Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.12317 del 09/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9764/2014 R.G. proposto da:

D.G.P., D.G.A. (n. il *****), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Francesco Corina, con domicilio eletto in Roma, via di Villa Grazioli 15, presso lo studio dell’avv. Benedetto Gargani;

– ricorrenti –

contro

D.G.A., (n. il *****), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. Francesco Paolo Gallo, con domicilio eletto in Roma, via Fulcieri Paulucci dè

Calboli 60, presso lo studio dell’avv. Cinzia Ammirati;

– controricorrenti –

D.G.F.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 599 depositata il 6 maggio 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Roberto Catalano, per delega, per i ricorrenti.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari ha ordinato la divisione dei beni ereditari di D.G.P.V., il quale era deceduto ab intestato il 9 agosto 1983, lasciando i figli nati dal primo patrimonio D.G.P. e A., il coniuge G.G. e i figli nati dal matrimonio con questa D.G.F. e A. (n. il *****).

La causa era stata proposta dai figli nati dal primo matrimonio contro i coeredi e nel giudizio fu richiesto che i figli in secondo nozze conferissero in collazione dei terreni in Castrovillari loro donati dal de cuius con atto del 23 luglio 1990.

I medesimi attori iniziavano poi un’altra causa al fine di ottenere l’accertamento che la vendita per notaio M. del 23 settembre 1957, con la quale il de cuius aveva venduto a G.G., all’epoca ancora nubile, altro appezzamento di terreno in Castrovillari, simulava una donazione soggetta a collazione.

Gli attori sostenevano che l’obbligo di collazione di quanto simulatamente donato doveva essere esteso ai figli della G., ai quali la donataria aveva a sua volta donato il bene.

La corte d’appello rilevava, quanto alla donazione fatta ai figli in seconde nozze, che essa era stata fatta con dispensa da collazione, per cui la liberalità non doveva costituire oggetto di conferimento.

Quanto alla vendita intercorsa fra il de cuius e il futuro coniuge G.G. nel 1957, la corte rilevava che gli attori non avevano dedotto in giudizio la lesione della loro quota di legittima, nè avevano proposto l’azione di riduzione. Conseguentemente essi non potevano giovarsi delle agevolazioni probatorie concesse al legittimario, avendo agito come eredi del de cuius ai fini della ricostituzione dell’asse ereditario.

La corte, quindi, concludeva che la divisione dovesse farsi solo sui beni relitti, costituiti da un terreno in Castrovillari e dalla la quota di 1/2 di un fabbricato in *****, sui quali i legittimari dovevano comunque intendersi chiamati, in applicazione dell’art. 553 c.c., per quota non inferiore a quella di riserva determinata sulla base della riunione fittizia del relictum al donatum, costituito dalla donazione effettuata in vita dal de cuius in favore dei figli del secondo matrimonio con l’atto del 1990.

Contro la sentenza D.G.P. e D.G.A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il ricorso è stato notificato a D.G.A. e D.G.F. anche in qualità di eredi della G.G., nel frattempo deceduta.

D.G.A. ha resistito con controricorso, mentre D.G.F. è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In considerazione della morte di G.G., contumace nel giudizio d’appello, il ricorso è proposto contro D.G.F. e D.G.A., parti costitute nel giudizio d’appello, sia nella loro qualità originaria, sia nella loro qualità di eredi della G..

Il ricorrente ha quindi provveduto alla notifica del ricorso a D.G.A. e D.G.F. sia nel domicilio eletto per il giudizio d’appello, sia personalmente nella qualità di eredi della madre deceduta.

La notificazione personale è stata fatta ai due eredi a mezzo del servizio postale, tuttavia è stato prodotto l’avviso di ricevimento della sola notificazione eseguita al controricorrente D.G.A. e non anche quella a D.G.F., rimasto intimato nel giudizio di cassazione.

