Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.13715 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24412-2017 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DI SAVOIA, 3, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO GAGLIARDI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO SABATINO;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

MA.RO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4578/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/12/2018 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con atto notificato il 23 novembre 2011, Allianz S.p.A. proponeva appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Latina il 1 settembre 2011, con la quale, decidendo il giudizio promosso da M.S. nei confronti dell’assicuratore e di Ma.Ro., il Tribunale aveva accolto la domanda di risarcimento danni ravvisando la colpa esclusiva del Ma. nella determinazione di un sinistro e, dato atto dell’intervenuto pagamento da parte della compagnia di assicurazioni dell’importo di Euro 238.520, aveva condannato i convenuti in solido a pagare il residuo importo, pari ad Euro 526.854, oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo;

l’assicuratore censurava la decisione nel quantum, con specifico riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale conseguente alla perdita totale della capacità lavorativa da parte della danneggiata, in presenza di una consulenza medica che aveva dichiarato che i postumi dell’incidente erano impeditivi della sola attività intellettuale. In via gradata, rilevava che il giudice di primo grado aveva assunto come parametro per la liquidazione l’ipotetico stipendio che la danneggiata avrebbe potuto percepire se avesse accettato l’incarico presso la società Nettuno Srl di *****, anzichè secondo i parametri del triplo della pensione sociale;

si costituiva M.S.,concludendo per il rigetto dell’appello;

la Corte territoriale di Roma, con sentenza del 10 luglio 2017, riteneva fondato l’appello rilevando che il risarcimento da lesione della capacità lavorativa specifica non costituisce un danno in re ipsa, ma necessita di prova specifica attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgeva prima del sinistro attività produttiva di reddito e che dopo di esso non aveva mantenuto una generica capacità di attendere ad altri lavori confacenti con le proprie abitudini. Nel caso in esame il consulente aveva accertato che i postumi del sinistro riguardavano soltanto attività propriamente intellettuali; pertanto, il risarcimento avrebbe richiesto la prova di due elementi: il pregresso svolgimento di attività lavorativa di natura esclusivamente intellettuale e la circostanza che l’attività non intellettuale successiva all’incidente non era confacente alle attitudini della danneggiata. In difetto di tale prova, il danno patrimoniale non poteva essere riconosciuto. Conseguentemente, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda proposta dalla danneggiata con riferimento al danno patrimoniale, confermando per il resto la decisione impugnata;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione M.S. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso Allianz S.p.A. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo ed articolato motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., nonchè del principio di diritto oggetto della decisione di questa Corte n. 17514 del 23 agosto 2011, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso di tenere conto di fatti storici e di prove rilevanti ai fini del decidere. Nello specifico ricorrerebbe la certezza della data della lettera della S.r.l. Nettuno contenente l’offerta di lavoro, alla quale invece la Corte territoriale non aveva attribuito alcuna rilevanza probatoria, omettendo di considerare una prova decisiva che conferirebbe certezza alla collocazione temporale di tale documento. La testimonianza resa dal legale rappresentante della società in sede di prova delegata avrebbe acclarato tale aspetto ed illustrato la concreta probabilità di futura assunzione della danneggiata. Sotto altro profilo ricorrerebbe la prova, per fatto notorio, della natura intellettuale del lavoro offerto alla danneggiata dalla predetta Nettuno Srl.

Erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto non dimostrata circostanza, mentre sulla base del fatto notorio la Corte avrebbe potuto prendere atto che le mansioni di tecnico informatico presuppongono necessariamente l’impiego di attività di tipo intellettuale. Infatti, il tecnico informatico è chiamato a risolvere problematiche per le quali è richiesta un’autonomia decisionale ed una specializzazione qualificata, che consentono di inquadrare tale attività tra quelle intellettuali. In terzo luogo la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la natura intellettuale dell’attività precedentemente svolta dalla danneggiata presso l’azienda familiare. Dagli atti di causa emergerebbe che tale attività era di tipo amministrativo-contabile, così come dedotto nell’atto introduttivo del giudizio e non contestato dalla controparte e, comunque, dimostrato attraverso la prova testimoniale di M.P.;

con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 1126,2043,2054,2056 e 2729 c.c., nonchè del principio sancito da questa Corte con la sentenza n. 12211 del 12 giugno 2015, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al danneggiato va risarcito il pregiudizio rappresentato dall’incapacità di continuare ed esercitare l’attività precedentemente svolta, ma anche la riduzione della capacità lavorativa generica in presenza di un rilevante grado di invalidità. Tali principi sarebbero stati disattesi dalla Corte territoriale che, pur in presenza di postumi determinati nella misura del 40% con severo deterioramento intellettivo e impoverimento ideativo e deficit cognitivo, anche psicomotorio e visivo, non avrebbe valutato il profilo relativo alla riduzione della capacità lavorativa generica;

