullità suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156, terzo comma, c.p.c.

2. - La Sezione rimettente evidenzia che, nel caso, trova rilievo "un possibile deficit strutturale dell'atto processuale", richiedendo l'art. 365 c.p.c. (in coerenza con la regola generale posta dall'art. 125 c.p.c.) che il ricorso per cassazione sia "sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo", là dove la causa dell'inammissibilità - come ritenuto, segnatamente, da Cass. n. 18623/2016 - "non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo".

L'ordinanza interlocutoria, richiamando la decisione di questa Corte evocata dalla controricorrente (Cass. n. 3379/2019), espressione di un orientamento consolidato in relazione a ricorso redatto in modalità analogica (tra le altre: Cass. n. 4078/1986; Cass. n. 2691/1994; Cass. n. 6111/1999; Cass. n. 4116/2001; Cass., S.U., n. 11632/2003; Cass. n. 1275/2011), cui si oppone soltanto una pronuncia "assolutamente isolata" (Cass. n. 9490/2007), ricorda che il difetto di sottoscrizione degli atti da parte del difensore (o della parte abilitata a stare in giudizio personalmente) è riconducibile alla categoria dell'inesistenza, in applicazione del "principio generale circa la sorte della sentenza priva di sottoscrizione del giudice, ex art. 161, comma 2, c.p.c.", essendo la sottoscrizione "elemento indispensabile per la formazione" dell'atto processuale.

Quanto, poi, al caso di specie, di ricorso nativo digitale privo di sottoscrizione digitale, la giurisprudenza di questa Corte in medias res - dal Collegio rimettente richiamata - si concentra in due (sole) pronunce: Cass. n. 14338/2017 e Cass., S.U., n. 22438/2018.

Secondo Cass. n. 14338/2017, che "si muove senz'altro nell'egida dell'orientamento tradizionale", la mancanza della firma digitale comporta la nullità del ricorso, essendo la stessa equiparata dal D.Lgs. n. 82/2005 alla sottoscrizione autografa, la quale, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., costituisce "requisito dell'atto introduttivo (anche del processo di impugnazione) in formato analogico".

Con Cass., S.U., n. 22438/2018 si e affermato (sebbene - come riconosce l'ordinanza n. 16454/2023 - quale "snodo logico-giuridico" dell'approdo nomofilattico ex art. 363 c.p.c. sulla questione, diversa, della improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c.) il principio secondo cui il ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo.

La Sezione rimettente, pur dando atto della specifica portata nomofilattica di quel principio, anche ai sensi del terzo comma dell'art. 374 c.p.c., ritiene meritevole di approfondimento la questione di diritto alla luce di una serie di argomentate considerazioni.

Anzitutto, l'inserirsi del precedente del 2018 in contesto giurisprudenziale in cui il vizio attinente al requisito della sottoscrizione del ricorso, dettato ai fini dell'ammissibilità dello stesso atto, è ricondotto alla categoria dell'inesistenza e non della nullità.

Ed ancora, l'ordinanza interlocutoria evidenzia che proprio attraverso il richiamo della nullità le citate Sezioni Unite ipotizzano "il ricorso alla sanatoria del vizio, ove sia possibile attribuire la paternità dell'atto", pur non soffermandosi - per non essere nel caso allora esaminato necessario - ad approfondire se detta paternità "debba pur sempre ricollegarsi ad una sottoscrizione comunque apposta sull'atto, anche se ad altri fini" oppure "una simile indagine possa anche condursi in forza di altri elementi, esterni all'atto processuale".

La Sezione rimettente sostiene, quindi, che, sebbene "diverse disposizioni normative esprimono il c.d. principio di non discriminazione del documento informatico, rispetto a quello analogico o tradizionale" (artt. 20 e 23, comma 2, del C.A.D.; art. 25, parr. 1 e 2, del Reg. UEn. 910/2014), il documento informatico, alla stregua di una sorta di "discriminazione al contrario", "non può di per sé supplire al deficit strutturale da cui esso sia eventualmente affetto, rispetto ai requisiti di forma richiesti dalla norma, salvo che detti requisiti siano direttamente evincibili dal suo corredo informativo".