In relazione a tale carenza non occorre disporre la rinnovazione della notificazione, dovendo trovare applicazione il principio secondo cui “(…) qualora una medesima persona fisica cumuli in sè la qualità di parte in proprio e quale erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (Cass. n. 6844/2012; conf. n. 13411/2008; n. 1613/2003).

Il principio, benchè letteralmente riferito all’erede già costituito in proprio, è applicabile anche nel caso in esame.

Si ribadisce che il ricorso, proposto contro D.G.F., nella duplice qualità, è stato a costui notificato presso il difensore nel domicilio eletto. Una ulteriore notificazione nella qualità di erede sarebbe superflua e contraria al principio di ragionevole durata del processo, in quanto riferita a un atto del quale il destinatario ha già avuto legale conoscenza (Cass. n. 1613/2003 cit.).

2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1417 c.c..

Si sostiene che, ai fini della prova della simulazione degli atti compiuti dal de cuius, deve riconoscersi la veste di terzo anche all’erede legittimo che chieda, nei confronti del coerede, l’accertamento della simulazione al fine della collazione.

Tale facoltà è stata ingiustamente negata dalla Corte d’appello, in base al rilievo che la qualità di terzo compete solo al coerede quando agisca quale legittimario ai fini del recupero o della reintegrazione della quota di riserva.

Il secondo motivo, coordinato con il precedente, denuncia violazione degli art. 3 e 24 Cost..

Se fosse vero che l’erede che fa valere la simulazione al fine di ottenere la collazione della donazione dissimulata è soggetto ai limiti probatori imposti ai contraenti, il principio sarebbe irragionevole, non avendo l’erede alcuna possibilità di provare diversamente la simulazione orchestrata in suo danno.

3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

La corte ha fatto applicazione di un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte. Agli effetti della prova della simulazione di atti posti in essere da de cuius, bisogna distinguere fra la situazione del legittimario che agisce a tutela della quota di riserva e quella del legittimario che propone una mera istanza di collazione. Nel primo caso il legittimario, anche se chiamato a una quota di eredità, ha la veste di terzo, purchè, congiuntamente con la domanda di simulazione, proponga, nello stesso giudizio, un’azione diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso. Nel secondo caso il legittimario agisce come successore a titolo universale del de cuius per l’acquisizione al patrimonio ereditario del bene oggetto del contratto simulato: egli, pertanto, si trova nella medesima posizione giuridica del dante causa ed è quindi soggetto ai limiti imposti ai contraenti per la prova della simulazione (Cass. n. 7134; /2001; n. 2093/2000; nello stesso senso Cass. n. 7237/2017; n. 3932/2016).

4. Mentre l’azione di riduzione riflette un’autonoma legittimazione del legittimario ad agire contro la volontà del defunto (e ciò appunto giustifica la qualità di terzo rispetto al negozio simulato posto in essere dal de cuius), la collazione trova il suo fondamento nella presunzione (conforme alla corrente valutazione sociale) che il de cuius, facendo in vita donazioni al coniuge e ai figli, abbia semplicemente voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione (Cass. n. 989/1995).

In questo senso funzione della collazione è di conservare fra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo ai coeredi, che siano il coniuge o il discendente, di conteggiare il valore della quota non solo sui beni relitti, ma anche sui beni donati a taluno di loro. Il criterio di ripartizione, tenuto dal testatore o stabilito dalla legge, è operante anche in sede di collazione (Cass. n. 21896/2004).

La quota di riserva è riservata al legittimario da norme cogenti, mentre le norme sulla collazione sono derogabili: una diversa volontà del de cuius, manifestata attraverso un atto di dispensa formalmente valido (Cass. n. 1843/1961), trova unico limite nella intangibilità dei diritti dei legittimari (Cass. n. 836/1973). La dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento, ma non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile (Cass. n. 74/1967). La dispensa da collazione non sottrae la donazione dalla riduzione se essa sia lesiva della legittima altrui (Cass. n. 13660/2017).

