L’attore in restituzione il quale deduca che un immobile è stato concesso in godimento in forza di un contratto (nella specie, comodato precario), ha l’onere di provare la fonte del proprio diritto e la successiva estinzione del rapporto obbligatorio, e quindi il venir meno del titolo legittimante l’ulteriore godimento della cosa.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32501/2018 proposto da:
P.C., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VITTORIO MONTIGLIO 67, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO FEMIA, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO LANNA;
– ricorrenti –
contro
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ONESTO DI BONACORSA, 7, presso lo studio dell’avvocato FABIO CACCIANI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché proposto da:
F.C., PA.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, Lungotevere Flaminio n. 26, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO STEFANO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ONESTO DI BONACORSA, 7, presso lo studio dell’avvocato FABIO CACCIANI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5991/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/2/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 27/9/2018 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto dal sig. B.G. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Roma 30/1/2012, ha accolto la domanda dal medesimo, originariamente proposta nei confronti dei sigg. C.G. e P.C. nonché dei sigg. F.C. e Pa.An., di accertamento dell’esistenza di un contratto di “comodato gratuito verbale” stipulato con il F. e la Pa. nel 1996 ed avente ad oggetto “una porzione della stanza realizzata sul terrazzo (estesa per circa 18 mq.)”, dai comodatari successivamente venduta al C. e alla P.; con condanna di questi ultimi “alla restituzione della porzione immobiliare dai medesimi goduta senza alcun titolo, dando atto della risoluzione del contratto di comodato”, oltre che al risarcimento dei subiti danni.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il C. e la P. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.
Resiste con controricorso il B..
Propongono altresì autonomo, successivo ricorso il F. e la Pa., sulla base di 2 motivi.
Resiste con controricorso il B..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente osservato che il ricorso proposto dal F. e dalla Pa. è inammissibile in quanto tardivo.
Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo, sicché in caso di ricorso per cassazione con l’atto contenente il controricorso, quest’ultima modalità non potendo peraltro considerarsi essenziale sicché ogni ricorso successivo al primo si converte – indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante – in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’ordinario) di impugnazione in astratto operativi (v. Cass., 14/1/2020, n. 5448; Cass., 9/2/2016, n. 2516; Cass., 20/3/2015, n. 5695, ove si è ulteriormente sottolineato che tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo che venga proposta dal litisconsorte dell’impugnante principale e persegue il medesimo intento di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre impugnazione contro una parte non impugnante o avverso capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione; Cass., 6/12/2005, n. 26622).
Orbene, il ricorso de quo risulta essere stato proposto con atto notificato il 24/12/2018, e pertanto oltre il termine di 40 giorni decorrente dalla notifica del ricorso ad opera di controparte ricevuto il 9/11/2018, nella specie venuto a scadere il 19 dicembre 2018.
Quanto al ricorso (notificato per primo) del C. e della P. va preliminarmente esaminato, in quanto logicamente prioritario, il 2 motivo, con il quale i medesimi denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 948,1803,1810 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si dolgono che la decisione della corte di merito sia fondata su “un presupposto… inaccettabile perché assolutamente sfornito di ogni e qualsivoglia prova, ovvero che il sig. B. abbia concesso in comodato d’uso gratuito ai coniugi F. – Pa. una parte dell’estensione di mq. 14,92 di una stanza grande poco più di mq. 40 da lui realizzata su un terrazzo di proprietà condominiale facente parte del fabbricato sito in *****, terrazzo ubicato tra l’appartamento di proprietà di esso B. e l’appartamento già di proprietà dei coniugi F. – Pa. e da costoro successivamente venduto ai coniugi C. – P.”, laddove “con ogni evidenza tali riferimenti assolutamente non emergono da una attenta lettura degli atti di causa prodotti dal B. stesso”, che non era “proprietario né del terrazzo e nemmeno del piccolo locale con affaccio su via Turno della accertata consistenza di mq. 14,92 realizzato sul terrazzo stesso e, pertanto, assolutamente non poteva averlo concesso in comodato gratuito ai sigg.ri F. – Pa.”, né ha fornito “alcuna prova della effettiva esistenza di un contratto di comodato gratuito stipulato tra le parti predette ed afferente la porzione immobiliare di che trattasi”.
Lamentano essersi dalla corte di merito erroneamente “statuito che l’obbligo restitutorio della porzione immobiliare oggetto del contendere scaturisce dal recesso unilaterale azionato ex art. 1810 c.c.”, in quanto “la disdetta di un contratto inesistente è essa stessa inesistente e priva di qualsivoglia valore costitutivo ed accertativo”.
