La riproduzione di un'immagine senza il consenso della persona ritratta è lecita se c'è un interesse pubblico all'informazione, mentre può comportare una richiesta di risarcimento solo se da tale evento derivi pregiudizio all'onore o al decoro della medesima.
La Cassazione ha confermato questo principio con l'ordinanza n. 2304 del 25 gennaio 2023.
Nel caso di specie, un uomo era stato fotografato durante un evento di carattere pubblico, il compleanno di una persona immigrata celebrato nel Centro di immigrazione della città, e tale foto era stata pubblicata sul giornale locale. Successivamente alla pubblicazione, l’uomo convocava in giudizio la società editrice chiedendo il risarcimento dei danni asseritamente subiti dall'avvenuta divulgazione della fotografia. In particolare asseriva che la pubblicazione della foto aveva determinato il definitivo naufragio del matrimonio (la visione della foto che lo ritraeva, tra altre persone immigrate, accanto a una donna sconosciuta, aveva suscitato una violenta reazione della moglie).
La Corte d'appello ha confermato l'assoluta assenza di alcun pregiudizio ricollegabile alla diffusione dell'immagine, non configurando alcuna lesione alla reputazione o all'onore dello stesso, non potendo neppure attribuirsi, alla diffusione dell'immagine, alcuna idoneità causale rispetto alla fine del matrimonio.
La Cassazione, investita della questione, ha confermato la sentenza di appello, sottolineando che l'immagine diffusa presentava caratteristiche tali da escludere in radice ogni possibile pregiudizio all'onore, al decoro o alla reputazione dell’uomo, essendo stata tratta da una cerimonia svoltasi in pubblico, ed essendo risultata, nel contesto complessivo della pubblicazione entro la quale era inserita, sostanzialmente dotata di '‘essenzialità'' rispetto al contenuto informativo di interesse pubblico dell'articolo di accompagnamento. La foto, nel testimoniare un clima di amicizia tra residenti e immigrati risultava essere più che proporzionata rispetto all'articolo di riferimento.
In tema di autorizzazione dell'interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l'immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall'interesse pubblico all'informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all'onore o al decoro della medesima.
Cassazione civile sez. III, 25/01/2023, (ud. 07/10/2022, dep. 25/01/2023), n.2304
Fatto
Rilevato che,
con sentenza resa in data 8/10/2019 la Corte d'appello di Bari ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da R.R. per la condanna della Società per Azioni (Omissis) - (Omissis) s.p.a. e di P.P. al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall'attore a seguito della pubblicazione della propria immagine su un'edizione del quotidiano ‘La Gazzetta del Mezzogiornò (edita da (Omissis) s.p.a. e diretta dal P.);
a fondamento della decisione assunta la corte territoriale ha rilevato la correttezza del provvedimento del primo giudice nella parte in cui quest'ultimo ha ritenuto lecita la divulgazione dell'immagine del R. sul quotidiano edito dalla società convenuta, avendo quest'ultima pubblicato la fotografia dell'attore (peraltro propiziata dallo stesso atteggiamento di disponibilità manifestato dalle persone ritratte) nel quadro di un evento di carattere pubblico (il compleanno di una persona immigrata celebrato nel Centro di immigrazione della città di (Omissis)) e, pertanto, in un luogo aperto al pubblico e in collegamento ai fatti di interesse generale trattati nell'articolo composto unitamente all'immagine, aventi ad oggetto il tema dell'accoglienza delle persone immigrate nel nostro paese;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha confermato l'assoluta assenza di alcun pregiudizio ricollegabile alla diffusione dell'immagine del R., attesa l'inconfigurabilità di alcuna lesione alla reputazione o all'onore dello stesso, non potendo neppure attribuirsi, alla diffusione dell'immagine, alcuna idoneità causale rispetto al definitivo naufragio del matrimonio del R., nella specie dedotto da quest'ultimo a seguito della violenta reazione della propria coniuge alla visione della fotografia nella quale il R. compariva, tra altre persone immigrate, accanto a una donna sconosciuta;
avverso la sentenza d'appello, R.R. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d'impugnazione;
la Curatela del fallimento della Società per Azioni (Omissis) - (Omissis) s.p.a. e P.P. resistono con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
Diritto
considerato che,
con il primo motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché per vizio di motivazione (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale dettato una motivazione gravemente carente e sostanzialmente apparente in relazione al punto concernente la pretesa disponibilità manifestata dal R. al ritratto fotografico (asseritamente resa palese da una sua supposta preventiva predisposizione ‘in posà), essendosi la corte territoriale sottratta all'obbligo di considerare il dissenso argomentato dall'appellante rispetto ai contenuti della sentenza di primo grado;