5. Si osserva che in quanto la collazione obbliga i coeredi accettanti a conferire nell’asse ereditario i beni ricevuti con atti di liberalità, essa può raggiungere il risultato di eliminare le eventuali lesioni di legittima realizzati attraverso tali atti, senza necessità del ricorso alla tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima (Cass. n. 1521/1980). Tuttavia l’eventualità che la collazione, tramite il rientro del bene donato nella massa da dividere, possa sortire l’effetto di porre rimedio a una lesione di legittima non significa che la collazione debba essere intesa come strumento per reintegrare la legittima (Cass. n. 22097/2015).

Senza che sia necessario indugiare sulle molteplici differenza fra collazione e azione di riduzione, agli effetti che qui rilevano è sufficiente considerare che non ogni donazione soggetta a collazione, in quanto fatta al coniuge e al discendente, è contemporaneamente soggetta a riduzione e viceversa.

Ex art. 559 c.c. le donazioni non si riducono proporzionalmente come le disposizioni testamentarie, ma “cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori” (art. 559 c.c.).

Tale norma consente al legittimario di aggredire la donazione meno recente solo quando la riduzione della donazione più recente non sia stata sufficiente a reintegrare la quota di riserva (cfr. 22632/2009; n. 3500/1975). Ma se tanto il legittimario quanto il donatario sono coeredi discendenti (o il coniuge) del defunto, il fatto che la donazione anteriore non superi la disponibile, non sottrae la liberalità dalla collazione. Infatti, per la collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l’art. 737 c.c. non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall’art. 556 c.c., giacchè la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell’altrui legittima: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l’eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l’eccedenza, all’azione di riduzione (Cass. n. 711/1966).

6. Insomma le donazioni fatte al coniuge e ai discendenti sono indistintamente soggette a collazione, salvo che il defunto non abbia espresso una volontà contraria, ma sono nello stesso tempo soggette a riduzione solo quelle che, per essere ultime in ordine di tempo, abbiano intaccato la legittima.

Quando il legittimario sia nello stesso tempo, e con riguardo a una medesima donazione, legittimato in collazione e in riduzione, occorre comunque considerare che la collazione attribuisce al coerede un concorso sul valore della donazione, di regola realizzato attraverso un incremento della partecipazione sul relictum (artt. 724 e 725 c.c.), laddove, nella misura della lesione di legittima, il legittimario ha diritto alla reintegrazione in natura (Cass. n. 1809/1969). Non sempre quindi il meccanismo della collazione è idoneo a far conseguire al legittimario la legittima nella sua integrità anche qualitativa. Si giustifica pertanto l’opinione che ammette il concorso dell’azione di riduzione con l’azione di collazione: nella misura occorrente per integrare la legittima soccorre l’azione di riduzione (Cass. n. 22097/2015), mentre la collazione interverrà in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata integrata, per la redistribuzione del valore della liberalità che eccede l’ammontare di quello espresso con la indisponibile.

7. L’ammissibilità, con riferimento a una medesima donazione, del concorso fra collazione e azione di riduzione non significa che il legittimario, concorrente nella successione con coeredi tenuti al conferimento ai sensi dell’art. 737, non possa accontentarsi della tutela offerta dalla collazione e limitarsi a chiedere solo questa, senza ricorrere alla specifica tutela apprestata dall’azione di riduzione (Cass. n. 2196/1953).

A un attento esame, diversamente da quanto ventilato dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso, è solo in relazione a questa eventualità che potrebbe sorgere il dubbio se le agevolazioni probatorie, accordate al legittimario che agisce a tutela della quota di riserva con l’azione di riduzione, siano da riconoscere anche in funzione della mera istanza di collazione della donazione dissimulata.

8. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine di riconoscere al legittimario lo svincolo dalle limitazioni di prova, “non è certo sufficiente la mera allegazione della qualità di legittimario”, ma occorre che “sia prospettata la lesione, e che si agisca per la reintegrazione della porzione legittima” (Cass. n. 1244/1977). Nella giurisprudenza successiva la medesima condizione – propriamente riferita al caso in cui il negozio sia impugnato per simulazione assoluta oppure, nel caso di simulazione relativa, il negozio dissimulato non risponda ai requisiti di forma e di sostanza: in tal caso, infatti, i beni fanno parte non del donatum, ma del relictum e quindi, in ipotesi la simulazione sia provata, destinati a essere recuperati all’asse ereditario per intero, non con l’azione di riduzione, ma con la petitio hereditatis (Cass. n. 24134/2009; n. 19468/2005; n. 14562/2004) – è espressa dicendo che “il legittimario ha la veste di terzo ai fini della prova della dedotta simulazione purchè la lesione della quota di riserva assurga a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e condizioni l’esercizio del diritto alla reintegra” (Cass. n. 5947/1986; n. 24134/2009; n. 26262/2008; n. 13706/2007).

Consegue da tali principi che il dubbio espresso alla fine del paragrafo precedente, se le agevolazioni probatorie debbano essere riconosciute anche al legittimario che agisce in collazione, potrebbe avere soluzione positiva solo quando l’accertamento della simulazione sia richiesto in base ai medesimi presupposti. In altre parole, posto che la collazione (diversamente dall’azione di riduzione) non è uno strumento di tutela della legittima, occorrerebbe pur sempre che, accanto al fatto della simulazione, “sia prospettata la lesione, e che si agisca per la reintegrazione della porzione legittima” (Cass. n. 1244/1977 cit.), seppure con un mezzo diverso dalle azioni di reintegrazione in senso proprio.

Al contrario si legge in proposito nella sentenza impugnata “gli appellanti non hanno mai dedotto la lesione della loro quota di legittima (…), ma sia in primo grado che in appello hanno chiesto la collazione al solo fine di ricostituire l’asse ereditario e procedere alla divisione”.

In relazione all’indicata ed esclusiva finalità della domanda, che non ha costituito oggetto di censura, la corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio, cui si intende dare incondizionata continuità, che l’erede legittimario, il quale fa valere il proprio diritto alla collazione al fine della formazione della massa in funzione della divisione, agisce per l’attuazione di un diritto derivato dal defunto, soggetto a tutti i limiti da lui costituiti, fra i quali il limite della simulazione, la cui prova potrà essere data solo con i mezzi di cui disponeva il de cuius (Cass. n. 536/2018; n. 402/2007; n. 7134/2001; n. 2093/2000; n. 4024/1998).

Il dubbio di costituzionalità ventilato con il secondo motivo non ha pertanto ragion d’essere.

9. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1417 c.c..

La sentenza è censurata nella parte in cui la corte di merito ha affermato che “con riguardo alla formazione delle quote occorre procedere alla riunione fittizia fra il relictum e quanto donato a d.G.F. ed A. (classe *****) da P. con il rogito del 1990, al fine di stabilire la quota spettante agli appellanti e ferma restando l’inattaccabilità delle donazioni effettuate”.

Si sostiene che in applicazione di tale criterio la corte doveva conteggiare nella riunione fittizia anche il bene donato nel 1957 al futuro coniuge con atto mascherato da compravendita, previa riconoscimento del diritto dell’erede legittimo di provare la simulazione anche per presunzioni, in qualità di terzo.

10. Il motivo è fondato.

La corte è partita dalla considerazione che la donazione in favore dei due figli del de cuius nati dal secondo matrimonio non era soggetta a collazione, in quanto c’era la dispensa. Conseguentemente i donatari erano esonerati dal conferimento del donatum; tuttavia, sempre secondo la corte di merito, ciò non conduceva al rigetto della domanda di divisione, dovendosi comunque procedere alla divisione dei beni relitti, costituiti da un terreno in Castrovillari e dalla quota indivisa di 1/2 di un fabbricato in *****.