il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, relativo al parametro della autosufficienza riguardo al contenuto della lettera dell’azienda Nettuno Srl di *****, non avendo parte ricorrente trascritto il documento o individuato l’allegazione nell’ambito del fascicolo di legittimità e ciò anche riguardo al contenuto della prova delegata richiamata (pagina 7 del ricorso). Sotto tale profilo, anche con riferimento a quanto osservato nella memoria della ricorrente, la norma richiede di localizzare gli atti all’interno del fascicolo di legittimità che, diversamente, non contiene gli quelli relativi alla prova delegata e le memorie ex art. 183 c.p.c.;

la censura sulla deducibilità della natura delle prospettive di lavoro presso la citata azienda di *****, fondata sul fatto notorio, è inammissibile, anche perchè riguarda dati tecnici e non di comune esperienza. Mentre è censurabile per violazione di legge l’assunzione da parte del giudice di merito di una inesatta nozione di fatto notorio – da intendere come fatto conosciuto da uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo – non è censurabile in questa sede il mancato concreto esercizio del suo potere discrezionale di ricorrere alla massima di esperienza, che può essere censurato solo per vizio di motivazione (Sez. 5 -, Sentenza n. 5438 del 03/03/2017, Rv. 643456 – 01). In ogni caso, “allorchè si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità del preteso fatto notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non di ricorso per cassazione (Sez. 1, Sentenza n. 11643 del 18/05/2007 (Rv. 597755 – 01);

analoghe considerazioni ex art. 366 c.p.c., n. 6, riguardano la natura dell’attività svolta presso l’azienda familiare, dovendosi ribadire anche sotto tale profilo la violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6. Parte ricorrente ha omesso di adeguatamente localizzare l’atto all’interno del fascicolo di legittimità, poichè le modalità di deduzione dell’attività prestata dall’attrice nell’azienda familiare, si assumono contenute genericamente negli atti di causa e nell’atto introduttivo del giudizio. Analoghi rilievi riguardano la dedotta non contestazione di tali profili da parte della compagnia, che avrebbe richiesto la trascrizione del contenuto della comparsa di costituzione e degli atti difensivi successivi alla specifica allegazione del pregresso svolgimento di attività di tipo amministrativo e contabile presso l’azienda familiare. Infine, il sintetico riferimento contenuto a pagina 9 del ricorso al contenuto della prova testimoniale, in assenza di altri elementi, risulta assolutamente inadeguato;

quanto al secondo motivo, non si confronta con la specifica motivazione della Corte territoriale che ha esaminato il profilo del danno alla capacità lavorativa generica liquidato dal Tribunale, rilevando che tale pregiudizio da “cd cenestesi lavorativa” è stato liquidato con la significativa personalizzazione del danno tabellare non patrimoniale. L’affermazione non è censurata in ricorso. Le considerazioni della Corte d’Appello riguardo alla mancanza di prova dell’incompatibilità delle due attività lavorative con le lesioni (presso l’azienda familiare e presso quella di *****) non sono sindacabili in sede di legittimità, perchè attengono esclusivamente alla valutazione del materiale probatorio. La Corte territoriale ha correttamente rilevato la necessità della prova dell’incidenza diretta dell’evento sulla capacità di svolgimento dell’attività lavorativa, e, conseguentemente sulla capacità di guadagno, ma anche la dimostrazione della misura residua di capacità di attendere ad altri lavori confacenti alle attitudini del danneggiato;

infine, è inammissibile la censura relativa alla mancata applicazione della prova per presunzioni, non rispettosa dei parametri di deduzione richiesti (Cass. Sezioni Unite n. 1785 del 2017), non avendo parte ricorrente lamentato che il giudice di merito ha erroneamente sussunto sotto i tre caratteri individualizzanti della presunzione (fatto grave, preciso e concordante) circostanze concrete che non sono, invece, rispondenti a quei caratteri. Parte ricorrente non ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 codice di rito, n. 3, che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito risultava non rispettoso del paradigma della gravità, precisione e concordanza. Al contrario, la critica si risolve nella mancata applicazione di quei parametri e cioè in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti. In definitiva, le censure consistono “nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi su un terreno che non è quello dell’art. 360 codice di rito, n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 del c.c.)”, con una richiesta di controllo della motivazione, al di fuori degli angusti limiti enucleati da Cass. Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 2014;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione in considerazione delle alterne vicende possono essere integralmente compensate tra le parti. Infine, va dato atto mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta – 3 Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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