il motivo è infondato;
osserva preliminarmente il Collegio come l'odierno ricorrente, attraverso la proposizione della doglianza in esame, non abbia specificamente censurato una pretesa omessa pronuncia, da parte della corte territoriale, riferita a uno specifico motivo di gravame (eventualmente nella prospettiva della violazione dell'art. 112 c.p.c.), essendosi bensì doluto della contestata elaborazione, da parte del giudice a quo, di una motivazione meramente apparente (e dunque totalmente insufficiente nella prospettiva del minimo costituzionale) con riguardo al punto concernente la rilevata disponibilità materiale del R. a lasciarsi riprendere nel ritratto fotografico oggetto d'esame;
così posta la questione, la censura deve ritenersi infondata, atteso che la corte territoriale, nel riprodurre e riprendere la motivazione sul punto contenuta nella sentenza del primo giudice, ha ritenuto di doverla confermare, sottolineandone la rispondenza a un canone di buon senso, e tornando a valorizzare il chiaro atteggiamento favorevole alla riproduzione fotografica così come manifestato in modo inequivoco dalle persone ritratte attraverso l'oggettiva riconoscibilità del relativo atteggiamento;
entro i confini della censura riferita alla pretesa violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c., pertanto, deve ritenersi del tutto irrilevante la circostanza che la decisione possa essere (in ipotesi) corretta o meno, poiché, ai fini della decisione sulla doglianza, è sufficiente il riscontro (nella specie positivo), da parte del giudice di legittimità, dell'avvenuta giustificazione della decisione impugnata sulla base di una ricostruibile linea argomentativa, dotata di logica coerenza e adeguata comprensibilità;
vale peraltro rilevare come la questione di fatto posta ad oggetto dell'odierno censura attenga ad un aspetto del tutto marginale della vicenda in esame, apparendo del tutto evidente che il profilo di consenso rilevante, ai fini della legittimazione alla diffusione dell'immagine, non deve tanto riguardare lo scatto della fotografia in sé, bensì la diffusione della stessa su un organo di stampa, apparendo, conseguentemente, del tutto irrilevante la circostanza che le persone ritratte abbiano manifestato la propria disponibilità ‘ad essere fotografate', ben potendo conservare la propria volontà contraria alla diffusione di tale fotografie su un organo ad ampia diffusione come un giornale quotidiano: questione, quest'ultima, rimasta del tutto estranea ai termini dell'odierna censura;
con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 10 c.c., della L. n. 633/41, artt. 96 e 97, del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 11, comma 1, della Cost.artt. 2 e 21 del D.Lgs. n. 163 del 2006, artt. 136, comma 1, lett. a), e 137, comma 3, (in relazione all'art. 3603 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto lecita la diffusione dell'immagine del R. da parte dei convenuti, attesa l'inesistenza di alcun collegamento di tale diffusione con fatti di pubblico interesse, né con esigenze di pubblica informazione, tenuto conto dell'assoluta impertinenza - e, in ogni caso, di alcuna essenzialità - dell'accostamento tra la fotografia del R. e i contenuti dell'articolo con essa pubblicato;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come il quadro normativo entro cui occorre ricondurre la vicenda in esame si muova attorno al combinato disposto dell'art. 10 c.c. (relativo al c.d. abuso dell'immagine altrui), artt. 96 e 97 (riguardanti l'esposizione, la riproduzione o la messa in commercio del ritratto di una persona) e del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 136-137 (c.d. codice della privacy) nel testo applicabile ratione temporis (26/3/2005) (riguardanti il trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica);
secondo l'art. 10 c.c.: "Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni";
secondo la L. n. 633/41, art. 96, comma 1, "Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente";
secondo la L. n. 633/41, art. 97: "Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta";
secondo il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137 (vigente al 26/3/2005): "1. Ai trattamenti indicati nell'art. 136 (relativi all'attività giornalistica, n. d.e.) non si applicano le disposizioni del presente codice relative:
a) all'autorizzazione del Garante prevista dall'art. 26;
b) alle garanzie previste dall'art. 27 per i dati giudiziari;
c) al trasferimento dei dati all'estero, contenute nel Titolo VII della Parte I.