In ordine al criterio da applicare nella divisione la corte ha richiamato il principio di Cass. n. 1521 del 1980: “In base all’art. 553 c.c., anche nel caso in cui i successori siano tutti legittimari, il legittimario, essendo chiamato alla successione ab intestato sul relictum in una quota non inferiore alla sua quota di riserva, non ha alcun bisogno, per ottenere quanto riservatogli, di ricorrere all’azione di riduzione delle donazioni ai sensi dell’art. 555 c.c., qualora il relictum sia sufficiente a coprire la quota predetta quale risulta dalla riunione fittizia tra relictum e donatum, operazione che, non essendo finalizzata soltanto all’attuazione della riduzione, deve essere compiuta non solo quando si debba procedere a tale azione ma in ogni caso di concorso di legittimari nella successione, per determinare la quota di riserva spettante a ciascuno di essi. Ne consegue che, nel caso di successione di figli legittimi, la dispensa dalla collazione relativa alle donazioni effettuate in favore di uno dei coeredi, se importa che la successione e la divisione (secondo le quote previste dall’art. 566 c.c.) debbano essere limitate al relictum, senza che a detta dispensa, nel caso di prescrizione dell’azione di riduzione, possa più opporsi il limite costituito dall’intangibilità della legittima, non esclude che la porzione spettante sul relictum al coerede donatario debba essere ridotta di quanto necessario ad integrare la quota di riserva spettante (in base all’operazione predetta) agli altri coeredi, ferma peraltro – in forza della prescrizione dell’azione di riduzione – l’inattaccabilità delle donazioni anche nel caso in cui il relictum non sia sufficiente all’integrazione della quota di riserva”.

In applicazione di tale principio la Corte d’appello calabrese ha affermato che, in considerazione della dispensa da collazione contenuta nella donazione del 1990 ai figli del primo matrimonio, la divisione aveva per oggetto solo i beni relitti. Nondimeno, con riguardo alla formazione delle quote, ha riconosciuto che occorreva procedere “alla riunione fittizia fra il relictum e quanto donato a D.G.F. e A. da P. con il rogito del 1990, al fine di stabilire la quota spettante agli appellanti e ferma restando l’inattaccabilità della donazione effettuata”.

11. L’art. 553 c.c. presuppone implicitamente che il de cuius abbia disposto di parte dei suoi beni per donazione o testamento, e pertanto che la successione legittima si apra su una parte soltanto del patrimonio (inteso come comprensivo del relictum e del donatum). In questi casi può accadere che la quota attribuita ai legittimari dalle norme sulla successione legittima risulti inferiore a quella loro riservata dalle norme relative alla successione necessaria: così nel caso di concorso del coniuge con un fratello, la quota spettante al primo in base all’art. 582 c.c. (che è di due terzi, ma calcolati sui soli beni devoluti ab intestato) può essere talvolta inferiore di quella riservata dall’art. 540 c.c. (che è di metà, ma computata sulla somma dell’intero relictum con il donatum).

Tale premessa spiega il contenuto del primo inciso dell’art. 553 in esame, secondo il quale, quando, sui beni del defunto, si apra (in tutto o in parte) la successione legittima e vi siano altri successibili, in concorso con legittimari, le porzioni che spetterebbero a quei primi vanno ridotte proporzionalmente, e nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata agli eredi legittimi, che siano anche legittimari.

E’ stato rilevato che il termine riduzione è inesatto, in quanto tale norma comporterebbe una automatica compressione delle quote stabilite dalle norme sulla successione legittima, che non presuppone l’esercizio dell’azione di riduzione, ma avviene di diritto, attraverso il coordinamento delle norme, dispositive, dettate per la successione legittima, con quelle, cogenti, dettate per i legittimari: il non legittimario non succede nella quota in astratto predisposta, che viene successivamente compressa in rapporto a quanto spetti ancora al legittimario, ma succede subito nella quota che risulterà spettante in concreto. In caso di contestazioni, la sentenza ha sul punto funzione di mero accertamento di un effetto giuridico già prodotto.