E nel caso della mancanza della firma digitale - soggiunge l'ordinanza interlocutoria - è ben difficile che la paternità del ricorso possa desumersi aliunde dalle "proprietà" del documento stesso o "dall'utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso". In quest'ultima ipotesi, non potrebbe "comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare", là dove, poi, "è solo l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione (relativa) di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex art. 20, comma 1-ter, del C.A.D., non anche l'uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale".

La Sezione Tributaria, infine, assume, con specifico riferimento all'Avvocatura dello Stato, che, sebbene la relativa difesa abbia carattere impersonale, è "imprescindibile", tuttavia, "che l'atto processuale debba essere comunque riferibile con certezza ad avvocato dello Stato perfettamente identificabile". Difatti, il patrocinio assunto dall'Avvocatura erariale esclude soltanto la necessità del rilascio della procura speciale ex art. 365 c.p.c., ma non "l'assunzione di paternità circa il contenuto dell'atto, riconducibile evidentemente alla sottoscrizione", a tal fine non potendosi neppure ricorrere alla firma per autentica di detta procura, per l'appunto non necessaria nel caso in cui la parte sia abilitata ad avvalersi del suo patrocinio.

3. - L'impugnazione proposta dall'Agenzia delle Entrate, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, contro la Unicar Srl per la cassazione della sentenza emessa il 25 giugno 2019 dalla C.T.R. del Lazio, sezione staccata di Latina, è ammissibile.

3.1. - Viene in rilievo un ricorso redatto in forma di documento informatico, privo di firma digitale, e, come tale, notificato a mezzo p.e.c. (dall'indirizzo del mittente: [email protected]) il 27 gennaio 2020, ma depositato in copia analogica l'11 febbraio 2020 (unitamente alle copie cartacee dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione) e munito di attestazione di conformità, ex art. 9 della legge n. 53 del 1994, con sottoscrizione autografa dell'Avvocato dello Stato Salvatore F..

Tale, dunque, è la fattispecie processuale che - nell'ottica di necessaria compenetrazione tra l'esercizio dei compiti di nomofilachia e la vicenda portata alla cognizione del giudice - segna il perimetro entro il quale si colloca la decisione di ammissibilità.

3.2. - Nella specie occorre tenere conto, pertanto, del regime precedente a quello che si è venuto a determinare, dapprima, con la facoltatività, dal 31 marzo 2021, del deposito telematico a valore legale degli atti di parte nel giudizio di cassazione (e ciò per effetto del decreto direttoriale DGSIA del 27 gennaio 2021, pubblicato sulla G.U. 28 gennaio 2021, n. 22 ed emanato ai sensi dell'art. 221, comma 5, del D.L. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020) e, quindi, a definire con l'obbligatorietà di detto deposito a partire dal 1° gennaio 2023 (in virtù dell'art. 196-quater disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 4 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149).

Il contesto è, dunque, quello in cui, non potendosi procedere in cassazione al deposito telematico del ricorso nativo digitale come tale notificato, era affidato alla parte l'onere di attestare, ai sensi dell'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 (e successive modificazioni), la conformità al predetto atto processuale originale della copia analogica depositata.

Ed è in siffatto contesto che la sentenza n. 22438 del 2018 di queste Sezioni Unite ha avuto modo di affermare - nello sviluppo dell'iter argomentativo avente ad oggetto, segnatamente, la questione di procedibilità ex art. 369, primo comma, c.p.c. di ricorso nativo digitale notificato a mezzo p.e.c. e depositato in copia analogica priva di asseverazione ai sensi del citato art. 9 della legge n. 53/1994 - che la mancanza di sottoscrizione digitale del ricorso nativo digitale notificato (ossia, del documento informatico originale) costituisce un "vizio che potrebbe determinare la nullità dell'atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo".

3.3. - A tal riguardo varrà rammentare che la giurisprudenza di questa Corte (tra cui quella stessa indicata dall'ordinanza interlocutoria n. 16454/2023) assegna all'elemento formale della sottoscrizione la funzione di nesso tra il testo ed il suo apparente autore, affinché possa dirsi certa la paternità dell'atto processuale.