Si dolgono essersi dalla corte di merito erroneamente “stabilito che l’assenza di qualsivoglia prova su ipotetici ed eventuali accordi intercorsi tra il B. ed i coniugi F. – Pa. costituisce essa stessa la prova dell’esistenza di un contratto di comodato gratuito che il B. poteva disdire a proprio piacimento, con la consequenziale restituzione del bene in suo favore”, risultando a tale stregua operata in realtà un'”inammissibile ed inaccettabile inversione dell’onere della prova in favore dell’appellante B., perché non è più lui a dover provare l’effettiva esistenza del contratto di comodato d’uso gratuito intercorso con i convenuti F. – Pa. ma sono questi ultimi che, non avendo fornito prova dell’esistenza di alti contratti o accordi che proprio non esistevano (negativa non sunt probanda) devono soccombere alle avverse pretese”.
Il motivo è p.q.r. fondato e va accolto nei termini e limiti di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’attore in restituzione il quale deduca che un immobile è stato concesso in godimento in forza di un contratto (nella specie, comodato precario), ha l’onere di provare la fonte del proprio diritto e la successiva estinzione del rapporto obbligatorio, e quindi il venir meno del titolo legittimante l’ulteriore godimento della cosa (cfr. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533, e, conformemente, da ultimo, Cass., 20/1/2020, n. 1080).
In altri termini, colui che chiede in restituzione deve provare il titolo in base al quale è avvenuta la consegna del bene e il relativo successivo venir meno per qualsiasi causa (cfr. Cass., 23/12/2010, n. 26003; Cass., 26/2/2007, n. 4416; Cass., 10/12/2004, n. 23086), l’uno e l’altro elemento costituendo fatti costitutivi della domanda, la cui dimostrazione incombe all’attore (v. Cass., 13/7/1984, n. 4119).
Orbene, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso il suindicato principio.
In particolare là dove ha affermato che, in “assenza di prova di un accordo di cessione del bene in questione e comunque di altro titolo di detenzione rispetto a quello dedotto”, nella specie l'”assunto attoreo del comodato verbale a titolo gratuito mediante semplice recesso unilaterale del comodante ai sensi e per gli effetti dell’art. 1810 c.c., e l’obbligo di tutti gli appellati, sia pure a diverso titolo (quali comodatari i coniugi F. e Pa. e quali occupanti abusivi del bene i coniugi C. e P.), a restituire il bene all’appellante, libero da persone e cose” può “ritenersi provato in forza della stessa perdurante occupazione del bene non giustificata da altro titolo”.
Emerge invero evidente, a tale stregua, come la corte di merito abbia concluso che la consegna dell’immobile sia nel caso avvenuta a titolo di comodato precario in ragione della mancata prova da parte delle convenute controparti che la stessa sia stata effettuata a diverso titolo.
Affermazione la quale, oltre che del tutto apoditticamente e in termini intrinsecamente ed irredimibilmente del tutto illogici formulata ed invero integrante una motivazione sul punto meramente apparente e pertanto inesistente (cfr., da ultimo, Cass., 6/10/2021, n. 27130; Cass., 25/6/2021, n. 18285; Cass., 6/5/2020, n. 8508), si appalesa altresì deponente per un vizio di sussunzione nonché violativa della norma sulla ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., là dove pretende di far discendere la configurabilità del comodato precario dal ravvisato difetto di prova di altro titolo legittimante l’avvenuta consegna del bene, in contrasto con il suindicato principio, che va anche nel caso ribadito.
All’accoglimento p.q.r. del motivo consegue (assorbiti gli altri motivi, con i quali i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1803,1804 c.c., artt. 91,132,156,161 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, dolendosi che vi sia “un contrasto insanabile tra il dispositivo e la motivazione tale da rendere la sentenza… manifestamente illogica ed irriducibilmente contraddittoria” (1 motivo); denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1223,1226,2043,2056,2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi che la corte di merito li abbia erroneamente condannati al pagamento di un’indennità in solido con il F. e la Pa., in assenza di provato danno-conseguenza (3 motivo); denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 97 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi che la corte di merito li abbia erroneamente accomunati nella responsabilità del F. e della Pa. (4 motivo)), la cassazione in relazione del ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il 2 motivo, assorbiti gli altri, del ricorso C. e della P.. Dichiara inammissibile il ricorso del F. e della Pa.. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2021
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