Si deve però convenire che, perchè un tale effetto si produca, è comunque necessaria una dichiarazione di volontà dei legittimari, i quali debbono domandare che la loro quota sia calcolata a norma dell’art. 556 c.c. attraverso il procedimento di riunione fittizia; se i legittimari non chiedono la riunione fittizia, l’eredità si devolve secondo le quote stabilite per la successione legittima.

A sua volta una tale domanda implica una deduzione specificamente rivolta a tal fine, non essendo sufficiente una generica istanza di collazione. Questa, di per sè, non prelude al procedimento di riunione fittizia, rappresentando, “in entrambe le forme in cui e prevista dalla legge (in natura o per imputazione), un mezzo giuridico preordinato alla formazione della massa ereditaria da dividere, in guisa che, nei reciproci rapporti tra determinati coeredi, siano assicurati, in senso relativo, l’equilibrio e la parità di trattamento, al fine che non venga alterato il rapporto di valore fra le varie quote e sia garantito a ciascuno degli eredi stessi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota” (Cass. n. 2453/1976).

Con l’art. 553 c.c. si dà base testuale al principio che l’azione di riduzione contro i destinatari di donazioni o disposizioni testamentarie non è ammessa, nel caso in esame, se non quando – e nella misura in cui – la riduzione di diritto delle quote degli altri eredi legittimi non sia sufficiente per reintegrare la riserva dei legittimari. L’azione di riduzione potrà essere esperita solo per ovviare a quella parte di lesione che sopravviva nonostante il sacrificio totale delle porzioni dei coeredi non legittimari.

12. Secondo Cass. n. 1521 del 1980 l’art. 553 c.c. è espressione di un principio generale, applicabile anche al concorso fra legittimari.

In base a tale principio, in presenza di una donazione per la quale sia prevista la dispensa da collazione, la norma importa che le quote della successione intestata si applicano solo se la ripartizione che ne deriva non sia lesiva della quota di riserva. In caso contrario la donazione fatta con dispensa è comunque imputata nella quota del donatario nella misura occorrente per soddisfare la legittima altrui, mentre la donazione sarebbe soggetta a riduzione solo in caso di insufficienza del relictum e nei limiti di tale insufficienza (sempre che l’azione di riduzione sia ammissibile e sia stata in concreto proposta).

13. La corte di merito con la sentenza impugnata ha condiviso il principio circa l’applicabilità dell’art. 553 c.c. anche al concorso fra legittimari.

La relativa statuizione non ha costituito oggetto di impugnazione; analogamente non ha costituito oggetto di impugnazione la scelta della corte di riconoscere d’ufficio l’effetto previsto dall’art. 553 c.c., pur se i legittimari non avevano domandato che la loro quota fosse calcolata a norma dell’art. 556 c.c. con il procedimento di riunione fittizia.

E’ quindi un dato oramai acquisito della controversia che la quota spettante ai legittimari nella divisione deve essere determinata con il procedimento di riunione fittizia del relictum al donatum.

Proprio in questa fase della decisione si innesta l’errore commesso dalla corte d’appello, nella parte in cui ha limitato il donatum alle sole donazioni palesi, nonostante vi fosse una specifica domanda volta a fare accertare la simulazione dell’atto per notaio M. del 23 settembre 1957, con il quale il de cuius, sotto l’apparenza del negozio oneroso, avrebbe donato al futuro coniuge G.G. un terreno in Castrovillari.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte: “l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, diretta a dissimulare, in realtà, una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è terzo rispetto alle parti contraenti, sicchè la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limiti quando, sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva, proponga contestualmente all’azione di simulazione una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso” (Cass. n. 19912/2014; n. 6632/2006).

In altre pronunce il principio è formulato in termini più ampi, in modo da ricomprendere l’ipotesi del legittimario che impugni il negozio di simulazione assoluta oppure il negozio dissimulato sia nullo per difetto di forma. E’ stato già chiarito che, in questo caso, il legittimario integra la legittima sul bene oggetto della vendita assolutamente simulata mediante la petitio hereditatis contro il simulato acquirente, non con l’azione di riduzione.