A tal fine, dunque, la sottoscrizione si rivela elemento indispensabile per la formazione dell'atto stesso, il cui difetto ne comporta (come, per l'appunto, sovente affermato) l'inesistenza (in forza dell'estensione del principio della nullità insanabile stabilito dal secondo comma dell'art. 161 c.p.c.), qualora, però, non ne sia desumibile la paternità da altri elementi, come, in particolare, la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso (tra le altre: Cass. n. 4078/1986; Cass. n. 6225/2005; Cass. n. 9490/2007; Cass. n. 1275/2011; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 32176/2022).

La funzione di rendere certa la paternità dell'atto processuale può, quindi, essere assolta tramite elementi, qualificanti, diversi dalla sottoscrizione dell'atto stesso, che consentano, tuttavia, di avere certezza su chi ne sia l'autore; uno scopo, dunque, che, in siffatti stretti termini, è conseguibile aliunde.

3.3.1. - Un orientamento, questo, che la citata Cass., S.U., n. 22438/2018, muovendosi nella ricordata realtà 'ibrida' del processo civile telematico di legittimità (in cui, come detto, il ricorso, nativo digitale e notificato a mezzo p.e.c., doveva necessariamente essere depositato in formato analogico corredato da attestazione di conformità), ha ribadito alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull'Unione europea; art. 6 CEDU) il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all'accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (così anche: Cass., S.U., n. 25513/2016; Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024).

Di qui, pertanto, anche la rinnovata vitalità assegnata al principio cardine di "strumentalità delle forme" degli atti del processo, dalla legge prescritte non per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma in quanto strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come il traguardo che la norma disciplinante la forma dell'atto intende conseguire (tra le molte: Cass. n. 9772/2016; Cass., S.U., n. 14916/2016; Cass., S.U., n. 10937/2017; Cass. n. 8873/2020; Cass. n. 31085/2022; Cass. n. 14692/2023).

3.4. - L'atto su cui, pertanto, queste Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi è la copia cartacea del ricorso per cassazione depositata dall'Agenzia delle Entrate e asseverata, unitamente alle copie cartacee dei messaggi di p.e.c., dall'Avvocato dello Stato Salvatore F..

3.4.1. - Nella specie, non è in discussione la conformità della copia al contenuto del ricorso nativo digitale, perché nulla è stato eccepito sul punto dal controricorrente.

I rilievi della Unicar Srl, infatti, si concentrano soltanto sull'assenza di firma digitale sull'originale del documento informatico, contestandosi, altresì, che l'apposta asseverazione ex art. 9 della legge n. 53/1994 sulla copia in formato analogico possa assolvere allo scopo di riferire l'atto al suo autore e cioè all'Avvocato dello Stato F., anche perché in essa è attestato "un fatto non vero: ovverosia il fatto che il ricorso fosse stato sottoscritto digitalmente" (così a p. 9 della memoria depositata per l'udienza del 16 gennaio 2024; ma la contestazione era già presente a p. 3 della memoria depositata per l'udienza del 29 settembre 2022).

3.4.2. - Invero, pur essendo pacifica la circostanza della mancanza di sottoscrizione del ricorso nativo digitale notificato via p.e.c., non è, anzitutto, in discussione (neppure da parte della società controricorrente) la riferibilità del ricorso stesso alla difesa erariale dell'Avvocatura generale dello Stato in quanto tale, essendo ciò comprovato, comunque, dalla relativa notificazione eseguita dall'indirizzo p.e.c. ([email protected]) censito nei pubblici registri e riferibile alla medesima Avvocatura, alla quale, in forza dell'art. 1, comma primo, del R.D. n. 1611 del 1933, spettano "(l)a rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo".

E tanto è consentito ritenere proprio in forza della natura impersonale del relativo patrocinio dalla legge stabilita e che viene a configurare un "unicum" rispetto alla difesa in giudizio di tutti gli altri enti pubblici che si avvalgano di avvocati del libero foro o dei propri uffici legali, essendo in questi casi il mandato difensivo sempre conferito al singolo avvocato in rappresentanza dell'ente.