2. Il trattamento dei dati di cui al comma 1 è effettuato anche senza il consenso dell'interessato previsto dagli artt. 23 e 26.
3. In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all'art. 136 restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all'art. 2 e, in particolare, quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico";
in relazione a tali temi vale inoltre considerare come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell'art. 10 c.c., nonché degli artt. 96 e 97 della L. n. 633/1941 sul diritto d'autore, la divulgazione dell'immagine senza il consenso dell'interessato è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione, non anche quando sia rivolta a fini pubblicitari (v. Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 29/01/2016, Rv. 638444 - 01; v. anche Sez. 1, Ordinanza n. 19515 del 16/06/2022, Rv. 664972 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 8880 del 13/05/2020, Rv. 657866 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1748 del 29/01/2016, Rv. 638444 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 17211 del 27/08/2015, Rv. 636902 - 01);
peraltro, in tema di autorizzazione dell'interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 97, comma 2, ricorrendo le quali l'immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall'interesse pubblico all'informazione, determinando una pretesa risarcitoria solo se da tale evento derivi pregiudizio all'onore o al decoro della medesima. Questa Corte ha avuto modo di affermare che, a tale stregua, la persona colta da una ripresa televisiva (poi mandata in onda), senza il suo consenso, in una stazione ferroviaria ed in mezzo ad una folla anonima di passeggeri, tra cui anche numerosi partecipanti alla manifestazione nota come gay pride, avvenimento di interesse pubblico, non ha diritto al risarcimento, non essendo invero configurabile la sussistenza di un danno, in quanto in relazione al contesto la possibilità di essere individuato costituisce "un rischio della vita" che non ci si può esimere dall'accettare (v. Sez. 3, Sentenza n. 24110 del 24/10/2013, Rv. 628877 - 01);
tanto premesso, osserva il Collegio come la sentenza impugnata si sia correttamente inserita entro l'essenziale perimetro normativo e giurisprudenziale sin qui sinteticamente richiamato, avendo il giudice d'appello diligentemente sottolineato come l'immagine diffusa dagli originari convenuti si presentasse con caratteristiche tali da escludere in radice ogni possibile pregiudizio all'onore, al decoro o alla reputazione del R., essendo stata tratta da una cerimonia svoltasi in pubblico (circostanza di fatto sulla cui ricostruzione probatoria non è evidentemente consentito discutere in questa sede di legittimità), ed essendo risultata, nel contesto complessivo della pubblicazione entro la quale fu inserita, sostanzialmente dotata di ‘essenzialità' rispetto al contenuto informativo di interesse pubblico dell'articolo di accompagnamento ("la foto (...), nel testimoniare un clima di amicizia tra residenti e immigrati risulta più che proporzionata rispetto all'articolo di riferimento": cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
la valutazione operata dal giudice di merito, circa la coerenza del ritratto oggetto d'esame con la pubblica diffusione di informazioni concernenti una cerimonia pubblica connessa al tema dei rapporti tra la popolazione residente e il fenomeno dell'immigrazione (tema ritenuto tale da giustificare, in termini di ragionevole condivisibilità, la considerazione del pubblico interesse), deve ritenersi pertanto operata nel pieno rispetto delle norme richiamate, oltre che adeguatamente giustificata, in fatto, sulla base dei dati oggettivi in concreto riscontrati, sì da sottrarsi integralmente alla censura in questa sede avanzata dal ricorrente;
con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della Cost., art. 2, degli artt. 10,1226,2043,2050,2056 e 2059 c.c., del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 (in relazione all'art. 360 numero tre c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la sussistenza di danni non patrimoniali, quali conseguenze dell'illecita lesione del diritto all'immagine e della riservatezza dell'attore, mediante la relativa liquidazione in via equitativa;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il giudice d'appello, oltre ad escludere la natura illecita del comportamento ascritto alla responsabilità dei convenuti, abbia escluso che la diffusione della fotografia del R. avesse determinato alcuna conseguenza dannosa concretamente apprezzabile a suo carico, essendosi d'altro canto il R. totalmente sottratto all'onere di comprovare la sussistenza di eventuali danni non patrimoniali causati dal fatto: danni certamente non riconducibili all'offesa del relativo onore, decoro o reputazione che, va ribadito, gli stessi giudici di merito hanno motivatamente ritenuto di escludere;