“L’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita compiuta dal de cuius siccome celante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo in concreto una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata. In tale situazione, infatti, la lesione della quota di riserva assurge a causa petendi accanto al fatto della simulazione ed il legittimario – benchè successore del defunto – non può essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c.; nè assume rilievo il fatto che egli – oltre all’effetto di reintegrazione riceva, in quanto sia anche erede legittimo, un beneficio dal recupero di un bene al patrimonio ereditario, non potendo applicarsi, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria e per un’altra una regola diversa” (Cass. n. 24134/2009).

14. A un attento esame l’esatta comprensione del fenomeno impone la formulazione di un principio di ancora più ampia portata: la qualità di terzo compete al legittimario alla sola condizione che l’accertamento della simulazione sia richiesto in funzione del pieno conseguimento della quota legittima, il che non implica necessariamente che, insieme alla domanda di simulazione, sia stata in concreto proposta “una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata” (così Cass. n. 24134/2009), essendo a tal fine sufficiente, anche sotto il profilo dell’interesse ad agire, che la simulazione sia stata fatta valere in funzione di un effetto dipendente dalla riunione fittizia (cfr. Cass. n. 2620/1951), qual è certamente quello previsto dall’art. 553 c.c..

15. E’ stato già chiarito che le quote ab intestato, in presenza di donazioni, non garantiscono al legittimario il conseguimento della quota riservata. Questa, a differenza della prima, non è calcolata solo sul relictum, ma anche sul donatum. La quota devoluta al legittimario ex lege potrebbe quindi risultare talvolta di valore inferiore alla quota di riserva. E’ quindi evidente il pregiudizio che si verificherebbe, in danno del legittimario, se tale quota riservata fosse calcolata senza conteggiare nella massa il bene oggetto di una donazione dissimulata. D’altronde è acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che la riunione fittizia (in quanto diretta a ricostruire l’intero patrimonio del de cuius, che la legge considera come termine di riferimento per la determinazione della quota disponibile e di riflesso per quella delle quote di riserva) non è legata necessariamente alla proposizione dell’azione di riduzione, ponendosi come un prius indispensabile alle operazioni divisionali quando vi sia concorso di eredi legittimari (Cass. n. 74/1967; n. 837/1986).

16. La corte di merito, da un lato, ha negato ai legittimari attori la veste di terzi in quanto non avevano speso la relativa qualità, ma avevano agito “al solo scopo di ricostituire l’asse ereditario e procedere alla divisione”: ha quindi negato l’ammissibilità della prova per presunzioni con riferimento alla simulazione relativa della vendita stipulata dal de cuius e il futuro coniuge nel 1957; dall’altro, con insanabile contraddizione, ha riconosciuto che, ai fini della divisione dei beni relitti, la misura della partecipazione degli appellanti doveva essere determinata con il procedimento di riunione fittizia, in applicazione dell’art. 553 c.c. Solo che, una volta postasi d’ufficio su questa via, la corte non avrebbe potuto circoscrivere il donatum alle sole donazioni palesi, ma avrebbe dovuto coerentemente riconoscere la facoltà dei legittimari di provare, nella veste di terzi, la simulazione relativa della vendita del 1957, con le possibili conseguenze già esaminate qualora tale prova fosse stata fornita.

17. Va pertanto accolto il terzo motivo di ricorso e in sede di rinvio il giudice di merito dovrà attenersi al seguente principio: “Il legittimario è ammesso a provare la simulazione di una vendita fatta del de cuius nella veste di terzo per testimoni e per presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per una esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia. In questo senso il legittimario deve essere considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima, e così a determinare la eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione ab intestato in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.”.

18. In conclusione, rigettati il primo e il secondo motivo, accolto il terzo, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo e il secondo motivo; accoglie il terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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