Di ciò se ne ha ora conferma esplicita in base alle modifiche recentemente apportate al D.M. 44/2011 dal D.M. n. 217/2023 (modifiche entrate in vigore il 14 gennaio 2024), per cui l'Avvocatura dello Stato è espressamente menzionata, anche nelle sue articolazioni distrettuali, all'art. 2, comma 1, lettera m), n. 4, tra i soggetti abilitati esterni pubblici. Pertanto, è l'Avvocatura dello Stato in quanto tale ad essere censita sul registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (c.d. Reginde: art. 7 del D.M. n. 44/2011), quale difensore abilitato a operare nell'ambito del p.c.t., non i singoli avvocati e procuratori dello Stato e tanto in ragione proprio della ricordata natura impersonale del relativo patrocinio.

Del resto, il carattere impersonale della difesa dell'Avvocatura dello Stato è profilo più volte rimarcato dalla giurisprudenza di questa Corte che, anche in riferimento alla rappresentanza e difesa in giudizio delle Agenzie fiscali, ha affermato che gli avvocati dello Stato sono pienamente fungibili nel compimento di atti processuali relativi ad un medesimo giudizio, per cui l'atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l'atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa (tra le altre: Cass. n. 4950/2012; Cass. n. 13627/2018). E nella stessa prospettiva si è, altresì, precisato che, nel caso di ricorso proposto per conto di un'amministrazione dello Stato, se non si contesta che la sottoscrizione provenga da un legale dell'Avvocatura generale dello Stato, non rileva neanche se lo stesso si identifichi o meno con il nominativo indicato nell'epigrafe o in calce al ricorso (Cass., S.U., n. 59/1999; Cass. n. 21473/2007).

3.4.3. - Quanto, poi, alla necessità della sottoscrizione del ricorso nativo digitale depositato in modalità analogica da un determinato avvocato dello Stato, una siffatta esigenza è, nella specie, da ritenersi soddisfatta dall'attestazione di conformità sottoscritta dall'avvocato dello Stato F., di cui non è affatto contestata tale qualità.

L'asseverazione datata 29 gennaio 2020, nonostante attesti, in contrasto con la realtà fenomenica, che l'originale informatico dell'atto sia "sottoscritto con firma digitale dall'Avvocato dello stato Avv. Salvatore F.", risulta comunque chiaramente riferita al ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate contro la Unicar Srl e agli allegati messaggi di p.e.c. relativi alla notificazione del ricorso medesimo in data 27 gennaio 2020. E la inequivoca riferibilità dell'attestazione anzidetta al ricorso per cui è causa è circostanza che, invero, non è messa in discussione neppure dalla parte controricorrente, le cui difese, come detto, insistono sul profilo giuridico dell'inesistenza di ricorso nativo digitale privo di sottoscrizione e sulla inidoneità dell'attestazione ex lege n. 53/1994 a supplire a tale carenza.

Contrariamente, dunque, a quanto ritenuto dalla Unicar Srl, detta asseverazione esprime la paternità certa dell'atto, proveniente dall'Avvocatura generale dello Stato, in capo allo stesso avvocato dello Stato F., operando in termini che, nello specifico contesto dato, possono ben essere assimilati alla certificazione dell'autografia della sottoscrizione della procura alle liti, palesando anzi, in maniera anche più evidente di quest'ultima (che si riferisce indirettamente all'atto cui accede), il nesso tra l'atto e il suo autore.

3.5. - Pertanto, nella peculiarità della delineata situazione processuale 'ibrida' e in continuità con l'indirizzo, ribadito anche da Cass., S.U., n. 22438/2018 (alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale, cui si raccorda quello di strumentalità delle forme processuali), per cui è possibile desumere aliunde, da elementi qualificanti, la paternità certa dell'atto processuale, va ritenuto che la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell'Avvocatura generale dello Stato censita nel Reginde e il deposito della copia di esso in modalità analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall'avvocato dello Stato, rappresentano elementi univoci da cui desumere la paternità dell'atto, rimanendo così superato l'eccepito vizio in ordine alla mancata sottoscrizione digitale dell'originale informatico del ricorso.

4. - Il ricorso dell'Agenzia delle Entrate va, dunque, dichiarato ammissibile e il relativo esame rimesso alla Sezione Tributaria.

P.Q.M.

dichiara ammissibile il ricorso e ne rimette l'esame alla Sezione Tributaria.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili della Corte Suprema di cassazione, in data 16 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2024.

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