ciò posto, nel muovere la doglianza in esame contestando la mancata liquidazione in via equitativa dei pretesi danni subiti in conseguenza dell'illecito infondatamente ascritto alla responsabilità della controparte, il ricorrente trascura di considerare l'avvenuta (legittima) esclusione da parte del giudice d'appello della natura illecita del comportamento imputato alla responsabilità dei convenuti, orientando la propria critica non già sul (l'ipotetico) ricorso di una (inesistente) violazione di legge bensì in ordine ad una sostanziale (e inammissibile) prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa (con particolare riguardo alla riconsiderazione in fatto degli aspetti della ritenuta illiceità del comportamento della controparte), come tale non consentita in questa sede di legittimità;
con il quarto motivo il ricorrente denunzia nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c., nonché della Cost. artt. 115 c.p.c., 10 c.c., 2, L. n. 633/41, 96, D.Lgs. n. 196 del 2003,15, 2043, 2050, 2059, 1226, 2056 c.c. (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), per avere la corte territoriale dettato una motivazione gravemente carente e sostanzialmente apparente in relazione al punto concernente la ricostruzione del nesso causale tra l'illecita diffusione della propria immagine e la definitiva rottura del proprio matrimonio, incorrendo nella violazione dei parametri normativi specificamente richiamati, la cui corretta applicazione avrebbe viceversa consentito il riconoscimento di uno specifico nesso causale tra l'illecito ascritto alle controparti e lo specifico danno alla propria vita matrimoniale dedotto in giudizio;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche con riguardo alla doglianza in esame, il ricorrente si sia sostanzialmente limitato a prospettare una rilettura nel merito dei fatti di causa, con particolare riguardo al punto concernente la ricostruzione del nesso di causalità tra la diffusione dell'immagine del R. e la dissoluzione del relativo vincolo matrimoniale, avendo la corte territoriale espressamente sottolineato come tale dissoluzione (pur quando avvenuta) debba riferirsi piuttosto all'eventuale abnormità del comportamento della coniuge del R. di fronte a una fotografia in nessun modo espressiva di comportamenti o di atteggiamenti suscettibili di giustificare reazioni di gelosia o di dispetto;
la motivazione così dettata dal giudice d'appello deve ritenersi del tutto adeguata, tanto sul piano della linearità argomentativa e della coerenza logica, quanto sul terreno della correttezza giuridica, sì da sottrarsi integralmente alla censura concernente la denunciata violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c.;
con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale illegittimamente disatteso l'ammissione dei mezzi di prova testimoniale (specificamente riprodotti in ricorso) in relazione al punto concernente la dimostrazione dell'effettivo nesso di derivazione causale tra l'illecita diffusione della propria immagine operata dalle controparti e la definitiva rottura del proprio vincolo coniugale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la censura in esame, nella misura in cui contesta la mancata ammissione dei mezzi di prova concernenti l'effettiva ricorrenza del nesso di causalità tra la diffusione dell'immagine del R. e la dissoluzione del relativo vincolo matrimoniale (rectius, la decisione della moglie del R. di desistere da ogni tentativo di ricomposizione della fragile relazione matrimoniale, già compromessa dalla separazione personale), non consideri la motivazione del giudice d'appello nella parte in cui, più in generale, ascrive la decisione della coniuge del R. a personali (e del tutto arbitrarie) motivazioni, di per sé tali da escludere ogni nesso di causalità con un fatto (la diffusione della fotografia oggetto di causa, avente le caratteristiche di totale innocuità specificamente analizzate dai giudici di merito) comunque inidoneo, sul piano dell'id quod plerumque accidit, a giustificare, sul piano causale, una reazione di quel tipo;
da tale premessa deriva l'evidente difetto di decisività del mezzo di prova della cui mancata ammissione l'odierno ricorrente si duole, trattandosi della sostanziale riproposizione di una ridiscussione dei fatti di causa e della valutazione dei mezzi di prova acquisiti agli atti del giudizio, come tale non consentita in sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;
al rigetto del ricorso segue l'attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, comma 1-quater, dell'art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2023.
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